Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23300 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 14/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 27657-2021, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cf. P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 2331/20/2021 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 15.03.2021;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 30 aprile 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Alla ricorrente fu notificato l’avviso d’accertamento con cui l’Agenzia delle entrate intese recuperare maggiori imposte dirette ed Iva, relativamente all’anno d’imposta 2011, imputando l’utilizzo di fatture per
Operazioni soggettivamente
inesistenti – Configurabilità
operazioni soggettivamente inesistenti. Nello specifico l’Ufficio disconobbe la detraibilità dell’iva applicata sulle prestazioni di servizi (autotrasporto di bombole di ossigeno), formalmente eseguiti in favore della società RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà indirizzati alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE il cui titolare, Sig. COGNOME COGNOME era anche socio al 50% e amministratore della medesima RAGIONE_SOCIALE. Recuperò inoltre per difetto di inerenza alcuni costi ritenuti indeducibili.
Il ricorso avverso l’atto impositivo, proposto dalla società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, fu accolto in parte con sentenza n. 937/01/2018. Il giudice di primo grado riconobbe, per quanto qui rileva, che, ai soli fini Irap, l’amministrazione finanziaria era decaduta dal potere d’accertamento, per inapplicabilità a quell’ imposta della disciplina relativa al raddoppio dei termini, ex art. 1, comma 132, l. 208/2016. Per il resto rigettò tutte le altre ragioni della società, confermando i recuperi d’imposta. L’appello, con cui la contribuente instò nel le sue ragioni dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, fu respinto con sentenza n. 2331/20/2021, ora al vaglio di questa Corte. Fu respinto anche l’appello erariale, con cui si insisteva anche per la tempestività dell’accertamento in ordine all’Irap.
Il giudice regionale ha dichiarato infondata l’eccepita inapplicabilità del raddoppio dei termini, ritenendo sufficiente il presupposto dell’obbligo della denuncia penale ex art 331 c.p.p., non anche la sua effettiva presentazione, comunque avvenuta nel caso concreto mediante trasmissione alla Procura della Repubblica del processo verbale d’accertamento . Solo con riferimento all’Irap ha confermato l’inapplicabilità della disciplina del raddoppio dei termini, trattandosi di violazioni non rilevanti sotto il profilo penale. Nel merito ha quindi respinto le ragioni con cui la società aveva negato il coinvolgimento in operazioni soggettivamente inesistenti, ribadendo che il servizio di traporto di bombole d’ossigeno, subapp altato dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, a sua volta appaltatrice della società RAGIONE_SOCIALE ed eseguito tramite due autotrasportatori (i fatturanti), sino al 2006 era stato assicurato dai medesimi padroncini in favore della RAGIONE_SOCIALE L’affidamento in subappalto di tale attività alla RAGIONE_SOCIALE aveva pertanto avuto quale unica finalità l’abbattimento dei ricavi della ditta individuale del De Lucia ai fini fiscali. In concreto la RAGIONE_SOCIALE (carente di ogni struttura organizzativa con
riguardo al subappalto conseguito) si era interposta tra la reale committente (la ditta RAGIONE_SOCIALE) e i prestatori del servizio trasporto (i due padroncini degli automezzi) per esclusive ragioni elusive o evasive dell’imposta , senza l’esercizio di alcuna concreta attività, se non quella di ricezione (dagli autotrasportatori) ed emissione (nei confronti della RAGIONE_SOCIALE) di fatture, laddove l’attività di trasporto aveva concretamente continuato a svilupparsi tra le due effettive parti del rapporto di trasporto (ditta individuale e padroncini degli automezzi).
Avverso la sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Nell’adunanza camerale del 30 aprile 2025 la causa è stata discussa e decisa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, sollevato dall’ Agenzia delle entrate. La difesa erariale sostiene che a fronte della sentenza d’appello, depositata il 15 marzo 2021, il ricorso è stato tardivamente notificato il 18 ottobre 2021.
L’eccezione è infondata perché il termine lungo semestrale -in assenza di notificazione della pronuncia- scadeva proprio il lunedì 18 ottobre 2021, sicché il ricorso risulta tempestivo.
