Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15637 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15637 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
Oggetto: sanzioni – II.DD. – IVA – operazioni ogg. Inesistenti – dedu- zione e detrazione costi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23410/2019 R.G. proposto da NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME di Vimercate (pec: EMAIL), elettivamente domiciliata presso il suo studio in INDIRIZZO, Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 129/3/2019, depositata il 25.1.2019 e non notificata. Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 26 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 129/3/2019, depositata il 25.1.2019 veniva accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Savona n. 55/4/2017, la quale aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME titolare di ditta individuale svolgente attività di consulenza nel settore delle tecnologie dell’informatica, avverso l’atto di irrogazione sanzioni in relazione al l’indebita deduzione ai fini delle II.DD. e detrazione ai fini IVA di costi afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti per l’anno di imposta 2009.
Il giudice di prime cure annullava l’atto di irrogazione sanzioni ritenendo che le operazioni poste in essere dalla contribuente non rientrassero nell’ambito di applicazione dell’IVA, che si trattassero nella sostanza di operazioni di finanziamento e fossero esenti. La decisione veniva completamente riformata in appello, sul presupposto che le operazioni economiche erano state contestate sin dalla fase amministrativa come oggettivamente inesistenti e il giudice riteneva che la contribuente non avesse dato prova dell’esistenza delle stesse, con conseguente conferma delle contestazioni, afferenti alle fatture relative ai costi fatturati, ai fini delle sanzioni impugnate.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente deducendo quattro motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ., la violazione dell’art.112 cod. proc. civ. in riferimento all’eccezione proposta dalla contribuente di violazione dell’art.17, comma 1, d.lgs. n.472/1997 su cui il giudice non si è pronunciato e con cui si è doluta del fatto che le sanzioni legate a infrazioni di tipo sostanziale devono essere richieste con l’avviso di accertamento relativo al tributo a cui si riferiscono.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
2.1. La censura è innanzitutto inammissibile perché priva di specificità. La controricorrente contesta la deduzione della ricorrente, affermando che le sanzioni afferenti alla presentazione di dichiarazione infedele, tenuta di contabilità non conforme e illegittima detrazione IVA sono state irrogate con l’avviso di accertamento dei tributi. Il provvedimento di irrogazione sanzioni impugnato in questa sede afferisce ad altri profili, né è stato riprodotto dalla ricorrente o allegato al ricorso al fine di dimostrare il contrario, con conseguente mancanza di decisività dell’eventuale omissione di pronuncia commessa dal giudice d’appello .
2.2. Il mezzo è anche infondato (cfr. Cass. n. 20999/2024) perché, l ‘erronea adozione del procedimento ordinario di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 472 del 1997, in luogo di quello di cui all’art. 17 del medesimo d.lgs., tuttavia, non ha determinato alcuna nullità dell’atto di irrogazione delle sanzioni, in quanto una simile conseguenza non è stata espressamente prevista dalla norma in questione. Sebbene l’atto impositivo sia una species del provvedimento amministrativo, secondo l’orientamento di questa corte (Cass. n. 18448 del 18/09/2015, Cass. n. 22810 del 9/11/2015, n. 22810), la disciplina dei vizi di nullità degli atti amministrativi, prevista dall’art. 21-septies della l. n. 241 del 1990, non può essere automaticamente trasposta in ambito tributario, ma deve essere coordinata con la nor-
mativa tributaria che costituisce un sottosistema del diritto amministrativo in relazione di species a genus . Sicché, (cfr. Cass. n. 14733 del 27/05/2021) le norme che regolano il procedimento amministrativo trovano applicazione nel sottosistema, nei limiti in cui non siano derogate od incompatibili con le norme di diritto tributario che disciplinano il procedimento impositivo.
2.3. Del resto, lo stesso art. 21-septies, comma 1, della l. n. 241 del 1990, peraltro, collega la nullità del provvedimento amministrativo ai casi in cui lo stesso manca degli elementi essenziali o è viziato da difetto assoluto di attribuzione o è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge.
