Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33559 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33559 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
Oggetto: operazioni soggettivamente inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20429/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise n. 84/01/2021 depositata in data 22/01/2021, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
-la società RAGIONE_SOCIALE impugnava gli avvisi di accertamento notificati per IVA relativa al periodo d’imposta 2015 con i quali erano recuperate la maggior iva, gli interessi e le sanzioni dovute a seguito della contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti;
la CTP accoglieva il ricorso; appellava l’Ufficio;
con la sentenza qui gravata la CTR ha accolto in parte l’appello confermando la legittimità dell’avviso di accertamento per l’anno 2015 e annullando l’avviso di accertamento riferito all’anno 2016 con riguardo all’importo di euro 4.805,74, confermandolo nel resto;
ricorre a questa Corte la società con atto affidato a sei motivi di impugnazione illustrato da memoria;
resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate;
Considerato che:
il primo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, la nullità del provvedimento impugnato per mancata allegazione di provvedimenti presupposti: secondo parte ricorrente la mancata allegazione in atti del PVC redatto dall’Agenzia delle Dogane in data 23 maggio 2018 e di altri allegati, in particolare relativi alle operazioni di compravendita contestate, renderebbe impossibile o comunque più gravosa la difesa della contribuente;
il motivo è infondato;
dalla piana lettura della sentenza impugnata si evince come la CTR abbia accertato in fatto (pag. 6 punto 6.3 del provvedimento in esame) che ‘nel caso di specie l’avviso di accertamento fa riferimento al PVC regolarmente notificato alla contribuente (che sulla notificazione nulla contesta) e indica con chiarezza le ragioni di fatto e di diritto della pretesa erariale…’; ne deriva che l’emissione e notifica di tale atto è avvenuta garantendo la completa salvaguardia del diritto di difesa della
società contribuente, la quale -come nota poco dopo ancora correttamente la CTR -si è anche ‘…ampiamente difesa nel merito, dando prova di aver ben compreso il tenore dei rilievi mossi nei suoi confronti e le ragioni della pretesa erariale’;
il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in ordine all’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti; si incentra sulla carenza motivazionale e sull’infondatezza dei rilievi con riguardo all’avviso di accertamento qui impugnato relativo al periodo d’imposta 2015. Tale motivo può esaminarsi congiuntamente con il terzo mezzo di impugnazione, che si incentra sulla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, formulando analoga censura con riguardo alla pretesa di cui all’avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2016;
sostiene parte ricorrente che il controllo e poi l’accertamento si sono fondati su elementi di tipo presuntivo, privi dei requisiti e delle prerogative atte a giustificare la pretesa di maggiore iva;
tali motivi sono infondati;
invero, la CTR ha posto alla base del proprio ragionamento presuntivo alcuni elementi di fatto riportati in motivazione: le imprese RAGIONE_SOCIALE (per i periodi d’imposta 2015 e 2016) e RAGIONE_SOCIALE (per il periodo 2016) erano prive di locali commerciali ed avevano debiti IVA non pagati; nei confronti di RAGIONE_SOCIALE non era possibile neppure eseguire l’accesso; RAGIONE_SOCIALE operava in modo antieconomico rivendendo le auto a un prezzo inferiore a quello di acquisto; grane parte di tali rivendite erano effettuate, in Italia, proprio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che per l’anno 2016 era suo cliente esclusivo; RAGIONE_SOCIALE inoltre non aveva versato l’imposta indicata nella dichiarazione integrativa presentata il 27 aprile 2018;
Cons. Est. NOME COGNOME – orbene, in considerazione della qualità e quantità degli elementi presuntivi assicurati dall’Amministrazione finanziaria, la decisione assunta dal giudice dell’appello appare condivisibile ed anche conforme
all’orientamento interpretativo già ripetutamente espresso da questa Corte regolatrice, e pure dalla Corte di Giustizia europea. Si è infatti avuto recentemente occasione di ribadire che ‘qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attenga a operazioni soggettivamente inesistenti, incombe sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inserisse in una evasione dell’imposta (consumata da terzi a monte della catena distributiva) dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva al proprio onere della prova, insorge sul contribuente l’onere della prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta a evadere l’imposta, la diligenza massima che sarebbe esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in relazione alle circostanze del caso concreto (Cass., Sez. V, 28 dicembre 2022, n. 37889; Cass., Sez. V, 13 luglio 2022, n. 22190; Cass., Sez. V, 20 dicembre 2021, n. 40690; Cass., Sez. V, 17 agosto 2021, n. 22969; Cass., Sez. V, 3 agosto 2021, n. 22107; Cass., Sez. V, 20 luglio 2021, n. 20648; Cass., Sez. V, 8 luglio 2021, n. 19387; Cass., Sez. VI, 11 novembre 2020, n. 25426; Cass., Sez. V, 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., Sez. V, 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., Sez. V, 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., Sez. V, 20 aprile 2018, n. 9851; Cass., Sez. V, 19 aprile 2018, n. 9721; Cass., Sez. U., 12 settembre 2017, n. 21105). Tale principio riposa sulla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui il diniego di detrazione può essere affermato «se l’Amministrazione tributaria accerta che il diritto alla detrazione è stato esercitato in modo fraudolento» caso nel quale «può chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso degli importi detratti (v., segnatamente, sentenze 14 febbraio