La società ricorrente ha denunciato:
con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 43, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 57, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificati dall’art. 37, comma 24, d.l. 4 luglio 2006, n. 223, e successivi interventi legislativi in materia di ‘raddoppio dei termini’ per l’accertamento, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 -bis, comma 13, l. 27 luglio 2000, n. 212 e 1, lett. g-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Il giudice regionale avrebbe violato la disciplina, perché la fattispecie, collocabile nell’alveo della interposizione r eale, non integrava alcuna ipotesi di reato tra quelle previste dalla l. n. 74 del 2000, non trovando pertanto applicazione il raddoppio dei termini.
Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, nella quale il giudice ha rilevato che, pur prescindendo dall’obbligo di presentazione della denuncia, il processo verbale di
RGN 27657/2021 Consigliere rel. NOME
constatazione era stato trasmesso alla Procura della Repubblica entro il 31 dicembre 2016, ossia prima della decadenza dal potere accertativo. Con il predetto motivo invece, la società sostiene che la fattispecie contestata con l’avviso d’accertamento poteva avere rilevanza ai fini fiscali, ma non configurava alcuna ipotesi di reato tra quelle per le quali era previsto dall’art. 43 del d.P.R. 600 del 1973, ratione temporis vigente, il raddoppio dei termini.
La questione, peraltro, non risulta trattata in sede d’appello, né si evince se essa sia mai stata sollevata nel giudizio e in quale atto difensivo di primo grado sia stata proposta nei suddetti termini.
Con il secondo motivo è denunciata la ‘motivazione apparente. Difetto del minimo costituzionale di motivazione’. Il giudice d’appello, a fronte delle specifiche circostanze di fatto e di diritto dedotte dalla società per escludere la sua funzione di ‘schermo fittizio’, non avrebbe dedicato alcuna argomentazione alle ragioni difensive.
Il motivo, sebbene non sia richiamato nessuno dei parametri di critica alla pronuncia impugnata tra quelli indicati nell’art. 360 c.p.c., dal suo tenore e dallo sviluppo delle argomentazioni utilizzate si colloca nell’alveo dell’ error iuris in procedendo , denunciandosi la motivazione apparente.
La società sostiene di aver allegato una molteplicità di ragioni tese a contestare l’infondatezza dell’addebito erariale, per non essere stata posta in essere alcuna operazione soggettivamente inesistente solo perché il trasporto di bombole d’ossigeno era stato affidato a terzi soggetti, e d’altronde gli autotrasportatori avevano operato effettivamente con la RAGIONE_SOCIALE. Ha inoltre evidenziato nel motivo le ulteriori ragioni che a suo dire il giudice d’appello avrebbe trascurato.
Questa Corte ha chiarito che sussiste l’apparente motivazione della sentenza ogni qual volta il giudice di merito ometta di indicare su quali elementi abbia fondato il proprio convincimento, nonché quando, pur indicandoli, a tale elencazione ometta di far seguire una disamina almeno chiara e sufficiente, sul piano logico e giuridico, tale da permettere un adeguato controllo sulla correttezza del suo ragionamento (Sez. U, 3 novembre 2016, n. 22232; cfr. anche 23 maggio 2019, n. 13977; 1 marzo 2022, n. 6758). In sede di gravame non è viziata la decisione, quando motivata per relationem , ove il giudice d’appello, facendo proprie le
argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato così da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata. Essa va invece cassata quando il giudice si sia limitato ad aderire alla pronuncia di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (cfr. Cass., 19 luglio 2016, n. 14786; 7 aprile 2017, n. 9105). La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione è apparente anche quando, ancorché graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (Cass., 1 marzo 2022, n. 6758; 30 giugno 2020, n. 13248; cfr. anche 5 agosto 2019, n. 20921). È altrettanto apparente ogni qual volta evidenzi una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio (Cass., 14 febbraio 2020, n. 3819), oppure quando carente nel giudizio di fatto, così che la motivazione sia basata su un giudizio generale e astratto (Cass., 15 febbraio 2024, n. 4166).
