Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31206 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31206 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14435/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOMEINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO-VENEZIA n. 1420/2019 depositata il 18/12/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si evince quanto segue:
-‘a seguito degli sviluppi di un’indagine della Guardia di finanza di Saronno su una frode carosello è stato accertato che la RAGIONE_SOCIALE ha annotato in contabilità operazioni passive derivanti da fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE per la fornitura di materiali che in realtà erano prodotti e prelevati dai magazzini della società RAGIONE_SOCIALE e pagati con titoli di credito emessi a favore della RAGIONE_SOCIALE e da quest’ultima girati alla RAGIONE_SOCIALE. Dalle indagini è inoltre emerso che in alcune occasioni RAGIONE_SOCIALE ha effettuato direttamente pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, cioè ha pagato la merce ad un soggetto diverso dall’emittente della fattura. Sempre dalla verifica è emerso che RAGIONE_SOCIALE non figurava nella lista dei fornitori consegnata ai verificatori dal legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE‘;
-‘l’Agenzia delle entrate ha emesso i quattro avvisi di accertamento in contestazione con i quali ha contestato a RAGIONE_SOCIALE l’indebita detrazione dell’iva relativa alle fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, ritenuta dall’Amministrazione finanziaria una ‘cartiera’, che nell’ambito delle indagini è risultata presentare dichiarazioni dei redditi radicalmente diverse da quanto accertato’;
-in particolare, con avviso di accertamento emesso per l’anno 2008, ‘l’Ufficio ha contestato la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per un imponibile di 25.182,58 euro’; con quello emesso per l’anno 2009, ‘ha contestato la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per un imponibile di 73.620, 06 euro’; con quello emesso per l’anno 2010, ‘ha contestato la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per un imponibile di 176.656,49 euro’; con quello emesso per l’anno 2011, ‘ha contestato la contabilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti per un imponibile di 116.140,24 euro’;
-‘richiamato il processo verbale di constatazione redatto il 16/05/2014, nelle motivazioni degli atti impositivi l’Amministrazione finanziaria ha illustrato dettagliatamente i presupposti dei recuperi fiscal e le modalità e criteri adottati per determinare le maggiori imposte, sanzioni ed interessi’.
La contribuente proponeva distinti ricorsi avverso gli avvisi innanzi alla CTP di Treviso, che, riunitili, li accoglieva.
Entrambe le parti proponevano appello.
3.1. La CTR COGNOME Veneto, con la sentenza in epigrafe, accoglieva quello dell’Ufficio e rigettava quello della contribuente, sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
Nel caso in esame i fatti acquisiti dalla Guardia di finanza e posti alla base degli avvisi di accertamento, ai quali si rinvia, costituiscono un insieme di elementi gravi, precisi e concordanti idonei a dimostrare, se non un ruolo organico di RAGIONE_SOCIALE nella gestione della frode fiscale, quantomeno un atteggiamento
passivo a fronte delle palesi anomalie da parte delle società fornitrici.
Tali anomalie avrebbero dovuto indurre il socio unico e amministratore di RAGIONE_SOCIALE ad agire con la diligenza necessaria , al contrario ha prestato acquiescenza alle operazioni palesemente irrituali.
Quanto all’appello incidentale la società contribuente ripropone l’eccezione di illegittimità degli avvisi di accertamento per violazione del principio del contraddittorio preventivo.
Nel caso in esame, pur sussistendo l’obbligo richiamato dalla giurisprudenza, essendo oggetto del recupero l’iva che è un tributo armonizzato, la parte contribuente afferma che l’ufficio si è riservato di prendere visione dei documenti consegnati a seguito di invito, ma, anziché convocare un ulteriore contraddittorio ha emesso gli avvisi di accertamento.
Tuttavia la difesa di parte contribuente non dimostra quali ulteriori documenti o elementi decisivi ai fini della verifica avrebbe esposto in occasione di tale ulteriore contraddittorio pertanto non risulta assolto l’onere probatorio richiesto dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale di legittimità affinché si possa ritenere violato il principio del contraddittorio’.
La contribuente proponeva ricorso per cassazione con quattro motivi; resisteva l’Agenzia con articolato controricorso.
4.1. Il Consigliere delegato formulava proposta di definizione del giudizio ex art. 380 -bis cod. proc. civ., ravvisando, dopo ampi richiami giurisprudenziali in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, la complessiva infondatezza del ricorso.
La contribuente si opponeva, chiedendo decidersi il ricorso.
4.2. In vista dell’udienza camerale di discussione, la medesima deposita ampia memoria telematica, ulteriormente illustrando i motivi di ricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc civ. e 36 D.Lgs. n. 546 del 1992 per difetto assoluto di motivazione e/o motivazione apparente o manifestamente perplessa, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.
