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Operazioni soggettivamente inesistenti e onere prova

Una società di produzione si è vista negare la detrazione IVA per fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione ha parzialmente accolto il ricorso, annullando la decisione di merito. Il motivo è che il giudice non aveva esaminato un fatto decisivo: la reale esistenza di una delle società fornitrici al momento dell’emissione delle fatture, un elemento cruciale per valutare la buona fede del contribuente e la correttezza dell’accertamento fiscale.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: L’Onere della Prova e il Dovere del Giudice di Esaminare i Fatti

L’Ordinanza n. 10036/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla gestione delle controversie fiscali relative alle operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia chiarisce non solo la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, ma sottolinea anche il dovere imprescindibile del giudice di merito di esaminare tutti i fatti storici decisivi portati alla sua attenzione. Il caso in esame riguarda una società di produzione a cui era stata contestata la detrazione dell’IVA su fatture considerate sospette.

Il Contesto del Caso: Detrazione IVA e Fatture Sospette

Una società operante nel settore della produzione si era vista recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la detrazione dell’IVA relativa all’anno 2005. L’accusa era di aver utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, secondo il Fisco, le prestazioni erano state effettivamente ricevute, ma non dalle società che avevano emesso i documenti fiscali, considerate mere ‘cartiere’ o comunque soggetti commercialmente inesistenti.

La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la pretesa del Fisco, ritenendo che l’Amministrazione finanziaria avesse fornito prove sufficienti sull’inesistenza commerciale dei fornitori e che, di conseguenza, spettasse al contribuente dimostrare la propria buona fede, prova che non era stata fornita in modo adeguato.

La Ripartizione dell’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia di onere probatorio. In caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, la ripartizione è chiara:

1. Agenzia delle Entrate: Ha l’onere di provare, anche tramite presunzioni, che il fornitore indicato in fattura è un soggetto fittizio (una ‘cartiera’) e che il destinatario della fattura (il contribuente) sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso della normale diligenza, di essere parte di una frode fiscale. Il Fisco deve quindi fornire indizi che avrebbero dovuto mettere in allarme un imprenditore mediamente esperto.

2. Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito tali elementi, l’onere si sposta sul contribuente, il quale deve fornire la prova contraria. Egli deve dimostrare di aver agito in totale buona fede e di aver adottato tutte le cautele ragionevolmente esigibili per non essere coinvolto nella frode.

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il giudice di merito avesse applicato correttamente questo principio generale.

Il Fatto Decisivo Ignorato: L’Esistenza del Fornitore

Il punto di svolta del ricorso si è concentrato su un motivo specifico: l’omesso esame di un fatto decisivo. La società ricorrente aveva sostenuto, producendo prove documentali, che una delle società fornitrici contestate era, all’epoca dei fatti (2005), un soggetto commercialmente e legalmente esistente, essendo stata cancellata dal registro delle imprese solo in un momento successivo (2006).

Questo non è un mero dettaglio. L’esistenza effettiva del fornitore al momento della transazione è un fatto storico-naturalistico che contrasta direttamente con l’assunto del Fisco circa la sua natura fittizia. Il giudice di merito, tuttavia, non aveva speso una sola parola su questo punto, omettendo di esaminare una circostanza che, se verificata, avrebbe potuto scardinare l’intera accusa per quella parte di fatture e condurre a una decisione diversa.

La Decisione della Corte di Cassazione

Proprio su questo punto, la Suprema Corte ha accolto il ricorso. Ha stabilito che l’omesso esame di una circostanza così rilevante costituisce un vizio della sentenza. Non si tratta di una ‘questione’ o di una ‘argomentazione’, ma di un preciso fatto storico che doveva essere valutato.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio secondo cui il giudice d’appello ha il dovere di esaminare tutti i fatti storici decisivi che gli vengono sottoposti. Ignorare la prova dell’esistenza di una società fornitrice all’epoca dei fatti significa non compiere una valutazione completa del materiale probatorio. La cessazione dell’attività in un anno successivo non può, di per sé, essere un elemento sufficiente a dimostrare l’inesistenza soggettiva nell’anno precedente. La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, ma solo limitatamente al motivo accolto, e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per una nuova valutazione che tenga conto di questo fatto decisivo.

Le Conclusioni

Questa ordinanza è un monito importante sia per i contribuenti che per i giudici di merito. Per i contribuenti, conferma che la prova della buona fede è essenziale per difendersi dalle accuse di frode IVA e richiede la dimostrazione di aver agito con diligenza. Per i giudici, ribadisce che la decisione deve basarsi su un’analisi completa di tutti gli elementi fattuali rilevanti presentati dalle parti. Omettere l’esame di un fatto potenzialmente decisivo, come l’effettiva esistenza di un fornitore al momento dell’operazione, costituisce un vizio procedurale che porta all’annullamento della sentenza.

Cosa si intende per operazioni soggettivamente inesistenti?
Si tratta di operazioni commerciali che sono realmente avvenute (ad esempio, una prestazione di servizi è stata eseguita), ma sono state fatturate da un soggetto diverso da quello che le ha effettivamente realizzate. Lo scopo è solitamente fraudolento, come permettere una detrazione IVA indebita.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’onere della prova è ripartito: l’Amministrazione finanziaria deve provare che il fornitore era fittizio e che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode usando l’ordinaria diligenza. Successivamente, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver preso tutte le precauzioni ragionevoli per verificare l’affidabilità del fornitore.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza precedente?
La Corte ha annullato la sentenza perché il giudice di merito non ha esaminato un fatto storico decisivo sollevato dal contribuente: la prova che una delle società fornitrici era regolarmente esistente e operativa nell’anno in cui sono state emesse le fatture (2005), anche se è stata cancellata l’anno successivo. Questa omissione ha viziato la decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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