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Operazioni oggettivamente inesistenti: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14813/2024, ha stabilito un principio fondamentale in materia di operazioni oggettivamente inesistenti. Il caso riguardava una società sanzionata per aver dedotto costi relativi a transazioni fittizie. La Corte ha chiarito che, quando un’operazione non è mai avvenuta, il costo correlato non è mai stato sostenuto e, di conseguenza, non può essere dedotto ai fini IRES. In questo contesto, la buona fede del contribuente è del tutto irrilevante. La sentenza di merito, che aveva erroneamente valutato l’elemento soggettivo, è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Oggettivamente Inesistenti: La Cassazione Sulla Non Deducibilità dei Costi

La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario con l’ordinanza n. 14813 del 27 maggio 2024. Al centro della controversia vi sono le operazioni oggettivamente inesistenti e le relative conseguenze sulla deducibilità dei costi ai fini IRES. La decisione ribadisce un principio cardine: se un’operazione non è mai avvenuta, il costo non è mai stato sostenuto e, pertanto, non può essere dedotto, rendendo irrilevante la buona fede del contribuente.

Il caso in esame: sanzioni IRES e costi fittizi

Il contenzioso nasce da un provvedimento di irrogazione di sanzioni emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una società. L’amministrazione finanziaria contestava l’indebita deduzione di componenti negativi per l’anno d’imposta 2010. Tali costi derivavano da acquisti da un fornitore e cessioni a un cliente, entrambe società considerate delle mere ‘cartiere’, ovvero entità create al solo scopo di emettere fatture per operazioni fittizie.

Le operazioni erano state classificate come operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto i beni non erano mai stati realmente scambiati. La contribuente aveva impugnato l’atto sanzionatorio, ottenendo una decisione favorevole in primo grado, confermata poi dalla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di merito avevano basato la loro decisione sulla presunta mancata prova, da parte dell’Agenzia, della consapevolezza della società nel partecipare a una frode carosello.

La decisione dei giudici di merito e l’errore di diritto

La Commissione Tributaria Regionale aveva rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, ritenendo che la società avesse dimostrato la diligenza richiesta e che non vi fosse prova della sua partecipazione consapevole alla frode. Questo ragionamento, tuttavia, confondeva due piani distinti: quello delle operazioni soggettivamente inesistenti, dove la buona fede può avere un ruolo (soprattutto ai fini IVA), e quello delle operazioni oggettivamente inesistenti, oggetto del caso di specie.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la falsa applicazione delle norme sulla deducibilità dei costi (art. 109 TUIR) e sull’onere della prova (art. 2697 c.c.).

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle operazioni oggettivamente inesistenti

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata. Il ragionamento dei giudici di legittimità è lineare e si fonda su una distinzione netta.

Il punto centrale è che, in presenza di operazioni oggettivamente inesistenti, il problema della deducibilità del costo non attiene all’elemento soggettivo (buona o mala fede) del contribuente. La questione è a monte: un costo relativo a un’operazione mai avvenuta è, per sua natura, un costo inesistente. Poiché l’articolo 109 del TUIR permette la deduzione dei soli componenti negativi certi e imputabili all’esercizio, un costo mai sostenuto non potrà mai soddisfare tali requisiti.

La Corte ha specificato che i giudici di merito hanno errato nel motivare la loro decisione facendo riferimento all’elemento soggettivo, tipico delle contestazioni in materia di IVA per operazioni soggettivamente inesistenti. Nel caso di specie, la sanzione era irrogata ai fini IRES per la deduzione di costi fittizi, un ambito in cui la buona fede è irrilevante. Il costo, semplicemente, non esiste e quindi non può ridurre il reddito imponibile. L’onere di provare l’effettività del costo grava sul contribuente, che non può assolverlo con una fattura che documenta un’operazione mai realizzata.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

La decisione della Cassazione rafforza un principio fondamentale per imprese e professionisti. Di fronte a una contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, la linea difensiva non può basarsi sulla dimostrazione della propria buona fede o inconsapevolezza. L’unico elemento che conta, ai fini della deducibilità dei costi per le imposte dirette, è la prova dell’effettiva esistenza e inerenza dell’operazione economica.

Questa ordinanza serve da monito sulla necessità di adottare procedure di controllo e verifica rigorose sui propri partner commerciali. La deducibilità di un costo non dipende solo dalla correttezza formale della fattura, ma dalla sua corrispondenza con una reale transazione economica. In assenza di tale corrispondenza, il costo è indeducibile e le sanzioni sono inevitabili, senza che la buona fede possa fungere da scudo.

In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, è possibile dedurre i costi ai fini IRES?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che se un’operazione non è mai avvenuta, il relativo costo è per definizione inesistente e quindi non può mai essere dedotto dal reddito imponibile, in quanto non è un componente negativo effettivamente sostenuto.

La buona fede del contribuente ha importanza per la deducibilità dei costi in caso di operazioni oggettivamente inesistenti?
No, secondo la sentenza, la buona fede del contribuente è irrilevante ai fini della deduzione del costo per le imposte dirette (IRES). Poiché il costo non è mai stato effettivamente sostenuto, non può essere dedotto, a prescindere dalla consapevolezza o meno della frode.

Qual è l’errore commesso dalla corte di merito secondo la Cassazione?
La corte di merito ha erroneamente applicato i principi relativi alle operazioni soggettivamente inesistenti (dove la buona fede è rilevante, soprattutto ai fini IVA) a un caso di operazioni oggettivamente inesistenti ai fini IRES, dove l’unico elemento che conta è l’effettiva esistenza del costo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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