1985, causa 268/83, COGNOME, Racc. pag. 655, punto 24; 29 febbraio 1996, causa C-110/94, INZO, Racc. pag. I 857, punto 24, e COGNOME e a., cit., punto 46) e spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo» (CGUE, 6 luglio 2006, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, C-439/04 e C/440/04, punto 55); – tale principio del Diritto dell’Unione , costantemente affermato impone, pertanto all’Ufficio di accertare, sulla base di elementi oggettivi, i fatti costitutivi che denotino la consapevolezza nel cessionario che l’emittente che ha fornito i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione non fosse l’effettivo fornitore dei beni o servizi e che l’operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte (CGUE, 21 giugno 2012, Mahagében, C-80/11 e C-142/11, punti 45, 48), nonché l’adozione da parte contribuente di un ‘adeguato standard di diligenza al fine di non incorrere nella frode IVA consumata a monte (CGUE, 18 maggio 2017, Litdana, C624/15, punto 33; CGUE, 18 dicembre 2014, RAGIONE_SOCIALE» NOME COGNOME, C131/13, C163/13 e C-164/13, punti 49 e 50; CGUE, 6 dicembre 2012, Bonik, C285/11, punti da 38 a 40; CGUE, 6 settembre 2012, MecsekGabona, C273/11, punto 54; CGUE, 21 giugno 2012, COGNOME e NOME, C-80/11 e C/142/11, cit., punto 46; CGUE, 6 luglio 2006, Kittel, cit., punti 45, 46, 56; anche in tema Cass. sez. V, 8 gennaio 2024, n. 590;
Cons. Est. NOME COGNOME 5 – inoltre, non si è mancato di specificare che ‘in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte (v. Cass. n. 9851 del 10/04/2018, seguita da molte altre; recentemente v. Cass. n. 5339 del 27/02/2020; Cass. n. 15369 del 20/07/2020), in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (v. tra le tante Corte di Giustizia 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19 ottobre 2017, SC Paper Consult, C-101/16), ha affermato che: a. l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni
soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; b. la prova della consapevolezza dell’evasione, peraltro, non richiede che l’Amministrazione finanziaria provi la partecipazione del soggetto all’accordo criminoso od anche la sua piena consapevolezza della frode ma che essa dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; c. incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità, della documentazione fiscale e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi’;
pronunciando come ha pronunciato, quindi, la CTR si è allineata ai sopra indicati principi;
il terzo motivo, poi, contiene un ulteriore profilo con il quale si censura la motivazione dell’avviso di accertamento in parola, oggetto del presente giudizio, che risulterebbe apodittica in quanto fondata unicamente sulle risultanze del PVC dell’Agenzia delle Dogane;
sotto questo autonomo profilo il motivo è invece inammissibile, in quanto non dirige le proprie doglianze avverso la sentenza impugnata, ma avverso l’avviso di accertamento; come è noto, (Cass.
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Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017) in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ‘ratio decidendi’ posta a fondamento della pronuncia impugnata; il motivo d’ impugnazione è rappresentato dal!’ enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’ esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’ esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata; queste ultime, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo il motivo che non rispetti questo requisito; in riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’ inammissibilità ai sensi dell’ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza 14/3/2017 n. 6496, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, in ultimo Cass. ord. n. 8755 del 2018 che le richiama in motivazione);
infine, nella sua parte conclusiva, il motivo censura la pronuncia della CTR, sotto altro aspetto: esso risulta nondimeno inammissibile, in quanto la doglianza così veicolata chiede in sostanza, nella sua parte conclusiva, a questa Corte una rivalutazione del merito della controversia, operazione non consentita in questa sede di Legittimità; – il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, dolendosi della illegittimità del recupero
iva per contrarietà al principio comunitario di neutralità del tributo;
Cons. Est. NOME COGNOME – 7
il motivo in oggetto è infondato;
invero, deve escludersi l’applicazione della neutralità del tributo iva nei casi in cui le operazioni hanno natura fraudolenta, come avviene nella presente fattispecie in cui dette operazioni sono state ritenute soggettivamente inesistenti;
questa Corte da tempo ha chiarito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 9721 del 19/04/2018) che proprio secondo il principio di neutralità dell’imposizione l’Amministrazione finanziaria, ove contesti che siano state poste a fondamento della detrazione della relativa imposta operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche in via presuntiva, la ricorrenza di elementi oggettivi dai quali emerga che il contribuente, nel momento in cui acquistò il bene o il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva evaso l’imposta o partecipato ad una frode;
