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Operazioni soggettivamente inesistenti e onere prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15670/2024, ha chiarito la ripartizione dell’onere probatorio in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. L’Agenzia delle Entrate deve fornire elementi presuntivi sulla fittizietà del fornitore e sulla consapevolezza del cessionario. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode. La Corte ha specificato che elementi come la congruità del prezzo o i pagamenti tracciabili non sono, da soli, sufficienti a provare la buona fede, poiché compatibili con lo schema fraudolento.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione chiarisce l’onere della prova

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 15670 del 5 giugno 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per il diritto tributario: le operazioni soggettivamente inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. Questa pronuncia fornisce importanti chiarimenti sulla diligenza richiesta all’imprenditore per non vedersi negato il diritto alla detrazione dell’IVA in contesti di frode. L’ordinanza analizza quali elementi siano idonei a dimostrare la buona fede dell’acquirente e quali, invece, siano considerati ‘neutri’ e quindi insufficienti.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società attiva nel settore della compravendita di autovetture. L’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di veicoli da due fornitori, ritenuti mere ‘società cartiere’ o interposte nell’ambito di una frode carosello. L’Amministrazione Finanziaria sosteneva che, sebbene le auto fossero state effettivamente acquistate, i fornitori indicati in fattura non erano i reali venditori, configurando così delle operazioni soggettivamente inesistenti.

La Commissione Tributaria Regionale aveva dato ragione alla società contribuente, ritenendo che il Fisco non avesse adeguatamente provato la consapevolezza della frode in capo all’acquirente. Secondo i giudici di merito, la società aveva fornito prove sufficienti della propria buona fede, come la congruità del prezzo, l’uso di pagamenti tracciabili e la presenza di una struttura operativa (un deposito e un piazzale) presso uno dei fornitori.

La Decisione della Corte sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza di secondo grado e rinviando la causa ad altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria. I giudici di legittimità hanno ritenuto che il giudice di merito abbia errato nell’applicare i principi consolidati in materia di onere probatorio nelle frodi IVA.

La Corte ha ribadito che, in questi casi, la prova si articola in due fasi distinte, con un’inversione dell’onere probatorio che scatta al verificarsi di determinate condizioni.

Le Motivazioni: la Ripartizione dell’Onere della Prova

Il cuore della decisione risiede nella precisa ricostruzione di come deve essere ripartito l’onere della prova tra le parti.

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: Al Fisco spetta il compito iniziale di dimostrare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, due elementi fondamentali:
a) L’oggettiva fittizietà del fornitore, ovvero che si tratta di una società interposta, priva di una reale struttura organizzativa e commerciale.
b) La consapevolezza del cessionario (l’acquirente) di essere parte di un’evasione, o quantomeno il fatto che avrebbe dovuto saperlo usando l’ordinaria diligenza richiesta a un operatore economico accorto.

2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Agenzia ha fornito questi elementi presuntivi, l’onere della prova si sposta sul contribuente. A questo punto, non è più sufficiente per l’acquirente dimostrare la mera regolarità formale delle operazioni. Egli deve fornire la prova contraria, dimostrando di:
a) Aver agito in totale assenza di consapevolezza di partecipare a un’evasione fiscale.
b) Aver adoperato la ‘massima diligenza esigibile’ per verificare la sostanza e l’affidabilità del fornitore ed evitare di essere coinvolto in una frode.

La Cassazione ha duramente criticato la decisione della corte territoriale per aver valorizzato elementi considerati ‘neutri’ o ‘non concludenti’. La congruità dei prezzi, l’uso di pagamenti tracciabili e la consegna effettiva della merce non sono di per sé sufficienti a dimostrare la buona fede. Questi elementi, infatti, sono pienamente compatibili con lo schema di una frode carosello, che viene appositamente costruita per apparire formalmente ineccepibile. Anche la presenza di un deposito merci non è, da sola, decisiva se non è supportata da prove di una reale e adeguata struttura operativa e personale in capo al fornitore.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un’importante monito per tutte le imprese. La Corte di Cassazione rafforza il principio secondo cui la lotta all’evasione IVA richiede un ruolo attivo e diligente da parte degli operatori economici. Non basta fermarsi alle apparenze: di fronte a indizi che possano far sospettare irregolarità (come un nuovo fornitore che offre prezzi particolarmente vantaggiosi), l’imprenditore accorto deve attivarsi per acquisire informazioni sulla reale esistenza e operatività della controparte.

In pratica, per tutelare il proprio diritto alla detrazione IVA, un’azienda deve essere in grado di dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che il proprio fornitore non fosse coinvolto in una frode. La semplice regolarità formale delle fatture e dei pagamenti non è uno scudo sufficiente contro le contestazioni del Fisco in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi ha l’onere iniziale della prova?
L’onere iniziale spetta all’Amministrazione Finanziaria, la quale deve fornire elementi, anche presuntivi, che dimostrino sia la natura fittizia del fornitore (come l’assenza di una reale struttura aziendale), sia la consapevolezza o la colpevole ignoranza dell’acquirente riguardo alla frode.

Cosa deve fare l’imprenditore per dimostrare la propria buona fede?
Una volta che il Fisco ha fornito gli indizi della frode, l’imprenditore deve provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Questo significa dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per verificare la reale operatività e affidabilità del fornitore, al fine di non essere coinvolto nell’evasione.

Il pagamento con mezzi tracciabili e la congruità del prezzo sono prove sufficienti per dimostrare la buona fede dell’acquirente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, questi elementi sono considerati ‘neutri’ e non concludenti. Essi, infatti, sono pienamente compatibili con uno schema fraudolento e vengono spesso utilizzati proprio per dare un’apparenza di legittimità all’operazione. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare che l’acquirente ha agito con la dovuta diligenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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