Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27053 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27053 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5804/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILpec.ordineavvocatitrevisoEMAIL) e dall’avv. prof. NOME COGNOME (pecEMAIL) presso il cui studio legale sito in Roma, alla INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata;
– ricorrente –
Oggetto
: operazioni
soggettivamente inesistenti
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza n. 2074/01/2016 della Commissione tributaria regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata in data 21/07/2016; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 11 luglio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto tre avvisi di accertamento ai fini IVA ed imposte dirette (queste ultime oggetto di successivo provvedimento di annullamento in autotutela) per gli anni d’imposta 2004, 2005 e 2006, che l’Agenzia delle entrate emise nei confronti della RAGIONE_SOCIALE sulla scorta delle risultanze di un processo verbale di constatazione emesso dalla G.d.F., da cui era emerso l’utilizzo, da parte della predetta società contribuente, di fatture relative a sponsorizzazioni inesistenti con associazioni sportive dilettantistiche gravitanti nell’orbita dell’effettivo sponsee, ASD Pallamano Secchia, la CTR dell’Emilia Romagna accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado limitatamente agli accertamenti per il 2004 e il 2005, che annullava, e lo respingeva in relazione all’anno 2006.
1.1. Secondo i giudici di appello:
-) non sussisteva l’eccepito difetto di sottoscrizione degli atti impositivi avendo l’Agenzia delle entrate depositato l’ordine di servizio n. 37/2011 relativo ai funzionari delegati alla sottoscrizione degli atti e provvedimenti a rilevanza esterna, non essendo necessaria che tali funzionari avessero anche qualifica dirigenziale essendo invece sufficiente che fossero impiegati della carriera direttiva;
-) la censura era anche inammissibile, perché proposta dall’interessato in sede di motivi aggiunti, anche ad onta del divieto dello ius novorum in appello;
-) erano nulli gli accertamenti relativi al 2004 e al 2005 perché la comunicazione della denuncia della Guardia di Finanza di Mirandola era avvenuta il 12 aprile 2011 e pertanto dopo la scadenza del termine quadriennale per la presentazione delle dichiarazioni relative ai periodi di imposta 2004 (Unico 2005 presentato il 26/10/2005) e 2005 (Unico 2006 presentato il 30/10/2006), in ciò condividendo l’assunto della società ricorrente secondo cui la cd. clausola di salvaguardia di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 128/2015 rimane transitoriamente in vigore per gli accertamenti notificati con il raddoppio a condizione che la denuncia sia trasmessa all’A.G. nei termini ordinariamente previsti per l’accertamento, mentre nella specie ciò non era avvenuto con riferimento agli avvisi di accertamento relativi ai due predetti anni d’imposta in relazione ai quali la comunicazione di notizia di reato era avvenuta il 12 aprile 2011 e pertanto dopo la scadenza del termine quadriennale per la presentazione delle relative dichiarazioni reddituali;
-) era infondata la medesima censura formulata con riferimento all’anno d’imposta 2006, stante la tempestività della comunicazione della notizia di reato rispetto a tale anno d’imposta in presenza di un illecito penale comportante l’obbligo di denuncia, adeguatamente accertato dai giudici di primo grado secondo cui nel caso di specie ‘ci si trova di fronte a ben più che ad un generico sospetto di una eventuale attività illecita’;
-) erano infondate le censure di violazione del diritto di difesa, delle norme procedimentali sulle attività istruttorie e di difetto di motivazione degli atti impositivi per il rinvio ad atti e provvedimenti sconosciuti al contribuente, in quanto «l’atto amministrativo finale di imposizione tributaria, il quale sia il risultato dell’esercizio di un potere frazionato anche in poteri istruttori attribuiti, in proprio o per delega ad altri uffici
