Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13247 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13247 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24172/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che lo rappresenta e difende
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 1609/2016 depositata il 18/03/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/03/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE vedeva notificato avviso di accertamento il 23 maggio 2014 in relazione all’anno d’imposta 2009 con ripresa a tassazione per Ires, Irap ed Iva. Veniva contestata presentazione di dichiarazione infedele per l’indicazione di un reddito imponibile inferiore a quello accertato, di un’imposta inferiore a quella dovuta o di un credito superiore a quello spettante. In particolare, la contestazione scaturiva dall’accertamento eseguito dall’Ufficio nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che risultava aver raccolto sponsorizzazioni su corse automobilistiche di rally per un importo assai superiore al prezzo di mercato e comunque sproporzionato rispetto all’utile economico conseguito dal RAGIONE_SOCIALE nell’accertato anno d’imposta 2009.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente che ricorre per Cassazione affidandosi a sei motivi, cui replica il patrono erariale con tempestivo contro ricorso.
In prossimità dell’adunanza la parte contribuente ha depositato memoria a sostegno RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni.
CONSIDERATO
Vengono proposti sei motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, dell’articolo 39, primo comma, lettera D, e dell’articolo 40 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973, nonché dell’articolo 54, secondo
comma del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 per aver il giudice d’appello ritenuto come indizi rilevanti RAGIONE_SOCIALE circostanze prive dei requisiti di legge, nonché nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 360, numero 4 del codice di procedura civile, per violazione dell’articolo 36 del decreto legislativo numero 546 del 1992 dell’articolo 132 del codice procedura civile e dell’articolo 118 RAGIONE_SOCIALE disposizioni attuative dello stesso codice per assenza di motivazione o per motivazione apparente. Nella sostanza si afferma che, ove l’amministrazione affermi la fatturazione per operazioni oggettivamente inesistenti, debba fornire l’adeguata prova, superando la presunzione data dalla fatturazione che, se tenuta correttamente, costituisce valida giustificazione.
Con il secondo motivo si lamenta ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione per errata applicazione RAGIONE_SOCIALE norme relative all’onere probatorio di cui agli articoli 2727 e 2729 del codice civile, per non aver ritenuto superate le presunzioni poste alla base dell’accertamento dalle prove documentali ricorrente. Nella sostanza si lamenta che il giudice d’appello non abbia apprezzato le prove scritte e la documentazione fotografica attestante che determinati veicoli partecipanti e diversi rally automobilistici avessero innalzato le insegne del ricorrente RAGIONE_SOCIALE, dimostrando così esservi stata l’operazione ritenuta inesistente dall’Ufficio.
Con il terzo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 primo comma, nonché dell’articolo 2697 secondo comma del codice civile nella parte in cui i giudici d’appello hanno affermato che il ricorrente RAGIONE_SOCIALE non è stato in grado di offrire al vaglio del collegio giudicante gli elementi probatori idonei ed utili a smentire la prova presuntiva offerta dall’RAGIONE_SOCIALE.
I primi tre motivi attengono al regime probatorio sulle operazioni oggettivamente inesistenti nonché RAGIONE_SOCIALE presunzioni nell’accertamento induttivo e sono infondati, prima ancora che inammissibili.
Preliminarmente, per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione, il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, n. 4 e n. 5, c.p.c., allorché esso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).
Nel merito, in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, va premesso che, secondo consolidato orientamento di questa Corte (recentemente ribadito anche da Cass., Sez. 5-, 16/06/2020, n. 11624, dalla cui motivazione sono tratte le argomentazioni che seguono) «ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, RAGIONE_SOCIALE operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di iva (ma i principi valgono per tutte le imposte accertabili mediante la contestazione della veridicità RAGIONE_SOCIALE fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si
fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili» (Cass., sent. n. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; n. 428 del 2015; n. 17977 del 2013). In particolare, questa Corte, nelle ipotesi, come quella di specie, di operazioni oggettivamente inesistenti, ha affermato che «ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poiché questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001); e comunque, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente , il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo» (Cass. n. 18118 del 2016, in motivazione; Cass. n. 16473 del 2018).
