Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10036 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10036 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
Oggetto: iva – operazioni
soggettivamente
inesistenti – prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 504/2015 proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa come da procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO (PEC: EMAIL) presso il cui studio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, con domicilio in Roma, INDIRIZZO, presso l’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL)
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 2776/06/14 depositata in data 07/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/01/2024 dal Consigliere Relatore NOME COGNOME;
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento notificatole per l’anno 2005 con il quale l’Ufficio rideterminava il reddito d’impresa e l’iva dovuta sostenendo che la stessa aveva contabilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
-la CTP accoglieva il ricorso quanto ai recuperi ai fini IRES e IRAP e lo rigettava quanto all’IVA;
-appellava la società;
-la CTR del Lazio rigettava l’appello, in quanto riteneva irrilevante l’esito favorevole alla società -del procedimento penale, conclusosi con l’archiviazione; inoltre, il giudice dell’appello ha rilevato che era stata data prova da parte dell’ufficio che le fatture provenivano da soggetti commercialmente inesistenti; di conseguenza l’onere di contrastare questo assunto oppure di dimostrare la propria buona fede spettava al contribuente;
-ancora, secondo il giudice dell’appello la società non aveva fornito la documentazione inerente i contratti relativi ai servizi sottostanti le fatture ricevute né eventuali preventivi, offerte dalla ditta contraente, corrispondenza o lettere che dimostrassero l’esistenza dei rapporti intercorsi con i terzi, non risultando agli atti nessun documento prodromico all’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture; analogamente, secondo la sentenza impugnata non risultava fornita alcuna dimostrazione circa la buona fede del contribuente;
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-ricorre a questa Corte la società RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a sette motivi di gravame;
-resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE;
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la CTR erroneamente ritenuto indebita la detrazione dell’iva relativa alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, DPT di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE non avendo RAGIONE_SOCIALE dimostrato l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni, così ponendosi la sentenza impugnata in contrasto con il giudicato maturato sulla realità RAGIONE_SOCIALE operazioni stesse, della cui solo soggettiva inesistenza si discuteva; giudicato formatosi a seguito della mancata impugnazione da parte dell’Ufficio, del capo della decisione di primo grado che aveva ritenuta provata l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni in parola;
-il motivo è privo di fondamento;
-come emerge chiaramente dalla lettura della sentenza impugnata (pag. 2 secondo periodo) le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria si fondavano sulla natura RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate che sono state ritenute soggettivamente inesistenti, vale a dire esistenti nella realtà ma poste in essere da soggetti diversi da quelli formalmente rilevati nella contabilità come emittenti le fatture;
-in tal senso si esprime la sentenza impugnata, con chiarezza, in primo luogo quando espressamente distingue tra fatture soggettivamente inesistenti e fatture oggettivamente inesistenti, identificando le prime come ricadenti nel caso in cui ‘il documento viene emesso per una prestazione o una cessione realmente avvenuta ma l’emittente non è quello che
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effettivamente ha effettuato l’operazione’ (pag. 6 7); da tale affermazione si evince senza dubbio come il giudice dell’appello avesse ben chiara la distinzione tra i due diversi fenomeni, e abbia esaminato la fattispecie rilevante ai fini del processo consistente nell’emissione (da parte di soggetti che risultavano aver cessato l’attività) nell’utilizzo (da parte della contribuente) di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti;
-poiché quindi la controversia riguardava tale profilo, l’eventuale giudicato formatosi in ordine alla effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni risulta aspetto del tutto irrilevante ai fini del decidere, poiché l’ufficio ha contestato alla società contribuente non l’inesistenza oggettiva RAGIONE_SOCIALE prestazioni ma bensì l’inesistenza soggettiva cioè la discordanza tra il soggetto che risulta aver emesso le fatture utilizzate dalla società contribuente e il soggetto che ha effettivamente posto in essere le prestazioni;
-il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 19 c. 1 e 26 c. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c. per avere la sentenza d’appello erroneamente inteso gravare la contribuente dell’onere di dimostrare la realità RAGIONE_SOCIALE operazioni ad esse sottostanti quale presupposto per vedersi riconosciuta la legittimità della detrazione dell’iva pagata sulle fatture contestate; nel caso di specie la contribuente per contrastare efficacemente ai fini iva, l’assunto di inesistenza soggettiva, era tenuta a dimostrare l’ illegittimo affidamento serbato nella ‘bontà’ RAGIONE_SOCIALE dit te appaltatrici e non anche la realtà RAGIONE_SOCIALE operazioni stesse che non era stata messa in discussione dall’ufficio nell’accertamento e che inoltre è stata espressamente verificata dal giudice di primo grado con
sentenza sotto quel profilo non impugnata e quindi divenuta definitiva;
-il motivo è privo di fondamento;
-in realtà il giudice dell’appello ha correttamente governato i principi in materia di onere della prova; ciò si evince dalla parte conclusiva della motivazione in diritto, nella quale si osserva come ‘l’ufficio ha dimostrato che le fatture provengono da soggetti commercialmente inesistenti; di conseguenza, l’onere di contrastare questo assunto oppure di dimostrare la propria buona fede spettava al contribuente’.