Cons. Est. NOME COGNOME 8 – secondo quanto stabilisce l’art. 168, lett. a, della direttiva 2006/112, il beneficio della detrazione dell’Iva postula che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva, che questi sia in possesso di una fattura redatta ai sensi dell’articolo 22, paragrafo 3, delle medesima direttiva, in quanto contenente, in maniera distinta, il numero di identificazione ai fini dell’IVA sotto il quale il soggetto passivo ha effettuato la cessione, il nome e l’indirizzo completo di quest’ultimo, nonché da quantità e la natura dei beni ceduti (Corte di Giustizia 22/10/2015, Ppuh, C-277/14, punto 29), e che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati, a valle, dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e siano forniti, a monte, da un altro soggetto passivo (ex plurimis Corte di Giustizia 6/9/2012, Tóth, C-324/11, punto 26; Corte di Giustizia 22/10/2015, Ppuh, C-277/14; Corte di Giustizia 19/10/2017, SC Paper Consult, C-101/16), sicché la detraibilità dell’Iva va tendenzialmente esclusa allorché colui che ha reso la prestazione al destinatario, che l’ha effettivamente ricevuta, sia un
soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione rappresentata nella fattura, avendo questi ricevuto l’imposta senza essere legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, ed essendo le fatture emesse per prestazioni, rispetto a lui, inesistenti, mentre resta irrilevante che i beni siano entrati effettivamente nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice (Cass., Sez. 5, 16/07/2020, n. 15139). Il diniego del diritto di detrazione in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, che costituisce un’eccezione al principio della neutralità dell’Iva (vedi, Cass., Sez. 5, 24/4/2018, n. 9851), può perciò essere negato qualora sia dimostrata, alla luce di elementi obiettivi, la sua invocazione in modo fraudolento o abusivo, ciò che ricorre, ad avviso dei giudici unionali, non solo quando l’evasione sia commessa dal soggetto passivo, ma anche quando quest’ultimo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una evasione Iva, situazione questa in cui il predetto si considera, ai fini della sesta direttiva, partecipante all’evasione, indipendentemente dal fatto che abbia ritratto o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (Corte di Giustizia 22/10/2015, Ppuh, C-277/14, punti 47 e 48). In virtù di tali principi, dunque, se è vero che il diritto alla detrazione non può essere riconosciuto soltanto in ragione della sua menzione in fattura (Cass., 11/12/2020, n. 28263; Cass., 9/3/2020, n. 6526) o dell’avvenuta corresponsione dell’imposta in essa formalmente indicata, né in caso di operazioni oggettivamente inesistenti (anche parzialmente), né in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, stante, in entrambi i casi, la non corretta individuazione soggettiva dei protagonisti dell’operazione, è altresì vero che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti la perdita del diritto alla detrazione non deriva soltanto dalla fittizietà del fornitore, ma anche dal coinvolgimento del cessionario nella frode o comunque dalla mera conoscibilità, attraverso l’impiego della specifica
diligenza dell’operatore economico riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e luogo di svolgimento dei rapporti commerciali (Cass., 30/5/2018, n. 13545; Cass., 28/2/2019, n. 5873), dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso volto all’evasione fiscale, senza che occorra anche il conseguimento di un effettivo vantaggio (Cass., 30/5/2018, n. 13545);
il quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il travisamento dei fatti, l’insufficienza probatoria dell’avviso di accertamento, con riguardo alla buona fede della RAGIONE_SOCIALE; in sintesi, la contribuente insiste nell’affermare la propria estraneità al meccanismo fraudolento in argomento;
essa valorizza, a questo proposito, l’aver acquistato i veicoli con targa italiana, il che presupporrebbe il regolare assolvimento dell’iva;
il motivo è inammissibile;
esso sollecita la Corte alla revisione, sulla base di una circostanza di fatto che rende la censura puramente di merito, delle risultanze probatorie in atti; peraltro, la circostanza è stata oggetto di puntuale valutazione in fatto da parte della CTR (pag. 8 punto n. 6 della sentenza impugnata) che è inattaccabile in questa sede;
il sesto motivo di ricorso si duole della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, denuncia la nullità del provvedimento di revoca per difetto dei presupposti di legge e cui all’art. 7 della L. n. 212 del 2000 (statuto dei diritti del contribuente); secondo parte ricorrente l’atto impugnato (non si specifica quale dei due avvisi di accertamento oggetto del giudizio) sarebbe invalido in quanto mancante del corretto riferimento all’ufficio competente a fornire informazioni sull’atto, non risultando sufficiente il solo rimando alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Campobasso; inoltre analogo deficit vi sarebbe quanto all’indicazione dell’organo giurisdizionale al quale indirizzare l’impugnazione del ridetto atto e le connesse modalità di presentazione del ricorso;
il motivo è inammissibile;
invero, nei termini in cui viene identificata la censura, la doglianza non risulta, dalla lettura della sentenza impugnata, esser stata proposta e coltivata in ambedue i gradi di merito; né parte ricorrente -violando il canone della specificità e localizzazione dei motivi di ricorso per cassazione -trascrive alcun atto di tali giudizi precedenti dai quali possa verificarsi la tempestiva proposizione in quella sede della censura in argomento; la stessa risulta in concreto nuova e va quindi dichiarata inammissibile;
conclusivamente, il ricorso va rigettato;
la soccombenza regola le spese;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 8.200,00 oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, con onere a carico delle parti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 novembre 2024.