amministrativi, è legittimamente adottato quando – munendosi di un’adeguata motivazione – faccia propri i risultati conseguiti nelle precedenti fasi procedimentali», come era accaduto nel caso di specie; invero, «L’amministrazione ha chiarito (pag. 6 delle controdeduzioni prot. n. 88109 del 5/11/2013) che nel caso in esame il processo verbale è stato emesso a seguito di attività istruttoria operata dalla G.d.F. di Mirandola a cui gli atti impositivi hanno fatto riferimento: nello stesso verbale, regolarmente sottoscritto, è stato precisato che la contribuente è stata resa edotta del reparto presso il quale la stessa poteva avere informazioni in ordine all’attività svolta. La parte è stata pertanto informata della contestazione a suo carico anche se non ha preso effettivamente parte all’attività istruttoria: le è stata infatti rilasciata copia del verbale conclusivo in ordine al quale al contribuente consentito di presentare osservazioni e richieste e la qualcosa è stata fatta dalla società RAGIONE_SOCIALE con le osservazioni in data 12/5/2011 nelle quali è puntualmente contestato l’addebito»;
-) non aveva «alcun rilievo l’argomento – già confutato dalla decisione impugnata e riproposto nell’appello -secondo cui non necessariamente doveva essere la società RAGIONE_SOCIALE ad emettere fattura, in quanto, nell’ambito di un contratto di mandato senza rappresentanza, anche le ASD fatturanti avevano titolo per effettuare le operazioni quale controparte giuridica. In disparte l’insufficienza dell’argomentazione perché non sorretta da alcun elemento probatorio, deve essere ulteriormente evidenziato come l’imposta sul valore aggiunto si fondi su elementi formali che attengono alla contabilità aziendale, ai quali è estranea la possibilità di mutamento soggettivo fra il beneficiario della prestazione e l’emittente la fattura»;
-) rimaneva «insuperato quanto affermato nel verbale circa il carattere unicamente “cartolare” e fittizio delle associazioni sportive dilettantistiche nei cui confronti veniva emessa la fattura, in mancanza di
una vera e propria sede legale e in assenza dell’esercizio di alcuna attività sportiva trovando bensì la loro causa nella finalità di sostituirsi all’ ASD Pallamano Secchia nella stipula di contratti di pubblicità e nella successiva emissione di fattura onde consentire a quest’ultima di sottrarre all’imposizione gli importi … dell’lva scaturenti da fittizi ricavi di sponsorizzazione»;
-) quanto al profilo soggettivo, ovvero alla consapevolezza della società contribuente di essere coinvolta in operazioni inesistenti, a fronte dell’ampia prova fornita dall’amministrazione finanziaria circa il carattere soggettivamente fittizio delle operazioni fatturate, parte ricorrente non aveva dimostrato il perché le prestazioni pubblicitarie fossero effettuate avvalendosi di una squadra di altra ASD, non costituendo adeguata giustificazione l’affermazione della società contribuente di non essersi mai preoccupata di analizzare a quale società appartenesse la squadra; correttamente l’ufficio aveva sostenuto che la dimostrazione della buona fede di RAGIONE_SOCIALE necessitava di chiarezza sui rapporti contrattuali sottostanti fra le società e soprattutto del perché il suo simbolo comparisse sulle foto pubblicitarie ufficiali della squadra di serle A/1 “Pallamano Secchia” e non sull’ ASD Secchia RAGIONE_SOCIALE
-) la sentenza impugnata non meritava censura neppure con riferimento alle sanzioni applicate alla società contribuente «avendo confermato quale elemento psicologico la colpa dell’autore materiale»; «la contribuente aveva omesso di esercitare la dovuta vigilanza sulle fatture e che la decisione si sia pronunziata sull’elemento psicologico delle violazioni contestate al fini sanzionatori (punto F della sentenza) sì che la colpa non necessita di ulteriore dimostrazione, salvo precisare che l’assoluzione in sede penale non opera ex se nell’ambito fiscale»;
-) andava rigettato anche il motivo con cui la società appellante aveva dedotto l’esistenza di una interposizione reale anziché fittizia di persona sulla scorta dei contratti intercorsi fra la ASD Pallamano Secchia
e l’Associazione Sportiva RAGIONE_SOCIALE nonché fra quelli intercorsi fra l’ASD RAGIONE_SOCIALE Secchia e Secchia RAGIONE_SOCIALE, stante l’irrilevanza che da un punto di vista fiscale le modalità di fatturazione fra il terzo (RAGIONE_SOCIALE) e l’ASD RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la sentenza d’appello la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi cui non replica l’intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 21-septies, comma 1, della legge n. 241 del 1990 «in merito all’obbligo di sottoscrizione da parte del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva» degli avvisi di accertamento impugnati.