-tale affermazione, del tutto inequivoca, è perfettamente coerente con i principi più volte enunciati da questa Corte, secondo la quale (tra molte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24471 del 09/08/2022; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020; Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9721 del 19/04/2018) in tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni ritenute dall’Ufficio soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;
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-ai fini della ripartizione dell’onere della prova, infatti, poiché il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva, incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione; solo raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di avere agito in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente; è rilevante precisare che la prova che deve essere fornita dall’amministrazione finanziaria in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale e in particolare: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione RAGIONE_SOCIALE operazioni, cioè che il soggetto formale non è quello reale; b) il fatto che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione Iva e, in questo ambito, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole; in questo ambito, mentre il primo profilo esige che si dia prova, anche solo in via presuntiva, della natura di interposto o “cartiera” del soggetto emittente le fatture, il secondo richiede che sia l’amministrazione finanziaria a provare, sia pure anche solo in base a presunzioni, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente, con l’emissione della relativa fattura, aveva evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale dubbio ovvero, con espressione efficace, “a
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porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente” (Corte di Giustizia 6 dicembre 2012, Bonik, C-285/11; Corte di Giustizia, Ppuh, C- 277/14, par. 50);
-in tale contesto, la successiva affermazione della pronuncia gravata relativa alla mancata prova fornita dalla società contribuente in ordine all’ esistenza dei contratti relativi ai servizi sottostanti le fatture ricevute e alla documentazione riguardante i rapporti intercorsi con terzi, risulta costituire affermazione di mero contorno, non certo riguardante l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE prestazioni oggetto di recupero, ma piuttosto ‘l’esistenza dei rapporti intercorsi con i terzi’, vale a dire la derivazione di tale prestazioni proprio dai soggetti che emisero le fatture;
-in altre parole la RAGIONE_SOCIALE sostiene che la società contribuente, mancando di fornire la documentazione, alla quale si fa riferimento nel passaggio motivazionale sopracitato, si è resa inadempiente all’obbligo di dimostrare che quei rapporti erano intercorsi proprio con quei terzi, vale a dire con i soggetti che risultano avere formalmente emesso le fatture contestate;
-nel complesso quindi l’impianto motivazionale, per le espressioni linguistiche utilizzate, non si presta ad alcuna censura relativa al governo corretto dei principi in materia di onere della prova;
-il terzo motivo si incentra sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., per avere la sentenza impugnata non solo erroneamente ritenuta non fornita la documentazione inerente i contratti relativi ai servizi sottostanti le fatture ricevute, né eventuali preventivi, corrispondenza o lettere atte a dimostrare l’esistenza dei
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rapporti commerciali, ma anche affermato che non risultava fornita alcuna dimostrazione circa la buona fede del contribuente; con ciò il giudice dell’appello secondo parte ricorrente -ha mancato di esaminare come la contribuente avesse dimostrato la propria buona fede attraverso la prova che la stessa non si era occupata di selezionare e gestire i rapporti con le ditte appaltatrici dei lavori di realizzazione dei films con le quali erano stati stipulati i contratti di Services avendo affidato tale compito al registro RAGIONE_SOCIALE opere realizzande, sig. NOME COGNOME; tale fatto storico emergerebbe dalla lettera di conferimento di incarico al COGNOME medesimo, datata 30 gennaio 2004, versata in atti e sottoposta all’esame della CTR;
-il motivo è inammissibile;
-la censura, infatti, non si articola nel concreto come doglianza relativa all’omesso esame di fatto decisivo del giudizio, ma ripropone a questa Corte valutazioni relative al merito della causa (i rapporti con le ditte appaltatrici dei lavori di realizzazione dei films, l’affidamento del compito attribuito al regista RAGIONE_SOCIALE opere realizzande), che non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità;
-il quarto motivo deduce la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. per avere il giudice dell’appello completamente travisato – pur chiamata a pronunciarsi sulla valenza dal punto di vista probatorio dell’esito del procedimento penale – la richiesta della contribuente ritenendo che la stessa avrebbe invocato l’efficacia vincolante della sentenza penale di assoluzione nell’ambito del giudicato tributario; in realtà la stessa intendeva piuttosto sottoporre all’attenzione del giudice dell’appello un’ulteriore elemento di prova; tale mezzo di
