Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31328 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31328 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27146/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA n. 1136/2021 depositata il 23/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica, impugnava l’avviso di accertamento mirato a recuperare importi Iva relativamente all’anno 2012. L’atto impositivo contestava operazioni soggettivamente inesistenti, avuto riguardo a fatture contabilizzate, relative ai rapporti con la società cipriota RAGIONE_SOCIALE rivelatasi essere una mera ‘cartiera’; viene contesta l’indebita detrazione pure in rapporto ad operazioni intracomunitarie ritenute inesistenti. Nella specie, i verificatori avevano riscontrato che i beni oggetto delle cessioni erano stati in realtà consegnati ad un diverso soggetto, operatore nazionale. Inoltre, venivano recuperati altri importi Iva indebitamente detratti in correlazione ad operazioni soggettivamente fittizie poste in essere con le società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
La CTP di Milano rigettava il ricorso della contribuente.
Non miglior sorte assisteva il successivo appello di quest’ultima, del pari respinto.
Il ricorso per cassazione della RAGIONE_SOCIALE è affidato ora a quattordici motivi di ricorso. L’Agenzia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa motivazione in ordine alla non riferibilità oggettiva delle notizie di reato prodotte in allegato alle controdeduzioni al ricorso introduttivo alle fattispecie tributarie, relativamente alle quali la
sentenza impugnata ha ritenuto legittimo il raddoppio dei termini di accertamento.
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR si è diffusamente pronunciata sull’operatività del raddoppio dei termini, implicitamente rigettando anche la censura articolata nel ricorso in appello, a tenore della quale detto raddoppio sarebbe stato inapplicabile. Pertanto, non ricorre l’omissione di pronuncia ascritta alla CTR. Del resto, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione, così da doversi ritenere implicitamente rigettate le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014).
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600 del 1973, nella versione applicabile ratione temporis , per avere la sentenza impugnata ritenuto che una notizia di reato, non oggettivamente riferibile alla fattispecie tributaria oggetto di accertamento, sia idonea a raddoppiare i termini di decadenza per effettuare tale accertamento.
Il secondo motivo è infondato.
La CTR ha motivatamente argomentato l’applicabilità del raddoppio.
Non vengono in rilievo, le modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha circoscritto il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di decadenza dal potere di accertamento, quindi, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della I. 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini
ordinari. Infatti, quanto alla prima modifica, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, la stessa non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, quali sono quelle in oggetto, in cui la notifica dell’avviso di accertamento è precedentemente intervenuta. Quanto alla ulteriore modifica, il regime transitorio previsto dalla L. n. 208 del 2015 per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso delle indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132, riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, d.lgs. n. 128 del 2015 sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (cfr. Cass. n. 26037 del 2016; Cass. n. 16728 del 2016). Ciò posto, secondo la disciplina applicabile al caso in esame, il raddoppio dei termini deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p., indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (v. Cass. n. 22337 del 2018; Cass. n. 11171 del 2016).
Infatti, come, evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.247 del 2011, l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché « il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento ».
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., ‘ per motivazione contraddittoria, perplessa o incomprensibile in relazione all’esistenza o meno della deduzione in sede procedimentale di fatti e circostanze nuovi rispetto a quelli di cui al PVC idonei a inibire ab origine la pretesa erariale e al conseguente obbligo specifico di motivazione ‘.
Il motivo non coglie nel segno e va rigettato.
La CTR ha esercitato il proprio sindacato di merito in ordine ai presupposti alla base del recupero fiscale. In particolare, il giudice regionale, svolgendo un accertamento di fatto ad esso riservato, ha escluso che gli elementi veicolati dalla parte contribuente fossero inediti e corroborati da un elemento di novità suscettibile di incidere sulla fondatezza della pretesa tributaria. Pertanto, la ricorrente odierna traligna, attraverso la propria censura, il recinto del vizio ex art. 360, n. 4, c.p.c., mirando ad ottenere una diversa e più appagante ricostruzione del merito della controversia.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva
2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, ‘ per avere la sentenza impugnata ritenuto che la contribuente sia stata posta nelle condizioni di esercitare in maniera effettiva il proprio diritto di difesa nei confronti della pretesa erariale motivata sulla base di procedimenti di indagini di polizia giudiziaria e amministrativi di contestazione effettuati nei confronti di terzi soggetti, procedimenti rispetto ai quali la parte privata non ha mai avuto difficoltà di accesso e verifica’ .
Il motivo è inammissibile.