Nel caso di specie la Commissione regionale, dopo aver riportato il contenuto della decisione di primo grado, in cui la vicenda era descritta nelle rispettive posizioni difensive, ha esaminato le ragioni d’appello; ha descritto le attività affidate alla A.RRAGIONE_SOCIALE del De Lucia dalla società RAGIONE_SOCIALE (attività di riempimento di bombole d’ossigeno e trasporto); ha descritto le modalità con cui tale attività era eseguita dalla ditta individuale, con trasporto affidato a due autotrasportatori (COGNOME e COGNOME); ha quindi descritto le modalità con cui la A.RC.AM. aveva ‘esternalizzato’ i servizi affidatele dalla RAGIONE_SOCIALE; ha constatato che l’esternalizzazione alla RAGIONE_SOCIALE non aveva modificato alcunché rispetto a prima, nel senso che le bombol e d’ossigeno erano ugualmente ricaricate presso l’A.R .C.AM. e
quindi dalla stessa sede traportate dai due padroncini a destinazione; ha ritenuto che dunque la RAGIONE_SOCIALE era solo un paravento finalizzato a far figurare costi di un servizio che l’A.R .RAGIONE_SOCIALE poteva detrarre, così riducendo i ricavi; a tal fine ha ritenuto ‘assolutamente inconcludenti’ le argomentazioni svolte dall’appellante società, snocciolando in una intera pagina una pluralità di considerazioni e constatazioni, quali l’irrilevanza delle dichiarazioni dei due autotrasportatori, che anzi avevano confermato le prospettazioni erariali circa la ricostruzione delle modalità con cui le operazioni erano eseguite; la constatazione che la RAGIONE_SOCIALE nel 2011 non aveva sede operativa ed aveva avuto un unico dipendente, per un brevissimo periodo; tutte le operazioni si svolgevano presso la ditta individuale; era irrilevante che la società avesse acquistato un lotto edificatorio per la realizzazione di un opificio, elemento che poteva valere per il futuro, cioè ad opificio realizzato, ma non per il 2011; la soggettiva inesistenza delle operazioni escludeva in definitiva la deducibilità dell’Iva.
La sentenza contiene una ampia motivazione. Essa è pertanto indenne dalla critica sollevata con il motivo. D’altronde, le questioni che la ricorrente denuncia non essere state vagliate dal giudice regionale sono per la maggior parte mere valutazioni giuridiche, che di fatto non sono state ritenute meritevoli di approfondimento dal giudice d’appello proprio sulla base degli elementi, che questi ha ritenuto invece di valorizzare.
Se poi con esse la contribuente intende invocare un riesame del merito della vicenda, il motivo si rivelerebbe inammissibile in sede di legittimità.
In conclusione, il motivo va respinto.
Con il terzo motivo si denuncia un ‘ Error in procedendo – omessa pronuncia sulla prima parte del 3° motivo d’appello’ e la ‘violazione dell’art. 112 c.p.c, – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. ‘ La Commissione regionale non si sarebbe pronunciata sulla prima parte del 3° motivo d’appello, con il quale la ricorrente aveva sostenuto che l’ufficio avrebbe dovuto imputare al De Lucia i redditi della RAGIONE_SOCIALE, ma non avrebbe potuto procedere nei suoi confronti ad un secondo accertamento, duplicando quello già eseguito nei confronti della A.R.C.AM del De Lucia.
Con il quarto motivo si lamenta la ‘violazione dei principi di buona fede, ragionevolezza e proporzionalità. Violazione e /o Falsa applicazione dell’art.
37 del DPR 600/73′. La sentenza, criticata per le ragioni illustrate con il terzo motivo, è censurata anche sotto il profilo della violazione di legge.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché tra loro connessi, sono infondati.
Il file rouge delle critiche articolate con le argomentazioni riportate nel terzo e quarto motivo è quello, secondo cui, se le operazioni fossero state veramente inesistenti sotto il profilo soggettivo, l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto attribuire i maggiori ricavi una sola volta, laddove invece vi sarebbe stato un doppio accertamento, uno a carico della ditta individuale, l’altro a carico della società.
