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Operazioni soggettivamente inesistenti: costi deducibili

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26482/2024, ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la deducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti. È stato stabilito che se i beni sono stati effettivamente acquistati e impiegati nell’attività d’impresa, i relativi costi sono deducibili, anche in presenza di un fornitore fittizio (società cartiera), a meno che non siano in contrasto con i principi di effettività e inerenza.

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Pubblicato il 23 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione conferma la deducibilità dei costi

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26482 del 10 ottobre 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: la gestione fiscale delle operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia chiarisce le condizioni per la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA in scenari di frode fiscale, bilanciando la lotta all’evasione con la tutela del contribuente in buona fede.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società operante nel settore delle carni. L’amministrazione finanziaria contestava la deducibilità di costi per oltre 64.000 euro e la detraibilità di IVA per circa 6.400 euro, sostenendo che le fatture si riferissero a operazioni soggettivamente inesistenti. In pratica, l’operazione commerciale (la compravendita di carne) era avvenuta, ma il fornitore indicato in fattura era una società ‘cartiera’, un soggetto fittizio creato per scopi fraudolenti.

La società, nel frattempo dichiarata fallita, impugnava l’atto impositivo. Inizialmente la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, annullando l’accertamento. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale (CTR) lo accoglieva solo in parte: riteneva legittimo il recupero dell’IVA, ma confermava la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette. La CTR basava la sua decisione sulla copiosa documentazione prodotta (bolle, fatture, pagamenti tracciati) e sulle risultanze di un processo penale conclusosi con l’assoluzione dell’amministratore della società. Insoddisfatta, l’Agenzia delle Entrate ricorreva in Cassazione.

L’Analisi della Cassazione sulle operazioni soggettivamente inesistenti

La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso dell’Agenzia, incentrati principalmente su due aspetti: l’errata valutazione delle prove del processo penale e la violazione delle norme sull’onere della prova e sulla deducibilità dei costi.

Autonomia tra Giudizio Penale e Tributario

La Cassazione ha ribadito il consolidato principio di autonomia tra il processo penale e quello tributario. Una sentenza di assoluzione penale non ha efficacia automatica di giudicato nel processo fiscale. Tuttavia, il giudice tributario può legittimamente utilizzare le risultanze e le prove raccolte in sede penale come elementi per formare il proprio convincimento, a patto di valutarle autonomamente insieme a tutta la documentazione disponibile. Nel caso di specie, la CTR non si è limitata a recepire passivamente la sentenza penale, ma ha condotto una propria valutazione, ritenendo che le prove (documenti di trasporto, pagamenti, libri contabili) confermassero la realtà delle operazioni commerciali.

L’Onere della Prova e la Deducibilità dei Costi

Il punto centrale della controversia riguarda l’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha chiarito che spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite indizi, non solo che il fornitore era un soggetto fittizio, ma anche che l’acquirente era consapevole (o avrebbe dovuto esserlo con l’ordinaria diligenza) della frode. Incombe invece sul contribuente la prova contraria, ossia di aver agito in totale buona fede e di aver adottato tutte le cautele necessarie per non essere coinvolto in un’evasione.

Per quanto riguarda la deducibilità dei costi, la Cassazione ha applicato l’art. 14, comma 4-bis, della L. 537/1993, che consente di dedurre i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti a condizione che sussistano i requisiti generali di effettività, inerenza, competenza e certezza. In altre parole, se l’acquisto dei beni è reale e tali beni sono effettivamente impiegati nell’attività d’impresa, il relativo costo può essere dedotto, anche se l’acquirente era consapevole del carattere fraudolento dell’operazione (a meno che i beni stessi non siano stati utilizzati per commettere un reato).

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha ritenuto infondati tutti i motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità hanno osservato che la CTR ha correttamente applicato i principi giuridici menzionati. La sentenza di secondo grado, seppur sintetica, ha esposto in modo chiaro le ragioni per cui ha ritenuto provata l’effettività delle operazioni di acquisto della merce. La CTR ha correttamente valorizzato la documentazione contabile e bancaria, che dimostrava l’avvenuto scambio delle merci e i relativi pagamenti. Di conseguenza, ha concluso che, vertendosi in un’ipotesi di operazioni solo soggettivamente inesistenti, con scambio effettivo di beni, i costi correlati fossero deducibili ai sensi della normativa vigente, non essendo stato provato che tali beni fossero stati utilizzati per commettere ulteriori reati. La Corte ha quindi respinto il tentativo dell’Agenzia di far gravare sul contribuente l’onere di provare la realtà di operazioni che, nella loro materialità, non erano mai state contestate.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio a tutela del contribuente. Anche in contesti di frode fiscale legati all’uso di società cartiere, la deducibilità dei costi non è automaticamente esclusa. Se il contribuente può dimostrare che l’operazione commerciale è stata reale, che i beni sono stati effettivamente ricevuti e impiegati nel ciclo produttivo, il costo rimane deducibile. Resta fermo, invece, l’indetraibilità dell’IVA, poiché legata alla regolarità formale e sostanziale della fattura emessa da un soggetto passivo reale. La decisione sottolinea l’importanza di una valutazione autonoma e approfondita da parte del giudice tributario, che non può limitarsi a negare un diritto sulla base del solo sospetto di coinvolgimento in una frode, ma deve basare la propria decisione su un quadro probatorio completo e coerente.

I costi derivanti da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti sono deducibili?
Sì, secondo la Corte di Cassazione i costi sono deducibili a condizione che si riferiscano a beni o servizi effettivamente acquistati e impiegati nell’attività d’impresa e rispettino i principi generali di effettività, inerenza e competenza. La deducibilità è ammessa anche se l’acquirente era consapevole della natura fittizia del fornitore, purché i beni non siano stati usati per commettere un reato.

Una sentenza di assoluzione in un processo penale ha valore vincolante nel processo tributario?
No, vige il principio di autonomia tra i due processi. Il giudice tributario non è automaticamente vincolato dalla decisione del giudice penale, ma può utilizzare le prove e le risultanze del processo penale come elementi per formare il proprio convincimento, valutandole in modo autonomo insieme a tutta la documentazione disponibile.

Come è ripartito l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che il fornitore era un soggetto fittizio (es. una società cartiera) e che l’acquirente era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’operazione fraudolenta. Il contribuente, a sua volta, ha l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito in buona fede e di aver adottato tutte le cautele necessarie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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