Il principio è stato affinato in materia di operazioni ‘parzialmente inesistenti sotto il profilo oggettivo’, cioè quando una parte dell’op erazione sia stata effettuata, ma ne residui una parte non svolta, ovvero nella più raffinata ipotesi in cui sia appoggiato su operazione reale un sovrapprezzo che ecceda significativamente il rapporto sinallagmatico, uscendo quindi dalla proporzione fra prestazione e controprestazione che è tipico RAGIONE_SOCIALE obbligazioni contrattuali. Donde la parte di controprestazione (prezzo) che eccede significativamente la prestazione deve considerarsi corrisposta per un’operazione mai avvenuta, cioè inesistente.
Può quindi essere enunciato il seguente principio di diritto:
‘In tema di operazioni oggettivamente inesistenti si possono , la sproporzione fra prestazione e prezzo che esorbiti la normalità di mercato -anche tenuto conto RAGIONE_SOCIALE particolarità e specialità della prestazione offertadeve ritenersi indice sintomatico di un’operazione oggettivamente inesistente (per la parte di prezzo eccessivo e non giustificato) che si appoggia ad attività realmente svolta e pagata al fine di simularne l’esistenza.’
Di conseguenza, rileva qui segnatamente il profilo probatorio ed occorre ricordare la sproporzione dei prezzi di sponsorizzazione e di pubblicità, rispetto ai valori di mercato, nonché la sproporzione fra importo di sponsorizzazione e margine d’utile annuo che rappresenta margine di andamento antieconomico. Secondo la giurisprudenza di questa Corte l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare, ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’ art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633/1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta,
incombendo sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza RAGIONE_SOCIALE proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V, n. 27552/2018).
In materia, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, «l’accertamento con metodo analiticoinduttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. tra le molte Cass. V, n. 20060/2014).
Egualmente, in materia di IVA, si è statuito che «l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) , del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza RAGIONE_SOCIALE proprie dichiarazioni» (Cass. V, n. 26036/2015; Cass. V, n. 25217/2018; Cass. V n. 27552/2018).
Giustificato quindi l’assunto della sentenza in scrutinio ove richiede alla parte contribuente di fornire la prova contraria a superamento della presunzione avanzata dall’Ufficio. Né, peraltro, spetta a questa Suprema Corte di legittimità la riedizione del giudizio di merito, laddove la sentenza appaia logicamente motivata. Più in particolare, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge) prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (v. Cass., IV, n. 8718/2005, n. 4842/2006, Cass. V, n. 5583/2011).
In tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012 (Cass. III, n. 23940/2017). Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché
è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Pertanto, i primi tre motivi non possono essere accolti.
Con il quarto motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 dello stesso codice, nonché dell’articolo 2727 codice civile, nonché violazione falsa applicazione della direttiva CEE 2006/112, nonché violazione falsa applicazione dell’articolo 654 del codice di procedura penale per non aver provato il coinvolgimento del RAGIONE_SOCIALE al meccanismo di frode che sarebbe stato posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE e per aver escluso la legittimità dei documenti relativi la sentenza penale per azienda similare sui medesimi fatti. Nella sostanza lamenta la propria buona fede e l’impossibilità a riconoscere il meccanismo fraudolento posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE di cui la parte contribuente sarebbe vittima e non complice.
Con il quinto motivo si profila ancora censura ai sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione derrata applicazione di norme di diritto segnatamente del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973, all’articolo 39, primo comma, della legge numero 427 del 1993, gli articoli 62 sexies, del decreto del Presidente della Repubblica numero 917 del 1986, agli articoli 53, primo comma, lettera A, avendo i giudici dell’appello ritenuto corretto un accertamento basato sul ricorso ad una doppia presunzione, malgrado la mancata dimostrazione dell’effettivo rientro di denaro; nonché in subordine violazione falsa applicazione del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973, all’articolo 42, secondo e terzo comma, della legge numero 212 del 2000, all’articolo 7, primo comma, e della legge numero 241 del 1990, l’articolo 3, per avere la sentenza qui in scrutinio affermato la legittimità dell’atto impositivo pure essendo lo stesso motivato attraverso il mero richiamo alle risultanze di una generica istruttoria effettuata da altro Ufficio e nei confronti di diverso contribuente. Nel concreto si contesta la riferibilità alla contribuente qui ricorrente RAGIONE_SOCIALE indagini amministrative a carico della RAGIONE_SOCIALE.