La critica è del tutto inconferente e i motivi vanno rigettati.
Dagli atti emerge che alla RAGIONE_SOCIALE è stata negata la detraibilit à dell’iva per la soggettiva inesistenza delle operazioni fatturate dagli autotrasportatori nei suoi confronti. Non vi è stata contestazione sulla deducibilità di costi. Questi ultimi, dalla lettera della sentenza del giudice regionale, sono richiamati nella parte introduttiva della pronuncia, e riguardano ‘costi non inerenti o non documentati relativi a spese di rappresentanza e carburante’, questione che non risulta oggetto della presente controversia, perché mai proposta né in sede d’appello né in sede di legittimità. Sempre la sentenza del giudice regionale, a pag. 7, lett. C-5), rileva che ‘il motivo concernente la esclusione della deducibilità dei costi riportati nelle fatture soggettivamente inesistenti appare incomprensibile, tenuto conto che né dalla motivazione del p.v.c., né da quella dell’avviso d’accertamento impugnato eme rge che siano stati considerati indeducibili i predetti costi. Esattamente era stata ritenuta indeducibile l’Iva’. Ai costi, in sentenza, si fa riferime nto, sempre a pag. 7, lett. C-6), solo per quelli della ditta individuale, laddove la commissione regionale, avviandosi alla conclusione, afferma che ‘il fine elusivo dell’operazione si rinviene nell’addossare alla ditta individuale un costo ingiustificato al fine di ridurne il reddito, maggiormente tassato, a vantaggio della società di capitali, assoggettata a trattamenti fiscali più favorevoli’.
Manca dunque un riscontro obiettivo di un ‘doppio accertamento’ da cui risulti che l’amministrazione abbia applicato una ‘doppia imposizione’.
Con il quinto motivo è denunciato l’ ‘Error in procedendo – omessa pronuncia sulla prima parte del 3° motivo d’appello’ e la ‘violazione dell’art.
112 c.p.c, – Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.’ Il giudice regionale, a fronte delle difese articolate dalla contribuente nella 2° parte del terzo motivo d’appello, con cui era stato dedotto che in presenza di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili, oltre che i costi, anche l’Iva, qualora non sia posta in essere una evasione fiscale, si era limitata ad affermare che la critica era incomprensibile quanto alla indeducibilità dei costi, che non era mai stata contestata con l’atto impositivo, mentre, quanto all’iva, correttamente ne era stata riconosciuta l’indeducibilità.
Con il sesto motivo è denunciata la ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 14, comma 4 bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e dei principi in materia di deduzione dei costi risultanti da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti’ . Le critiche mosse con il quinto motivo sono riproposte sotto il profilo della violazione di legge.
Entrambe i motivi, da trattare anche in questo caso congiuntamente, sono infondati e meritano il rigetto.
La società torna e mettere in discussione la sentenza, sotto il profilo dell’errore processuale e di quello sostanziale, nella parte in cui nega la detraibilità dell’Iva per le ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti. Ciò viene riproposto sul crinale di una sovrapposizione tra deducibilità dei costi e detraibilità dell’iva. Si tratta di due prospettive non sovrapponibili nelle operazioni soggettivamente inesistenti.
La giurisprudenza di legittimità, a seguito della modifica introdotta nel 2012 all’art. 14, comma 4 bis, cit., ha chiarito il significato, la portata ed i limiti interpretativi della disciplina regolatrice le operazioni inesistenti, soggettivamente ed oggettivamente tali, anche quando relazionate a condotte penalmente rilevanti.
Nello specifico l’art. 8 prevede che «1. Il comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è sostituito dal seguente: “4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora
il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”. 2. Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell’articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi. Resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive».