1.1. Sostiene la ricorrente che «gli avvisi di accertamento in oggetto sono stati sottoscritti da un soggetto sulla base di una delega solo genericamente dichiarata in sede d’accertamento e che non permette di apprezzare se il delegato abbia i requisiti previsti dall’art. 42 del DPR n. 600 del 1973, il giudicante avrebbe dovuto dichiarare l’atto nullo, se non addirittura giuridicamente inesistente. Al contrario, il Giudicante non solo non ha annullato gli atti impositivi sotto tale profilo, ma ha addirittura ritenuto, del tutto erroneamente, che la questione dovesse essere tempestivamente sollevata dalla parte, con esclusione della possibilità di dedurre la stessa per la prima volta in appello o, comunque, di essere rilevata d’ufficio».
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 per non avere i giudici di appello rilevato d’ufficio l’inesistenza o la nullità insanabile ed originaria dell’atto impositivo.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., «in merito alla sottoscrizione degli atti impositivi ed
alla assenza assoluta della prova della presenza dei requisiti nel soggetto indicato in atti».
I motivi, in quanto tutti incentrati sulla illegittima sottoscrizione degli avvisi di accertamento, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili, a fronte dell’accertamento di fatto contenuto in sentenza che ‘ L’Agenzia ha depositato in atti l’ordine di servizio n. 37/2011 relativo ai funzionari delegati alla sottoscrizione degli atti e provvedimenti a rilevanza esterna in conformità all’art. 42, DPR n. 600/73… (enfasi aggiunta) (punto 3).
4.1. Il terzo motivo, con cui è dedotto un vizio logico di motivazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., si pone in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo cui «L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate» ( ex multis , Cass. n. 2268 del 2022). E al riguardo è evidente che la deduzione dell’erronea valutazione, da parte dei giudici di appello, dell’atto di delega di firma prodotta dall’Agenzia delle entrate, non costituisce un ‘fatto’ nel senso sopra indicato.
4.2. Ritiene il Collegio altresì necessario precisare che il secondo motivo di ricorso è anche manifestamente infondato in quanto il difetto di sottoscrizione dell’avviso di accertamento è causa di nullità e non di inesistenza dello stesso, come erroneamente sostiene la ricorrente. Ciò si desume dal combinato disposto dai commi 1 e 3 dell’art 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 secondo cui «L’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione » (comma 3), del capo dell’ufficio o di altro impiegato
della carriera direttiva delegato dal primo. L’espressione «non reca la sottoscrizione» contenuta nella sopra citata disposizione è all’evidenza riferibile sia alla mancanza assoluta della sottoscrizione che all’apposizione della stessa da parte di un soggetto non legittimato, per mancanza di delega o, come si sostiene nel caso di specie, per difetto di appartenenza alla carriera direttiva del funzionario delegato. E tale nullità non può essere rilevata d’ufficio ma dev’essere tempestivamente dedotto dal contribuente.
4.3. Al riguardo si è affermato che «In tema di contenzioso tributario, è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si denunci un vizio dell’atto impugnato diverso da quelli originariamente allegati, censurando, altresì, l’omesso rilievo d’ufficio della nullità, atteso che nel giudizio tributario, in conseguenza della sua struttura impugnatoria, opera il principio generale di conversione dei motivi di nullità dell’atto tributario in motivi di gravame, sicché l’invalidità non può essere rilevata di ufficio, né può essere fatta valere per la prima volta in sede di legittimità» (Cass. n. 22810/2015; conf. Cass. n. 19929/2020).
4.4. Sulla scorta di tale principio si è successivamente ribadito che «le forme di invalidità degli atti tributari, anche ove indicate dal legislatore con il nomen di nullità, non sono denunciabili in ogni stato e grado del processo e non possono, quindi, essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione (tra le tante, Cass., 09/11/2015, n. 22810); tale principio è riferibile anche all’ipotesi – che viene qui in rilievo – della nullità dell’avviso di accertamento per essere stato sottoscritto da un soggetto diverso da quelli indicati nel primo comma dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 (Cass., 24/06/2016, n. 13126;), per la quale, del resto, vale anche l’espressa previsione del secondo comma dell’art. 61 del d.P.R. n. 600 del 1973 (secondo cui «a nullità dell’accertamento ai sensi del terzo comma dell’art. 42 deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado»)» (così in Cass. n. 24669/2021).