All’accertamento di fatto rigorosamente svolto sui presupposti alla base della pretesa fiscale e sulla piena conoscenza/conoscibilità degli elementi sottesi all’accertamento, la contribuente contrappone, non una reale difformità rispetto ad un paradigma normativo, ma una diversa, inammissibile ricostruzione del merito della vicenda.
Con il quinto motivo di ricorso si lamenta, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa o apparente motivazione in ordine all’accertamento della reale sussistenza della frode contestata e alla prova contraria dedotta dalla contribuente e con riguardo all’inesistenza soggettiva delle operazioni fatturate e alla buona fede della contribuente.
Il motivo è inammissibile.
La CTR ha puntualmente motivato su tutti i profili che parte ricorrente assume obliterati.
Il mezzo di ricorso mira, pertanto, ad ottenere una ricostruzione differente del merito della controversia, postulando l’esercizio di un sindacato di fatto, invero precluso in questa sede.
Con il sesto motivo di ricorso di ricorso si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione della Direttiva 1006/112/CE e dell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, ‘ in relazione alla
prova contraria richiesta nella specie trascendente la regolarità cartolare dell’operazione ‘.
Il motivo è infondato.
Diversamente da quanto opinato dalla contribuente giova considerare l’insufficienza della regolarità formale dell’operazione a provare la diligenza del contribuente.
Questa Corte ha condivisibilmente affermato, infatti, che ‘ In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione
finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022).
Con il settimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 38 e ss. d.P.R. n. 600 del 1973, 19 ss. d.P.R. n. 633 del 1972, 2697 e 2729 c.c., in relazione all’omessa prova da parte dell’Ufficio dell’inesistenza soggettiva delle operazioni per cui è causa e della asserita frode presupposta in relazione all’indebita inversione dell’onere probatorio in capo al contribuente circa la relativa incolpevole buona fede.
Il motivo è infondato.
La CTR ha, infatti, ricostruito la frode, valorizzando elementi presuntivi idonei a dar conto dell’inesistenza soggettiva delle operazioni. Questa Corte ha osservato ancor di recente che ‘ In particolare, la mancanza di struttura e di logistica divengono profilo sintomatico della fittizietà delle operazioni sul piano soggettivo. In questo quadro, il giudice regionale ha fatto rigorosa applicazione dei principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nel versante di riferimento. In tema di detrazione dell’IVA, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi ‘ (Cass. n. 24471 del 2022). Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, ‘ l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione
finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’ (Cass. n. 9851 del 2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 17619 del 2018; Cass. n. 15369 del 2020) .
Con l’ ottavo motivo di ricorso si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633 del 1973, 17 nn. 2 e 6, 18 e 22 della Sesta Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, ‘ per avere la sentenza impugnata confermato l’illegittima ripresa a tassazione di un’imposta effettivamente versata dalla contribuente ‘.
Il motivo è infondato.
La CTR ha escluso la detraibilità dell’IVA avuto riguardo alla ritenuta fittizietà soggettiva delle operazioni. Da ciò derivava l’insussistenza dei presupposti della detrazione, i quali muovono dalla necessaria salvaguardia del principio di neutralità dell’IVA. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era
consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente che intenda detrarre l’IVA la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
Con il nono motivo si censura la violazione o falsa applicazione dell’art. 41 D.L. n. 331 del 1993, per avere la sentenza impugnata ‘ ritenuto l’insussistenza della cessione intracomunitaria e della relativa esenzione IVA pur avendo accertato fatto l’effettivo trasferimento dei beni in un diverso stato comunitario, disconosciuto sulla base dell’asserito successivo rientro dei beni nel territorio italiano ‘.
Il motivo è inammissibile.
Esso, sotto lo schermo apparente della dedotta violazione di legge, invoca nella sostanza una rivisitazione del merito della controversia.
La CTR ha svolto il sindacato ad essa riservato, escludendo, sulla scorta degli elementi istruttori nella propria disponibilità, che si sia concretizzata una cessione intracomunitaria, dal momento che la cessione non allocava stabilmente in un diverso stato membro i beni nella disponibilità cessionario apparente, posto che la Slovenia rappresentava mero luogo di snodo e di transito, essendo l’operazione finalizzata ad assicurare l’immediato ritorno in Italia della merce.