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impugnazione, in quanto strettamente ad esso connesso, può esaminarsi unitamente al quinto motivo che si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere il giudice dell’impugnazione omesso l’esame della circostanza emergente dal dato testuale della richiesta di archiviazione del reato ascritto all’amministratore della contribuente, sig. COGNOME, ovvero l’accertata assenza di colpevolezza, anche sotto il profilo dell’ignoranza senza colpa in capo alla società contribuente nell’esecuzione RAGIONE_SOCIALE operazioni oggetto di rilievo da parte dell’Amministrazione finanziaria;
-i motivi in argomento sono privi di fondamento;
-in realtà la sentenza impugnata ha correttamente preso in esame gli esiti del procedimento penale; lo si evince dal passaggio motivazionale con il quale si afferma che ‘le commissioni tributarie hanno, quindi, il potere/dovere di rivalutare la questione giuridica alla base dell’accertamento fiscale, ed il giudicato penale al massimo può costituire un indizio nella ricostruzione della dinamica fattuale’ (pag. 5 penultimo periodo);
-tale valutazione è stata correttamente operata da un lato escludendo qualsiasi automatismo tra gli esiti del procedimento penale e le risultanze che ne derivano nel processo tributario; dall’altro valutando gli esiti del procedimento come uno degli elementi atti a formare il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza o meno della pretesa tributaria azionata dall’amministrazione finanziaria;
-in tal senso il giudice di secondo grado si è dimostrato rispettoso dei principi illustrati da questa Corte secondo la quale (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27814 del 04/12/2020) in caso di
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operazioni soggettivamente inesistenti incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione;
-ancora, si è ulteriormente chiarito come (tra molte, si veda in termini Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17258 del 27/06/2019) la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare;
-il sesto motivo si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la CTR mancato di valutare che, all’epoca dell’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture contestate dall’Amministrazione finanziaria, una RAGIONE_SOCIALE ditte che avevano emesso tali documenti fiscali, la RAGIONE_SOCIALE, era un soggetto commercialmente
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esistente e quindi risultava infondato l’assunto erariale circa la inesistenza soggettiva RAGIONE_SOCIALE operazioni rese da tale società come pure si palesava irragionevole imputare alla società contribuente qualunque addebito in termini di mancata diligenza nel relazionarsi con un soggetto indebitamente considerato dall’ufficio come inesistente all’epoca di emissione RAGIONE_SOCIALE fatture;
-il motivo è fondato;
-invero, con riguardo a tale specifico profilo la CTR non ha speso neppure una parola, né ha implicitamente affrontata la questione posta, con ciò effettivamente mancando di esaminare il fatto storico dedotto;
-è chiaro, inoltre, che la circostanza posta a base del motivo (l’essere RAGIONE_SOCIALE società esistente all’epoca dell’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture contestate, in quanto cancellata successivamente, nel 2006) costituisce, secondo le indicazioni di questa Corte (si rimanda a Cass. Sez. 6 1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022) un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, certo non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che risultano irrilevanti;
-in accoglimento del motivo, la sentenza è quindi cassata sul punto con rinvio al giudice dell’appello;
-infine, il settimo motivo censura la pronuncia gravata per violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 54 c. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697, 2727, 2729 c.c. per avere la sentenza oggetto del ricorso violato le norme relative alla ripartizione dell’onere probatorio avendo l’Ufficio desunto la inesistenza della RAGIONE_SOCIALE per il fatto che la stessa risultava cessata il 25 luglio 2006 e
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cancellata il 1 agosto 2006 per trasferimenti in Ungheria; la cessazione in una annualità successiva (2006) rispetto a quella in cui il soggetto fornitore avrebbe emesso le fatture contestate (2005) costituirebbe secondo parte ricorrente elemento di fatto sprovvisto dei requisiti di gravità precisione e concordanza necessari per far scattare in capo alla contribuente l’onere di dar prova della propria buona fede;
-alla luce della decisione in ordine al sesto motivo, il motivo in argomento risulta assorbito;
-conclusivamente, va accolto il solo sesto motivo di ricorso; nel resto l’impugnazione va rigettata; la sentenza è quindi cassata con rinvio limitatamente al motivo oggetto di accoglimento;
p.q.m.
accoglie il sesto motivo di ricorso; dichiara inammissibile il terzo motivo; rigetta il primo, il secondo, il quarto, il quinto motivo di ricorso; dichiara assorbito il settimo; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, che deciderà anche quanto alle spese del presente giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2024.