2.4. Con particolare riferimento ai vizi del procedimento, poi, occorre ribadire che, affinché l’atto tributario conclusivo sia considerato invalido, in mancanza di una espressa previsione di invalidità, occorre che la violazione abbia determinato una divergenza dal modello normativo non certo innocua o di lieve entità (v. Cass. n. 15331 del 4.07.2014). Nella specie, la violazione della disposizione di cui all’art. 17 cit. non ha comportato la nullità dell’atto di irrogazione della sanzione, in quanto una simile conseguenza non è espressamente prevista e non ha determinato alcuna rilevante divergenza dal modello normativo previsto per l’adozione del provvedimento, desumibile anche dal fatto che la contribuente non ha dedotto quale sia stato il concreto pregiudizio alla propria difesa, che le sia derivato dalla denunciata violazione.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’articolo 8, commi 2 e 3, d.l. n.16/2012 lamentando che la CTR abbia confermato le sanzioni sull’erroneo presupposto di aver ritenuto inesistenti le operazioni fatturate che sarebbero state invece effettivamente realizzate, sebbene con una qualificazione giuridica diversa da quella esposta in fattura.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in rapporto all’art. 360 primo comma n. 4 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., censurando la nullità della sentenza della CTR per contraddittorietà della motivazione.
I motivi, interconnessi, sono entrambi inammissibili.
5.1. Il giudice di seconde cure ha ritenuto che l’operazione economica oggetto delle fatture, consistita nella prestazione di servizi di assistenza informatica, non sia stata dimostrata nella sua materialità, verificandosi piuttosto «un atto fraudolento consistito, pare, in finanziamenti di società, ma messo in opera come se si fosse in presenza di regolari operazioni, fatturate con iva a debito ed iva dedotta. La Ditta RAGIONE_SOCIALE ha avallato le fatture emesse dalla ditta Casale e dalla stessa ritenuta emesse per prestazioni oggettivamente inesistenti: siamo in presenza di una soc. che, operando nel settore trasporti, emette fatture per consulenza informatiche» (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
5.2. A fronte dell’accertamento della CTR concernente l’omessa dimostrazione dell’effettiva prestazione di servizi realizzata, la ricorrente ripropone argomentazioni di merito, già poste all’attenzione del giudice d’appello, e si è limitata a ribadire genericamente che le operazioni dovevano essere qualificate come finanziamenti anziché consulenze informatiche e perciò soltanto asserisce che le operazioni non potevano essere ritenute inesistenti. Le osservazioni della ricorrente sono perciò aspecifiche e non impugnano il preciso accertamento della CTR, che ha ricostruito il meccanismo frodatorio con motivazione puntuale e non contraddittoria, in ordine alla quale la critica della ricorrente appare generica e priva di alcun riscontro.
5.3. L’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della pronuncia
impugnata e, quindi, nella chiara e specifica indicazione delle ragioni per cui essa sarebbe errata. Le argomentazioni del dissenso che la parte intende sollevare nei riguardi della decisione impugnata debbono essere formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato. Il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità (cfr. al riguardo Cass. n. 359/2005), risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ. n. 4.
Inoltre, le censure della ricorrente si risolvono anche in una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie oggetto di un accertamento di fatto spettante al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato.
Con il quarto motivo si prospetta, in rapporto all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 10 comma 3 della Legge n. 212/2000, dell’art.8, commi 2 e 3, d.l. 16/2012 e del principio di proporzionalità per avere la CTR confermato le sanzioni irrogate con l’atto impugnato.
6.1. Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
La ricorrente si lamenta per il fatto che il giudice di seconde cure avrebbe dovuto affermare l’illegittimità delle sanzioni irrogate una volta appurato che nel caso in esame non vi era stato alcun danno erariale in presenza di violazioni meramente formali (cfr. pag. 18 del ricorso).
Tuttavia, le violazioni in questioni non sono affatto prive di conseguenze pregiudizievoli per l’erario anche in punto di controlli. In tema di sanzioni amministrative tributarie questa Corte ha più volte affermato (cfr. Cass. Ordinanza n. 13908/2022; Cass. Sentenza n. 16450/2021) che per distinguere tra violazioni formali e sostanziali è necessario accertare in concreto, con valutazione in fatto riservata
al giudice di merito, se la condotta abbia cagionato un danno erariale, incidendo sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta o del versamento del tributo; in assenza di tale pregiudizio la violazione resta formale perché lesiva per l’esercizio delle azioni e dei poteri di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria.
Orbene, sussiste anche un rilevante danno erariale in presenza di chiara evasione delle imposte accertata dal giudice e, dunque, nessuna lesione dei principi di proporzionalità e neutralità si profila neppure in ordine alle sanzioni irrogate. Né vi sono gli spazi per sollevare una questione di costituzionalità, manifestamente infondata alla luce della giurisprudenza consolidata sopra richiamata.
Pertanto, pertinente e logica è la motivazione adottata dal giudice con riferimento all’art.8, comma 2, d.l. 16/2012, il quale ha accertato non esservi spazio per la buona fede in presenza di evasione d’imposta.
7 . In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in 8.200 euro per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26.3.2025