Ha affermato condivisibilmente questa Corte che ‘ In tema di I.V.A., ed in fattispecie di cessione intracomunitaria ex art. 41 del d.l. 30 agosto 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, grava sul cedente, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di dimostrare, con mezzi adeguati, tali da non lasciare dubbi, i presupposti della deroga al normale regime impositivo e, cioè, non solo la consegna della merce al vettore, ma anche l’effettività dell’esportazione in altro Stato membro e la propria buona fede, potendo, quindi, essere negata, secondo la sentenza della Corte di Giustizia CE del 6 settembre 2012 (C-273/11), l’esenzione al contribuente ove risulti, in base ad elementi oggettivi, che egli, conoscendo o avendo dovuto conoscere che l’operazione effettuata rientrava in un’evasione posta in essere dall’acquirente, non aveva adottato misure ragionevoli per evitare di parteciparvi ‘ (Cass. n. 4636 del 2014). Ha soggiunto incisivamente questa Corte che ‘ In tema di IVA, ove l’Amministrazione finanziaria contesti l’imponibilità di cessioni relative a merci che si ritengano fittiziamente esportate in altro Paese membro della UE, grava sul cedente l’onere di provare l’effettività del trasporto nel territorio dello Stato in cui risiede il cessionario ‘ (Cass. n. 29498 del 2020).
Con il decimo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 12 D.Lgs. n. 472 del 1997, in ragione del disconoscimento della continuazione.
Il motivo è infondato.
La CTR ha spiegato i parametri e i criteri ai quali si è attenuta nella statuizione relativa al computo delle sanzioni.
La violazione della norma evocata in rubrica non ricorre a tenore dell’insegnamento nomofilattico, alla cui stregua ‘ in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai sensi dell’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, in caso di processi separati relativi ad avvisi contenenti irrogazione di
sanzioni della stessa indole, commesse in periodi di imposta diversi, l’ultimo giudice è competente a rideterminare la “sanzione complessiva” fino a che le precedenti sentenze non siano passate in giudicato (Cass. n. 5648 del 2020; Cass. n. 9501 del 2017).
Con l’ undicesimo motivo si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 20 D.L. n. 74 del 2000, 654 c.p.p. e 2697 c.c., ‘ per avere la sentenza impugnata disconosciuto la rilevanza probatoria nel giudizio tributario della sentenza di assoluzione penale del Tribunale di Bergamo numero 198/2014 ‘, senza verificarne l’incidenza nel giudizio tributario odierno.
Con il dodicesimo motivo si contesta la violazione o falsa applicazione degli artt. 111, 112, 131 e 132 c.p.c., per omessa motivazione in ordine all’irrilevanza probatoria della sentenza di assoluzione del tribunale di Bergamo numero 198/2014.
I due motivi sono inammissibili.
La CTR ha svolto un accertamento di fatto, in base al quale la pronuncia resa in sede penale, richiamata in entrambi i mezzi di ricorso, non lambisce il nucleo della controversia odierna, in quanto non entra ‘ nel merito del coinvolgimento della società in operazioni fraudolente in materia di IVA ‘. A fronte di questo apprezzamento di merito, la censura si risolve in una sostanziale richiesta -preclusa in questa sede -di rivisitazione della vicenda fattuale e del corredo istruttorio. Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni
per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499).
Con il tredicesimo motivo si contesta, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 19, co. 3, D.Lgs. n. 546 del 1992, in relazione alla ritenuta inammissibilità del motivo di appello relativo all’illegittimità del disconoscimento della cessione intracomunitaria per l’anno d’imposta 2011 e alla conseguente illegittimità della contestazione relativa all’indebito utilizzo del plafond nel 2012.
Il motivo non coglie nel segno e va disatteso.
La CTR non ha ritenuto l’inammissibilità del motivo d’appello; ha, piuttosto, escluso la sussistenza della cessione intracomunitaria, evidenziando come si sia registrato, nel caso di specie, un trasferimento effettivo dei beni. Questo accertamento di fatto non sottende alcuna contrarietà a norme; la difformità denunciata mira, pertanto, all’evidenza ad ottenere una nuova ricostruzione del merito della controversia, il che è sì inammissibile.
Con il quattordicesimo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione, ai sensi degli artt. 7 e 16 D.Lgs. n. 472 del 1997, ‘ per avere ritenuto la legittimità di un provvedimento sanzionatorio motivato in modo apodittico senza alcun riferimento alle modalità di condotta del contribuente ‘.
La CTR ha diffusamente motivato, sia in punto di parametri adottati, sia in punto di metodologia impiega, in relazione al trattamento sanzionatorio.
Con ogni evidenza la ricorrente, sotto le mentite spoglie del vizio di violazione di legge, lungi dall’adombrare un attrito rispetto ad un paradigma normativo di riferimento, invoca una riconsiderazione in parte qua del merito della controversia, postulando un sindacato invero precluso nella presente sede.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 07/11/2024.