Con il sesto e ultimo motivo si profila ancora censura i sensi dell’articolo 360 numero 3 del codice di procedura civile per violazione dell’articolo 111 della Costituzione repubblicana, nonché del decreto legislativo numero 546 del 1992, all’articolo 7, quarto comma, nonché dell’articolo 116 del codice di procedura civile dell’articolo 2729 del codice civile per non avere considerato il contenuto della sentenza penale passata in giudicato numero 2021/’15 del Tribunale penale di Milano e RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni testimoniali assunte nel relativo procedimento penale, laddove in fattispecie analoga, era stato ritenuto non sussistere il fatto relativo alla sponsorizzazione assunta sempre dalla RAGIONE_SOCIALE verso altro contribuente.
I motivi quarto, quinto e sesto possono essere trattati congiuntamente, incentrandosi sulla rilevanza RAGIONE_SOCIALE indagini amministrative e penali, in rapporto alla società accertata e ad altre coinvolte. Anch’essi sono infondati, prima ancora che inammissibili ove tesi a sollecitare una revisione del merito.
In via preliminare, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che nel sistema processuale non esiste il divieto RAGIONE_SOCIALE presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass., 01/08/2019, n. 20748). Infatti, la sussistenza nell’ordinamento del cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», è stata esclusa in quanto: « a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015);» (Cass., 16/06/2017, n. 15003, in motivazione, al § 3).’ (Cfr. Cass. V, 16/12/2019, n. 33042).
Nello specifico, le indagini hanno coinvolto più soggetti, dimostrando l’artata fatturazione per operazioni ora inesistenti in toto , ora sovrafatturate, donde ne consegue il collegamento e la permeabilità degli indizi raccolti verso l’uno in rapporto all’altro.
Stante l’autonomia fra ordinamento tributario e penale, gli elementi raccolti nel secondo valgono quali elementi indiziari nel primo, sottoposti al vaglio prudente del giudice di merito, non sindacabili avanti questa Corte di legittimità ove autonomamente valutati. Ed infatti, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dall’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sé inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (cfr. Cass. V, n. 16262/2017).
Peraltro, con particolare riguardo alla doglianza avanzata dal contribuente RAGIONE_SOCIALE di essere stato in buona fede, ‘con riferimento alla prova della consapevolezza di partecipare ad una frode, questa Corte ha già pi ù̀ volte precisato che, in tema d’Iva, l’amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (cfr.
Cass. V, n. 28628/2021; VI – 5, n. 18118/2016, cfr. altresì CGUE, sent. 22/06/2012 in cause riunite C-80/11 e C-142/11, punti 44 e 52).
In ogni caso, come questa Corte ha già rilevato, in tema di IVA, la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica (che deriverebbe dalla necessaria consapevolezza dell’inesistenza oggettiva della prestazione, mai effettivamente ricevuta), configurando nei confronti del contribuente la partecipazione ad una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza unionale (cfr. CGCE 6 luglio 2009, in cause riunite C-439/04 e C-440/04) e preclude, quindi, la detraibilità dell’imposta risultante dalle fatture. (cfr. Cass. V, n. 17335/2020).
Pregnante quanto affermato a Sezioni Unite di questa Suprema Corte di legittimità n. 22727 del 20/07/2022, in motivazione (§ 7.4 ss.): ‘Ed infatti, ai sensi della sesta Dir.77/388/CEE, articolo 10, par. 2, e articolo 17, paragrafo 1- alla quale la direttiva 2006/112, entrata in vigore il 1o gennaio 2007, non ha apportato significative modifiche – in materia di armonizzazione RAGIONE_SOCIALE legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari e IVA il diritto alla detrazione è legato alla realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi di cui trattasi, per cui in difetto della cessione effettiva dei beni o della prestazione dei servizi un siffatto diritto non può sorgere, non essendo sufficiente la sua indicazione nella relativa fattura (cfr. Corte giust. UE, 27 giugno 2018, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE,cause C-459/17 e C460/17, p. 36 e 40).’
Né, infine, per queste ragioni possono essere accolte le argomentazioni di parte contribuente esposte in memoria ove afferma la deducibilità dei costi, collegati all’inerenza qualitativa e non quantitativa dell’attività, poiché qui si controverte di operaz ioni
ritenute oggettivamente inesistenti, donde i costi sono comunque indeducibili.
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.cinqu emilaseicento/00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 19/03/2024.