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Operazioni soggettivamente inesistenti: Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’azienda del settore elettronico contro un avviso di accertamento per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che spetta all’amministrazione finanziaria provare, anche tramite indizi, la fittizietà del fornitore e la consapevolezza del cessionario. Quest’ultimo deve poi dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode, non essendo sufficiente la mera regolarità contabile. La sentenza affronta anche la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati tributari.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione sull’Onere della Prova

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle operazioni soggettivamente inesistenti, fornendo chiarimenti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova tra amministrazione finanziaria e contribuente. La decisione analizza il caso di una società operante nel commercio di elettronica, alla quale era stata contestata l’indebita detrazione dell’IVA derivante da fatture emesse da una società ‘cartiera’ e da altre operazioni ritenute fittizie. Vediamo nel dettaglio i fatti e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Una società specializzata nel commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA relativa all’anno d’imposta 2012. L’atto impositivo contestava principalmente due tipologie di illeciti:
1. Operazioni soggettivamente inesistenti relative a fatture ricevute da una società cipriota, rivelatasi una mera ‘cartiera’, ovvero una società esistente solo sulla carta per emettere fatture false.
2. Indebita detrazione di IVA per operazioni intracomunitarie e altre transazioni con società nazionali, anch’esse considerate fittizie.

Secondo l’accusa, i beni oggetto delle cessioni non erano stati consegnati alla società cipriota, ma a un diverso operatore nazionale. La Commissione Tributaria Provinciale prima, e quella Regionale poi, avevano entrambe respinto i ricorsi della società, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandosi a quattordici distinti motivi.

Analisi dei Motivi del Ricorso e Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha esaminato e rigettato tutti i quattordici motivi di ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. Analizziamo i punti salienti.

La Questione del Raddoppio dei Termini di Accertamento

La società ricorrente lamentava l’illegittimità del raddoppio dei termini di accertamento, sostenendo che la notizia di reato a suo carico non fosse oggettivamente riferibile alla specifica fattispecie tributaria. La Corte ha respinto questa doglianza, chiarendo che, secondo la normativa applicabile all’epoca dei fatti (ratione temporis), il presupposto per il raddoppio era il semplice riscontro di fatti che comportassero l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dalla sua effettiva presentazione o dall’esito del procedimento penale. Il giudice tributario deve solo verificare se l’amministrazione abbia agito in modo corretto e non pretestuoso nell’invocare tale presupposto.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

Il cuore della controversia riguarda la prova della frode. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento in materia. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere della prova è così ripartito:
L’Amministrazione Finanziaria: deve provare, anche attraverso presunzioni, non solo che il fornitore era un soggetto fittizio (una ‘cartiera’), ma anche che il destinatario della fattura (il contribuente) era consapevole o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.
Il Contribuente: una volta che l’Ufficio ha fornito tali indizi, spetta al contribuente fornire la prova contraria. Egli deve dimostrare di aver agito in totale buona fede e di aver adoperato la ‘massima diligenza esigibile’ da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode.

Cosa Significa ‘Massima Diligenza’?

La Corte ha sottolineato un punto fondamentale: la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è di per sé sufficiente a dimostrare la buona fede. La mancanza di struttura logistica e operativa del fornitore, ad esempio, è un forte indizio della sua natura fittizia. L’imprenditore accorto deve andare oltre le apparenze formali e verificare la sostanza economica della propria controparte commerciale per non rischiare di vedersi disconosciuta la detrazione IVA.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Suprema Corte si fonda sul principio di neutralità dell’IVA e sulla necessità di contrastare le frodi fiscali, come le cosiddette ‘frodi carosello’. I giudici hanno chiarito che il diritto alla detrazione IVA non è assoluto, ma è condizionato alla reale esistenza dell’operazione e alla buona fede dei soggetti coinvolti. Se il contribuente, pur non partecipando attivamente alla frode, avrebbe potuto scoprirla usando una diligenza superiore a quella meramente formale, perde il diritto a detrarre l’imposta. La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente applicato questi principi, valorizzando gli elementi presuntivi forniti dall’Agenzia e giudicando non sufficiente la prova contraria offerta dalla società.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano la detrazione IVA in presenza di operazioni fraudolente. Per le imprese, il messaggio è chiaro: non basta assicurarsi che le fatture siano formalmente corrette e che i pagamenti siano tracciabili. È necessario un approccio proattivo di ‘due diligence’ sui propri partner commerciali. Verificare la loro effettiva struttura operativa, la loro storia e la loro affidabilità è un passo essenziale per proteggersi dal rischio di essere inconsapevolmente coinvolti in schemi di evasione fiscale e subire le gravi conseguenze che ne derivano, come il recupero dell’imposta e l’applicazione di pesanti sanzioni.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare cosa?
L’Agenzia delle Entrate ha l’onere di provare, anche con indizi, che il fornitore era fittizio e che il destinatario della fattura era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo, della frode. A quel punto, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto.

La sola regolarità formale delle fatture e dei pagamenti è sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente?
No. Secondo la sentenza, la regolarità formale della contabilità e la tracciabilità dei pagamenti non sono, da sole, sufficienti a provare la buona fede. Il contribuente deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele ragionevoli per verificare la reale esistenza e operatività del proprio fornitore.

Quando era legittimo il raddoppio dei termini di accertamento fiscale secondo la normativa applicabile al caso?
In base alla disciplina vigente all’epoca dei fatti contestati, il raddoppio dei termini di accertamento era legittimo se l’amministrazione finanziaria riscontrava fatti che comportavano l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal fatto che la denuncia fosse stata effettivamente presentata o dall’esito del successivo procedimento penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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