È stato chiarito che ai sensi della norma novellata l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, anche
RGN 27657/2021 Consigliere rel. NOME
nell’ipotesi in cui sia consapevole del loro carattere fraudolento, salvi i limiti derivanti, in virtù del d.P.R. n. 917 del 1986, dai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. È invece esclusa la deducibilità dei costi delle operazioni oggettivamente inesistenti (Cass., 7 dicembre 2016, n. 25249; 6 luglio 2018, n. 17788; 15 marzo 2022, n. 8480). Peraltro per tali ultime operazioni, nonostante siano indeducibili i costi e le spese, al fine di non computare i ricavi, grava sul contribuente l’onere di provare la natura fittizia dei componenti positivi del reddito che, ai sensi dell’art. 8, comma 2, del d.l. cit., siano direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati e non devono pertanto concorrere alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; cfr. anche 20 aprile 2016, n. 7896; 8 ottobre 2014, n. 21189). Si è infatti affermato che per le operazioni oggettivamente inesistenti non vi è simmetria, né automatismo biunivoco, tra costi per acquisti inesistenti e ricavi dichiarati, e ciò giustifica l ‘onere della prova gravante sul contribuente in merito alla corrispondenza tra ricavi e costi attinenti a beni non effettivamente scambiati (Cass., 17 luglio 2018, n. 19000).
In tema di Iva poi, quanto alla prova di operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno in una frode carosello, questa Corte ha affermato che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione d’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del
caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369).
Quanto alla disciplina prevista dall’art. 21, comma 7, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è stato evidenziato che in caso di operazione inesistente, in difetto di rettifica o annullamento della fattura, sussiste l’obbligo di versamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato nel documento fiscale, in quanto la sua emissione determina l’insorgenza del rapporto impositivo, senza che ciò contrasti con il principio di neutralità dell’IVA, prevalendo la funzione ripristinatoria conseguente alla eliminazione del difetto di rettifica o annullamento della fattura, a meno che non sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale derivante dall’esercizio del diritto alla detrazione (Cass., 11 dicembre 2020, n. 28263; 12 marzo 2021, n. 6983; 19 agosto 2020, n. 17335).
La giurisprudenza della CGUE ha utilmente affermato che «dal solo fatto che l’amministrazione tributaria non abbia rettificato, in un avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto da esso dichiarata, non si può dedurre che tale amministrazione abbia riconosciuto che detta fattura corrispondeva a un’operazione imponibile effettiva». E che «i principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che non ostano a che il destinatario di una fattura si veda negare il diritto a detrarre l’imposta sul valore aggiunto a monte a causa dell’assenza di un’operazione imponibile effettiva, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizz ato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata. Se, tuttavia, tenuto conto di evasioni o irregolarità commesse da tale emittente o a monte dell’operazione dedotta a fondamento del diritto alla detrazione, tale operazione è considerata come non effettivamente realizzata, si deve dimostrare, alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche alle quali non è tenuto, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che detta operazione si inseriva nel quadro di un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare» (CGUE, in C-642/11, del 31 gennaio 2013).
RGN 27657/2021 Consigliere rel. COGNOME Dai principi richiamati si evince che la detraibilità dell’Iva operazioni soggettivamente inesistenti è delimitata dalla prova nelle della
incolpevole ignoranza della fittizietà soggettiva dell’operazione, e nella incolpevole inconsapevolezza che l’operazione sia finalizzata a frodare il fisco, architettando un meccanismo economico di cessioni al solo fine di assicurare un minore debito Iva verso l’erario.
A tali principi si è attenuta la Commissione tributaria regionale nel dichiarare l’indetraibilità dell’Iva. La ricostruzione dei fatti oggetto della presente controversia, infatti, porta a conclusioni esattamente opposte a quelle su cui insiste la ricorrente, atteso che proprio la centralità della figura del COGNOME nell’organizzazione delle operazioni soggettivamente inesistenti a mezzo della RAGIONE_SOCIALE, per essere socio e amministratore di questa e titolare della beneficiata ditta RAGIONE_SOCIALE esclude quanto meno l ‘ incolpevole inconsapevolezza delle conseguenze fiscali del meccanismo posto in atto.
In definitiva il ricorso va rigettato. All’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate, che si liquidano in € 4.300,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 30 aprile 2025