4.5. È ben vero che tale ultima disposizione, che comunque è applicabile ratione temporis al caso di specie, è stata abrogata dall’art. 130 del d.lgs. n. d.lgs. n. 175 del 2014 del 2024 (T.U. sulla giustizia tributaria), ma è anche vero che in materia è intervenuto il d.lgs. n. d.lgs. n. 219 del 2023, recante «Modifiche allo statuto dei diritti del contribuente» che, con effetto dal 1° gennaio 2024, ha introdotto nella legge n. 212 del 2000 gli artt. 7-bis, 7-ter e 7-quater disciplinanti, rispettivamente, l’annullabilità, la nullità e l’irregolarità degli atti dell’amministrazione finanziaria. Orbene, come correttamente osservato già da Cass. n. 2385/2025, la nuova disciplina è imperniata, quanto alle ipotesi di invalidità, sulla dicotomia tra atti annullabili (la generalità), per i quali è escluso il rilievo d’ufficio, e quelli nulli, espressamente individuati in quelli viziati per difetto assoluto di attribuzione, o adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali ma da disposizioni entrate in vigore successivamente al predetto decreto, per i quali vale al contrario la regola del rilievo d’ufficio. In particolare, la disposizione detta la regola per cui solo le ipotesi di atti esplicitamente qualificati come nulli da una legge entrata in vigore successivamente al 1° gennaio 2024 sono soggetti al rilievo d’ufficio della relativa invalidità, così ulteriormente confermando le conclusioni qui tratte circa la non rilevabilità d’ufficio dell’invalidità dell’atto amministrativo per violazione del disposto di cui all’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Con il quarto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 43, co. 3 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, co. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 in combinato disposto dall’art. 331 c.p.p.
5.1. Sostiene la ricorrente che nella specie non poteva operare il raddoppio dei termini di accertamento con riferimento all’anno d’imposta 2006, in relazione al quale la comunicazione di notizia di reato era
comunque tempestiva, per insussistenza di un reato, stante il decreto di archiviazione del procedimento penale incardinatosi a carico del legale rappresentante della società contribuente a seguito di quella comunicazione, emesso dal G.I.P. presso il Tribunale di Modena su conforme richiesta del Procuratore della Repubblica.
5.2. Sostiene inoltre la ricorrente che il giudice tributario è «condizionato, per non dire vincolato, dall’eventuale esito del giudizio penale aperto in conseguenza della comunicazione inviata alla Procura della Repubblica».
5.3. Il motivo è infondato e va rigettato.
5.4. In materia di raddoppio dei termini di accertamento, è orientamento giurisprudenziale, al quale il Collegio intende dare continuità ed in relazione al quale il motivo omette di confrontarsi, quello secondo cui il predetto raddoppio presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, non rilevando né la configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né l’intervenuta archiviazione della denuncia, «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario» (in termini, Cass. n. 9974/2015, n. 16728/2016, n. 22337/2018, n. 5228/2019, n. 27250/2022 e più recentemente Cass. n. 600/2025 e n. 666/2025).
5.5. La Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011 ha evidenziato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto
con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento», con la precisazione però che «il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato» (§ 5.3. della sentenza della Corte costituzionale).
5.6. Da quanto detto discende che il contribuente, ove voglia contestare l’accertamento compiuto oltre il termine ordinario, dovrà denunciare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia e non potrà mettere in discussione la sussistenza del reato, né sotto il profilo dell’elemento oggettivo, né sotto quello dell’elemento soggettivo, né infine dal punto di vista del suo autore, posto che tale accertamento è precluso al giudice tributario (Cass. n. 27629/2018, n. 17586/2019, n. 13481/2020).
5.7. Proprio sulla scorta della sopra citata sentenza della Corte Costituzionale (n. 247 del 2011), questa Corte ha affermato che il giudice tributario, al fine di verificare l’uso pretestuoso del raddoppio dei termini, dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta « prognosi postuma ») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità, con la precisazione, però, che il correlativo tema di prova – e, quindi, l’oggetto della valutazione da effettuarsi da parte del giudice tributario – è circoscritto al riscontro dei presupposti dell’obbligo di denuncia penale e non riguarda l’accertamento del reato (cfr., in senso
analogo su tutti i principi sopra enunciati, Cass. n. 7487 del 2022, non massimata).
5.8. Da quanto detto discende l’evidente infondatezza della tesi di parte ricorrente secondo cui il giudice tributario sarebbe addirittura vincolato «dall’eventuale esito del giudizio penale aperto in conseguenza della comunicazione inviata alla Procura della Repubblica», ciò potendosi verificare soltanto nei limiti e nell’accertata sussistenza dei presupposti di cui all’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, di recente introduzione.
