Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9564 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9564 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso n.1883/2017 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO, presso cui elettivamente domicilia in Roma alla INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, presso cui è domiciliata ope legis in Roma alla INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso la sentenza n.3483/2016 della Commissione tributaria regionale del Lazio, pronunciata in data 19 aprile 2016, depositata in data 6 giugno 2016 e non notificata.
tributi
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
COGNOME NOME ricorre, con un unico articolato motivo, nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE , che resiste con controricorso, avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento con il quale l’ufficio, per l’anno 2008, recuperava a tassazione costi indeducibili relativi ad operazioni inesistenti;
con la sentenza impugnata, la C.t.r. , ritenuta l’irrilevanza della sentenza di proscioglimento emessa in ambito penale, sosteneva che la mancata produzione della documentazione richiesta in sede amministrativa ne escludeva l’utilizzabilità nel giudizio ai fini probatori, ex art.52, comma 5, d.P.R. n. 633/1972;
inoltre, la RAGIONE_SOCIALEt.RAGIONE_SOCIALE riteneva che le irregolarità riscontrate dall’Ufficio inducevano a desumere legittimamente l’inesistenza dell’operazione, come esattamente colto dal primo giudice, che aveva rilevato come non fosse dimostrata l’esistenza dell’operazione, anche perché, a fronte di un costo tanto elevato, non vi sarebbe stata alcuna controprestazione, né alcuna attività del ricorrente volta al recupero della somma pagata;
il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 20 marzo 2024, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 -bis. 1 cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31 agosto 2016, n.168, conv. dalla legge 25 ottobre 2016, n.197.
CONSIDERATO CHE:
1.1. con l’unico motivo, il ricorrente denunzia la violazione de ll’ art. 52 d. P.R. 26 ottobre 1972, n.633, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;
il ricorrente deduce di aver presentato la documentazione richiesta dall’amministrazio ne finanziaria ancor prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, nell’ambito della procedura di accertamento con adesione;
non vi sarebbe stato, dunque, il rifiuto di esibire i documenti, che solo avrebbe giustificato la preclusione alla loro produzione in sede giudiziale (cfr. Cass. S.U. n.45/2000);
l’illustrazione del motivo prosegue con una serie di considerazioni tese a dimostrare l’effettività dei costi relativi ad operazioni esistenti e la legittima detrazione dell’Iva, in quanto le fatture si riferivano all’attività di intermediazione finanziaria svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE esistente ed operativa fino al 17 febbraio 2011;
1.2. il motivo è inammissibile;
preliminarmente deve rilevarsi che la sentenza della C.t.r. è basata su di una duplice ratio, attinente, per un verso, alla preclusione di cui all’art.52 d.P.R. n.633/1972 e, per altro verso, alla infondatezza nel merito RAGIONE_SOCIALE doglianze del contribuente;
in particolare, la RAGIONE_SOCIALEtRAGIONE_SOCIALE sosteneva l’inutilizzabilità ai fini probatori, ex art.52, comma 5, d.P.R. n. 633/1972, della documentazione che non era stata prodotta in sede amministrativa in seguito all’invito dell’Ufficio e prima dell’emissione dell’avviso di accertamento;
inoltre, la C.t.r. riteneva che le irregolarità riscontrate dall’Ufficio erano comunque idonee a far desumere legittimamente l’inesistenza dell’operazione, come esattamente colto dal primo giudice, che aveva rilevato come non fosse dimostrata l’esistenza dell’operazione, anche perché, a fronte di un costo tanto elevato, non vi sarebbe stata alcuna controprestazione, né alcuna attività del ricorrente volta al recupero della somma pagata;
tale seconda statuizione del giudice di appello esprime una ratio decidendi autonoma ed idonea da sola a definire il giudizio, che non è stata efficacemente impugnata con il ricorso in cassazione;
la giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare che <> (v. ex multis Cass. civ. Sez. V, 28/02/2014, n. 4845, conforme a Cass. civ. Sez. V, 14/12/2012, n. 23094; Cass. Civ. Sez. III, 13/07/2005 n. 14740, Cass. civ. Sez. III, 26/05/2004, n. 10134 e Cass. civ. Sez. III, 19/11/2003, n. 17502);
nella specie, la censura del ricorrente è specificamente rivolta alla violazione dell’art.52 d.P.R. n.633/1972 e non contesta la diversa statuizione sul l’insussistenza dell’operazione, quale si ricaverebbe, secondo il giudice di appello, dalle circostanze, pacificamente ammesse, della mancata esecuzione della controprestazione e dell’assenza di azioni di recupero dell’ingente somma versata;
invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel caso in cui l’ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cio è sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata e a quel punto passer à al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate (cfr. Cass. n. 24426 del 30/10/2013);
quest’ultima prova non potr à consistere, per ò , nella esibizione della fattura, n é nella sola dimostrazione della regolarit à formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono
normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. n. 15228 del 03/12/2001; Cass. n. 12802 del 10/06/2011);
la decisione della C.t.r. sul punto risulta in linea con il citato orientamento di legittimità e non viene specificamente censurata dal ricorrente, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente la mera affermazione in ordine all’effettività dei costi, che si riferirebbero all’attività di intermediazione finanziaria svolta dalla società RAGIONE_SOCIALE esistente ed operativa fino al 17 febbraio 2011;
tale affermazione, invero, rimane al livello di mera argomentazione genericamente a supporto RAGIONE_SOCIALE ragioni di parte ricorrente;
pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile per carenza di interesse;
il ricorrente va condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in favore della controricorrente;
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente a pagare all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.800,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2024