1.1. La motivazione della sentenza impugnata ‘si estrinseca in argomentazioni del tutto apodittiche, disancorate dalla fattispecie concreta e sprovviste di riferimenti specifici e puntuali alle questioni in contestazione e assolutamente inidonee a rivelare la ‘ratio decidendi’ nonché ad evidenziare gli elementi che giustifichino il convincimento del giudice e ne rendano possibile il controllo di legittimità’.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato.
È sufficiente una semplice lettura della sentenza impugnata per appurare come la stessa esibisca una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che contenutistico, dovendosi per l’effetto escludere alcuna ipotesi di omessa motivazione o di motivazione meramente apparente. Quel che il motivo mira a censurare non è
un’assenza grafica o contenutistica della motivazione, ma piuttosto l’insieme delle argomentazioni che la CTR ha profuso per addivenire alla decisione. Nondimeno, la deduzione di un tale vizio non è più consentita, quand’anche si avesse a riqualificare la censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. Vale, invero, l’insuperato insegnamento secondo cui ‘la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’ (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01).
Con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 del DPR n. 633 del 1972, 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. Premesso che, in tema di diniego del diritto di detrazione, la prova che l’Amministrazione deve fornire riguarda il duplice profilo oggettivo e soggettivo, ‘nel caso di specie, la decisione del Giudice d’appello in ordine all’esistenza di un’operazione soggettivamente
inesistente si fonda unicamente sull’affermazione di un asserito contegno acquiescente e non sufficientemente diligente in capo al ricorrente: sennonché l’indagine sull’elemento soggettivo in capo al contribuente è indagine che si pone necessariamente in un momento successivo all’accertamento della sussistenza dell’elemento oggettivo in relazione al quale l’affermazione dei giudici di appello si risolve nel dire -del tutto apoditticamente senza alcun cenno ad elementi specifici -che si sarebbe trattato di ‘palesi anomalie’ e di ‘operazioni palesemente irrituali’.
2.2. Il motivo – peraltro di per sé inammissibilmente volto a formulare una critica, oltretutto priva di alcun riferimento concreto agli atti di causa, al percorso motivazionale seguito dalla CTR – è manifestamente infondato.
La CTR, infatti, ben lungi dal dare per scontato il profilo oggettivo della frode, ne offre una sintetica ma puntuale ricostruzione nella parte della sentenza dedicata al ‘fatto e svolgimento del processo’, ove rende dettagliatamente conto degli elementi di fatto emersi in sede di indagine della Guardia di finanza e condivisi dall’Agenzia negli avvisi di accertamento, che a loro volta richiamavano ‘il processo verbale di constatazione redatto il 16/05/2014’ . Di poi, nella parte propriamente motivazionale della sentenza impugnata, la CTR richiama ‘expressis verbis’ i suddetti elementi di fatto (‘ i fatti acquisiti dalla Guardia di finanza e posti alla base degli avvisi di accertamento, ai quali si rinvia ‘), ritenendo – alla stregua di un incensurato accertamento di fatto – che gli stessi sostanzino indizi gravi, precisi e concordanti in funzione della prova, ‘se non un ruolo organico di RAGIONE_SOCIALE nella gestione della frode fiscale, quantomeno un
atteggiamento passivo a fronte di palesi anomalie da parte delle società fornitrici’.
Talché, alla luce di una doverosa lettura unitaria – e non parcellizzata, come preteso nel motivo – della sentenza impugnata, emerge avere la CTR ritenuto in fatto l’esistenza della frode, sulla base in particolare della discrasia tra ‘la fornitura dei materiali’ e la dinamica dei pagamenti, con il pieno coinvolgimento della contribuente, la quale, ‘in alcune occasioni’, ‘ha effettuato direttamente pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE‘, non figurante nella lista dei fornitori fornita in verifica dal legale rappresentante della contribuente, ‘cioè ha pagato la merce ad un soggetto diverso dall’emittente della fattura’.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 del DPR n. 633 del 1972, 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.; ommessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio alla luce delle medesime disposizioni normative, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
3.1. Con riferimento al profilo soggettivo, ‘il Giudice d’appello ha ignorato i principi in tema di detrazione dell’iva e di criteri di riparto dell’onere della prova circa la conoscenza che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione s’iscrivesse in un’evasione o altre irregolarità commesse dall’emittente della fattura o da altro operatore, intervenuto ‘a monte’ nella catena delle cessioni’. In particolare, gli avvisi di accertamento si fondano essenzialmente sulla circostanza ‘che gli acquisti sarebbero avvenuti ‘a prezzi inferiori’ ‘. ‘RAGIONE_SOCIALE ha però allegato e provato, in replica alle affermazioni dell’amministrazione, la
propria assoluta estraneità e buona fede’, deducendo specifiche circostanze, di cui la CTR non ha tenuto conto.