5.9. A ciò aggiungasi che la sentenza impugnata contiene un espresso accertamento di tale presupposto là dove si legge che «Non risponde al vero che la Commissione provinciale abbia omesso ogni accertamento sull’esistenza del reato: si dà atto (a pag. 5 della sentenza impugnata) della presenza della denuncia a carico del legale rappresentante della società, ritenuta essa stessa elemento idoneo a generare il raddoppio che opera pienamente e incondizionatamente. Nel caso di specie conclude la decisione alla luce del PVC di Correggio pare non revocabile in dubbio che l’ufficio abbia agito, presentando una denuncia, con doverosa diligenza. Il raddoppio è stato così ritenuto legittimo perché nel caso di specie ‘ci si trova di fronte a ben più che ad un generico sospetto di una eventuale attività illecita».
Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Errata valutazione dei fatti che integrerebbero i presupposti per il raddoppio dei termini per l’accertamento».
6.1. Il motivo è inammissibile perché formulato in violazione del disposto di cui all’art. 348-ter cod. proc. civ., ora 360, quarto comma, cod. proc. civ., così come già detto esaminando il terzo motivo di ricorso.
6.2. Il motivo è comunque manifestamente infondato alla stregua di quanto si è detto esaminando il precedente motivo di ricorso.
Analoga sorte, di inammissibilità ex art. 348-ter cod. proc. civ., subisce il sesto motivo di ricorso con cui la ricorrente deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la «mancata valutazione da parte del giudice di merito degli elementi decisivi offerti dalla società contribuente a sostegno della propria buona fede».
7.1. Quanto alla censura di «Falsa applicazione dell’art. 19 del DPR 633/1972, nonché della sesta direttiva CEE 77/388/CEE, modificata dalla dir. 2006/112/CE ed interpretata dalla Corte di giustizia UE», pure dedotta nel motivo in esame, la stessa è inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
7.2. Innanzitutto, perché è la stessa ricorrente ad ammettere di non essersi minimamente preoccupata, perché ritenuto non necessario, di verificare che il soggetto emittente la fattura fosse lo stesso di quello che aveva effettuato la sponsorizzazione.
7.3. In secondo luogo, perché la censura in esame si pone in evidente difformità al consolidato indirizzo espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, di cui si dirà a breve, ed è quindi inammissibile ex art. 360-bis cod. proc. civ.
7.4. Sostiene la ricorrente che le prove contrarie da essa addotte nel processo e consistenti nell’utilizzo di mezzi di pagamento tracciabili, nella coerenza delle prestazioni con il fatturato realizzato, nel rispetto del principio di economicità per avere comunque conseguito un vantaggio economico per effetto delle sponsorizzazioni ed infine nella irrilevanza del soggetto che aveva emesso le fatture, sarebbero idonee a dimostrare la propria buona fede.
7.5. Nessuna di tali circostanze è invece dirimente secondo la giurisprudenza anche unionale.
7.6. Invero, richiamando quanto da ultimo ribadito da Cass. n. 7974/2025, in motivazione, è priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto
sull’esistenza o meno di un vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., sez. 5, 24/09/2014, n. 20059; Cass., sez. 5, 14/01/2015, n. 428; Cass., sez. 6-5, 5/12/2017, n. 29002; Cass., sez. 6-5, n. 13409 del 2021; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, causa C-277/14, che afferma che “in circostanze del genere il soggetto passivo deve essere considerato…partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle”).
Con il settimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997.
8.1. Sostiene che nella specie difetta la colpa, quale elemento necessario per l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, in quanto l’elemento soggettivo e, quindi, la colpevolezza, era stato escluso in sede penale.
8.2. Il motivo è manifestamente infondato.
8.3. Si è affermato che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ai fini dell’esclusione di responsabilità per difetto dell’elemento soggettivo, grava sul contribuente ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 la prova dell’assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d’ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l’uso dell’ordinaria diligenza» (Cass. n. 12901/2019).
8.4. Si è, quindi, precisato che «In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l.
n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza» (Cass. n. 2139/2020).
8.5. Nel caso di specie, la confessata indifferenza della società contribuente ad accertare la corrispondenza tra il soggetto emittente la fattura e quello che aveva reso la relativa prestazione, rende palese la sussistenza dei presupposti applicativi della sanzione pecuniaria.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato senza necessità di provvedere sulle spese in mancanza di costituzione dell’intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 11 luglio 2025.
La Presidente NOME–NOME COGNOME