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Operazioni soggettivamente inesistenti: Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società, confermando la legittimità degli avvisi di accertamento per IVA indetraibile derivante da operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che spetta all’Amministrazione finanziaria provare, anche tramite indizi, la fittizietà del fornitore e la consapevolezza del cessionario. Il contribuente deve, a sua volta, dimostrare di aver agito con la massima diligenza. La sentenza ha inoltre confermato la validità del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di indizi di reato e la legittimità delle sanzioni aggravate.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: L’Onere della Prova per la Cassazione

Con l’ordinanza n. 20506 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni soggettivamente inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione ribadisce principi consolidati, offrendo importanti chiarimenti sulla diligenza richiesta all’imprenditore per non cadere nelle maglie di una frode IVA e sulle conseguenze in termini di accertamento e sanzioni. Il caso analizzato riguarda una società che si era vista contestare la detrazione dell’IVA a causa dell’utilizzo di fatture emesse da società rivelatesi mere “cartiere”.

I Fatti di Causa: una controversia su fatture e frode IVA

Una società a responsabilità limitata si è vista notificare cinque avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indetraibilità dell’IVA relativa agli anni d’imposta dal 2013 al 2017. La contestazione si fondava sull’utilizzo di fatture per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. In pratica, sebbene le operazioni commerciali fossero state eseguite, i fornitori indicati in fattura erano soggetti fittizi, interposti allo scopo di realizzare una frode fiscale.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avevano dato ragione all’Amministrazione finanziaria, ritenendo che quest’ultima avesse fornito prove “gravi, precise e concordanti” non solo sull’inesistenza dei fornitori, ma anche sulla consapevolezza della società contribuente di far parte del sistema fraudolento. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando, tra le altre cose, una motivazione apparente da parte dei giudici di merito e una violazione delle regole sull’onere della prova.

La Decisione della Corte e le operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della società, confermando la solidità della decisione di secondo grado e cogliendo l’occasione per ribadire i principi cardine in materia.

Onere della Prova e Consapevolezza della Frode

Il punto centrale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte ha chiarito che l’Amministrazione finanziaria, per contestare la detrazione IVA, deve dimostrare due elementi:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore (la sua natura di “cartiera”).
2. La consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta. Questa consapevolezza può essere provata anche tramite indizi, dimostrando che l’imprenditore, usando l’ordinaria diligenza, sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode.

Una volta che il Fisco ha fornito questa prova, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito in totale assenza di consapevolezza e di aver adoperato la “massima diligenza esigibile da un operatore accorto” per evitare di essere coinvolto. Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che il contribuente non avesse fornito alcuna prova di aver effettuato i controlli sostanziali necessari sull’effettiva operatività dei fornitori.

Il Raddoppio dei Termini di Accertamento

Un altro motivo di ricorso riguardava l’applicazione del raddoppio dei termini per l’accertamento, previsto in presenza di reati tributari. La società sosteneva che la norma non fosse applicabile. La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, confermando che il raddoppio scatta quando esistono “seri indizi di reato” che fanno sorgere l’obbligo di denuncia penale, a prescindere dal fatto che la denuncia sia stata effettivamente inoltrata o che abbia riguardato soggetti diversi.

Legittimità dell’Accertamento Integrativo e delle Sanzioni

Infine, la Corte ha giudicato legittimo sia l’avviso di accertamento integrativo per l’anno 2013, in quanto basato sulla “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” emersi da una successiva verifica fiscale, sia l’applicazione di sanzioni maggiorate. Queste ultime sono state ritenute giustificate dalla gravità della condotta, dalla sua reiterazione per più anni e dal rilevante danno economico procurato all’Erario.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. I giudici hanno sottolineato come la motivazione della sentenza di secondo grado non fosse affatto “apparente”, ma al contrario avesse minuziosamente ricostruito i fatti, evidenziando elementi probatori concreti: la natura di società “cartiere” dei fornitori, lo scambio di email che provava l’interposizione, il fatto che la società contribuente trattasse direttamente con i fornitori reali (esteri o italiani), le intercettazioni telefoniche e l’acquisto di prodotti sottocosto. Di fronte a un quadro probatorio così solido fornito dall’Agenzia delle Entrate, la difesa del contribuente è apparsa debole e incapace di dimostrare la propria buona fede e la diligenza richiesta.

Conclusioni

La pronuncia conferma la linea dura della giurisprudenza in materia di frodi IVA basate su operazioni soggettivamente inesistenti. Per gli imprenditori, il messaggio è chiaro: la mera regolarità formale dei documenti (fatture, pagamenti tracciabili) non è sufficiente a garantire la detrazione dell’IVA. È necessario adottare un approccio proattivo e sostanziale, verificando con la massima diligenza l’effettiva struttura operativa e l’affidabilità dei propri partner commerciali. In assenza di tali cautele, il rischio di essere considerati consapevoli partecipanti a una frode, con tutte le conseguenze fiscali e sanzionatorie che ne derivano, è estremamente elevato.

Chi deve provare la frode in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche con indizi, sia la natura fittizia del fornitore (la cosiddetta “cartiera”), sia la consapevolezza del cessionario di essere parte di un’evasione fiscale. Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente dimostrare di aver agito in buona fede e con la massima diligenza.

Quando si applica il raddoppio dei termini di accertamento fiscale?
Secondo la sentenza, i termini di accertamento sono raddoppiati quando esistono seri indizi di un reato tributario che fanno scattare l’obbligo di presentare una denuncia penale. Ciò vale anche se la denuncia viene archiviata, presentata in ritardo o riguarda soggetti diversi dal contribuente accertato.

Cosa deve dimostrare un’azienda per non essere considerata complice della frode?
L’azienda deve provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Non basta la regolarità formale di pagamenti e contabilità. È necessario dimostrare di aver effettuato tutti i controlli, formali e sostanziali, per accertare l’effettiva operatività dei fornitori, come la verifica della loro struttura aziendale, del personale e dei beni strumentali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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