3.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto:
-cumula profili censorii eterogenei e finanche incompatibili, quali una pretesa ommessa, insufficiente e contraddittoria motivazione a fronte di simultanee violazioni di legge, che di per sé presuppongono, invece, una motivazione effettiva ed intelligibile;
-non deduce in cosa consistano le lamentate violazioni di legge;
-non deduce alcun fatto storico decisivo e controverso di cui la CTR avrebbe omesso l’esame;
-denuncia vizi motivazionali al di fuori, come già visto a proposito del primo motivo, del paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
-non riproduce, in violazione dei principi di precisione ed autosufficienza, né il contenuto degli avvisi di accertamento né il contenuto dei documenti prodotti, a sostegno delle tesi difensive, nei gradi di merito, limitandosi, in nota, a lunghi richiami ad atti di parte;
-è patentemente orientato, come i suddetti richiami rendono evidente, a sollecitare a questa Suprema Corte un nuovo e più favorevole giudizio di merito (già congruamente e motivatamente attinto dalla CTR), in violazione di canoni e limiti del giudizio di cassazione, che costituisce un momento di controllo della mera legalità, e quindi legittimità, delle sentenze impugnate.
Il motivo è, altresì e comunque, manifestamente infondato.
In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per ope -razioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la ces -sione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la parteci -pazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, in -serite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di pro -vare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consa -pevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rap -porto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17
maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unionale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e NOME, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
La CTR ha fatto pedissequa applicazione dei superiori principi, evidenziando come, ‘a fronte delle palesi anomalie da parte delle società fornitrici’, che ‘avrebbero dovuto indurre il socio unico e amministratore di RAGIONE_SOCIALE ad agire con la diligenza necessaria’, onde evitare il coinvolgimento in sé nella frode, la contribuente abbia assunto ‘un atteggiamento passivo’. Né siffatto giudizio della CTR è imputabile di incoerenza con le risultanze fattuali, in quanto, come già
rilevato, ‘in alcune occasioni RAGIONE_SOCIALE ha effettuato direttamente pagamenti alla RAGIONE_SOCIALE di fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE, cioè ha pagato la merce ad un soggetto diverso dall’emittente della fattura’, dimostrando pertanto finanche (piena) consapevolezza del suo illecito agire.
Con il quarto ed ultimo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, st. contr. e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.; omessa motivazione circa un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
4.1. ‘La sentenza di secondo grado è viziata anche nella parte in cui ha rigettato il motivo di appello incidentale con cui RAGIONE_SOCIALE ha riproposto la censura di violazione del principio del contraddittorio preventivo ‘sub specie’ del diritto di essere sentiti’.
4.2. Il motivo è inammissibile e comunque manifestamente infondato.
È inammissibile in quanto:
-è cumulativo, senza che lo sviluppo illustrativo consenta di individuare le parti pertinenti agli eterogenei profili censorii rubricati;
-non deduce alcun fatto storico decisivo e controverso di cui la CTR avrebbe omesso l’esame;
-denuncia vizi motivazionali al di fuori, come già visto a proposito del primo motivo, del paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;
-al cospetto della perentoria affermazione della CTR secondo cui ‘la difesa di parte contribuente non dimostra quali ulteriori documenti o elementi decisivi ai fini della verifica avrebbe esposto in occasione
di tale ulteriore contraddittorio’, non riproduce con esigibile ampiezza, incorrendo pertanto in difetto di precisione ed autosufficienza, gli atti di parte nei giudizi di merito in guisa da render conto dell’aver ‘funditus’ allegato la cd. prova di resistenza.
Il motivo è, altresì e comunque, manifestamente infondato.
Emerge dalla sentenza impugnata che ‘la parte contribuente’ si doleva di ciò ‘che l’ufficio si è riservato di prendere visione dei documenti consegnati a seguito di invito, ma, anziché convocare un ulteriore contraddittorio ha emesso gli avvisi di accertamento’.
Emerge dal ricorso (punto 3.) che ‘in data 11/07/2014 la ricorrente ha prodotto una memoria difensiva, ex art. 12, comma 7, l.n. 212/2000 con allegata documentazione atta a dimostrare la sua completa estraneità ai fatti contestati, ove in particolare controdeduceva che ‘.
Ne consegue che, a seguito di invito, la contribuente ha finanche attivamente ed ampiamente beneficiato di uno spazio di contraddittorio, avendo fruito della possibilità di effettivamente interloquire sulle contestazioni mossele e di produrre documenti. La censura della contribuente si appunta piuttosto sulla mancata concessione di un’ulteriore possibilità di interlocuzione prima dell’emissione degli avvisi: ulteriore possibilità, tuttavia, che non trova alcuna ragion d’essere, essendo la medesima già stata messa nella concreta condizione di potersi difendere.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo, anche in relazione alle statuizioni di cui all’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, oltre euro 3.000,00 ex 96, comma 3, cod. proc. civ., oltre spese prenotate a debito.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa per le ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 13 settembre 2024.