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Operazioni inesistenti: quando la buona fede non basta

La Corte di Cassazione, in un caso di operazioni inesistenti, ha annullato una sentenza favorevole al contribuente, stabilendo che elementi come pagamenti regolari e prezzi equi non bastano a provare la buona fede. È necessaria una valutazione complessiva di tutti gli indizi di frode. L’Amministrazione Finanziaria deve provare che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, dopodiché spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni inesistenti: la Cassazione delinea i confini della diligenza

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle operazioni inesistenti e sulla detraibilità dell’IVA, offrendo importanti chiarimenti sull’onere della prova e sui criteri per valutare la buona fede del contribuente. La decisione sottolinea come, di fronte a un fondato sospetto di frode fiscale, non sia sufficiente per l’imprenditore appellarsi alla regolarità formale delle transazioni. È richiesta, invece, una diligenza attiva e rafforzata nella scelta e nel monitoraggio dei propri partner commerciali.

I fatti di causa

Una società operante nel settore del pellame si vedeva recapitare diversi avvisi di accertamento con cui l’Amministrazione Finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa agli anni d’imposta dal 2007 al 2011. Secondo il Fisco, la società aveva acquistato merce da diverse imprese qualificabili come ‘cartiere’, ovvero società fittizie create al solo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti (nella specie, soggettivamente inesistenti).

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione alla società contribuente. I giudici di secondo grado avevano ritenuto provata la buona fede dell’acquirente sulla base di alcuni elementi: l’IVA era stata regolarmente versata, i prezzi della merce erano congrui, i pagamenti erano avvenuti tramite bonifici bancari tracciabili e la merce era fisicamente presente nei magazzini. Questi fattori, secondo la CTR, erano sufficienti a escludere la consapevolezza della frode da parte della società acquirente.

I motivi del ricorso e le prove delle operazioni inesistenti

L’Amministrazione Finanziaria ha impugnato la decisione della CTR dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero condotto un’analisi parziale e atomistica degli elementi probatori, trascurando una serie di gravi indizi che, valutati nel loro complesso, avrebbero dovuto portare a una conclusione opposta. Tra gli elementi evidenziati dal Fisco vi erano:

* Anomalie nelle società fornitrici: amministratori privi di competenze specifiche e con precedenti penali, identica compagine sociale, stessa sede e medesimo magazzino utilizzati da più società che si succedevano rapidamente.
* Ciclo di vita anomalo: le società fornitrici venivano create, raggiungevano in un solo anno fatturati milionari e venivano messe in liquidazione dopo uno o due anni, per essere sostituite da nuove entità identiche.
* Mancanza di struttura: assenza di documentazione contabile idonea a dimostrare la provenienza della merce.
* Rapporti commerciali esclusivi: la società contribuente acquistava una quota preponderante del proprio fabbisogno (fino al 90% in alcune annualità) da queste società.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo esame. Il ragionamento dei giudici di legittimità si è concentrato sulla corretta metodologia di valutazione della prova indiziaria in materia di operazioni inesistenti.

L’onere della prova e la valutazione degli indizi

La Corte ha ribadito un principio consolidato: in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare due circostanze:

1. L’alterità soggettiva, ovvero che il fornitore reale è diverso da quello che ha emesso la fattura.
2. La consapevolezza o la conoscibilità della frode da parte del cessionario (l’acquirente).

Una volta che il Fisco fornisce un quadro indiziario grave, preciso e concordante, l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nella frode. Su questo punto, la Cassazione ha censurato la decisione della CTR, affermando che elementi come la regolarità dei pagamenti e la congruità dei prezzi sono irrilevanti. Anzi, spesso sono proprio gli elementi che caratterizzano le frodi più sofisticate, create appositamente per dare un’apparenza di normalità all’operazione.

I giudici di merito avrebbero dovuto, invece, valutare in modo complessivo e combinato tutti gli indizi presentati dall’Ufficio, che nel loro insieme erano idonei a far sorgere il sospetto in un qualsiasi imprenditore mediamente diligente.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di superare una valutazione superficiale e formalistica della documentazione contabile. Il meccanismo fraudolento delle operazioni inesistenti si nutre proprio della creazione di un’apparenza di regolarità. Pertanto, il giudice tributario non può fermarsi a questa superficie, ma deve analizzare la logica economica e la coerenza complessiva delle transazioni. La rapida successione di società fornitrici, tutte riconducibili agli stessi soggetti e operanti dallo stesso magazzino, rappresentava un campanello d’allarme che la società acquirente non avrebbe dovuto ignorare. La sentenza impugnata è stata ritenuta carente perché ha dato rilievo a elementi privi del requisito della ‘gravità’, ovvero della capacità di condurre con un alto grado di probabilità alla prova del fatto ignoto (la buona fede), ignorando invece indizi ben più pregnanti di segno contrario.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza il principio secondo cui la lotta all’evasione IVA richiede un approccio sostanziale. Per le imprese, la lezione è chiara: non basta pagare regolarmente i fornitori per essere al riparo da contestazioni. È indispensabile adottare procedure di due diligence e di controllo nella scelta dei partner commerciali, specialmente in presenza di rapporti continuativi e di importi rilevanti. Ignorare segnali di anomalia può costare caro, trasformando un incauto acquisto in un’indebita detrazione IVA, con tutte le conseguenze fiscali e sanzionatorie del caso.

In caso di operazioni inesistenti, cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria?
L’Amministrazione Finanziaria deve provare, anche tramite indizi, due elementi: primo, che il soggetto che ha emesso la fattura è diverso da chi ha effettivamente fornito il bene o servizio; secondo, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando la normale diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione IVA.

Perché il pagamento con bonifico e un prezzo congruo non sono sufficienti a dimostrare la buona fede del contribuente?
Secondo la Corte, questi elementi non sono sufficienti perché spesso fanno parte della messinscena della frode fiscale, creata appositamente per dare un’apparenza di regolarità. Sono circostanze che, da sole, non provano l’assenza di negligenza o la buona fede dell’acquirente, specialmente a fronte di altri gravi indizi di anomalia.

Cosa deve fare un’impresa per dimostrare di aver agito con la massima diligenza nella scelta dei fornitori?
L’impresa deve dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che le operazioni non facessero parte di una frode. Sebbene la sentenza non elenchi misure specifiche, ciò implica un controllo sulla reale struttura operativa del fornitore, sulla sua reputazione commerciale e sulla coerenza delle transazioni, andando oltre la mera regolarità formale dei documenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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