Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27003 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27003 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
Oggetto: IVA -II.DD. -operazioni inesistenti
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7418/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME (indirizzo PEC: EMAIL, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO (studio legale RAGIONE_SOCIALE -Sanasi d’Arpe) ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 3106/14/17, depositata in data 31 agosto 2017 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 settembre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, n. 3106/14/17 veniva rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Palermo n. 9/6/2015 con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso per II.DD. e IVA relativo al l’anno di imposta 2010 in dipendenza dalla contestazione di operazioni inesistenti, di ricavi non contabilizzati né dichiarati, costi disconosciuti e indebita applicazione del regime IVA del margine.
Si legge in sentenza che le riprese traevano origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti della società, svolgente l’attività di commercio di autovetture, conclusasi con p.v.c., da cui emergeva l’acquisto da parte della contribuente in evasione di imposta tramite ‘cartiere’ di autoveicoli provenienti da cedenti infracomunitari.
Il giudice di prime cure disattendeva le eccezioni preliminari sollevate dalla contribuente e, nel merito, confermava integralmente le riprese, decisione confermata in secondo grado.
4. La contribuente ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello , affidato a sei motivi, mentre l ‘Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
Considerato che:
1. Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 53 Cost., nonché degli artt. 24 e 111 Cost, e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 6 par, 1, CEDU, in combinato disposto con l’art. 117, comma 1, Cost.. La censura denuncia l’ error in iudicando in cui sarebbe incorso il giudice, in ordine alla statuizione sfavorevole sul motivo con il quale si contestava il rilievo contenuto nell’avviso di accertamento impugnato, secondo il quale l’esecuzione di ‘ anticipazioni soci ‘ per cassa in favore della società costituirebbe presunzione di produzione di utili extra-contabili da parte della società medesima, nonché presunzione del fatto che tali utili siano stati conseguiti nello stesso anno d’imposta in cui gli anticipi sono stati eseguiti. La contribuente assume la violazione del divieto di plurime presunzioni semplici, essendo ammesse, per giurisprudenza consolidata, presunzioni di secondo grado soltanto per l’accertamento di fatti posti a fondamento di presunzioni legali.
2. Il motivo è infondato. Il giudice d’appello ha stabilito alle pagg.4-5 della sentenza che: «secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza nel processo verbale di constatazione in atti – le cui conclusioni sono state fatte proprie dell’amministrazione finanziaria – dall’esame della contabilità della società sono stati rilevati una serie dì versamenti in cassa indicati, per lo più, in contanti così da non lasciare tracce in merito alla documentabilità delle operazioni ed in corrispondenza di tali versamenti è stata rilevata la consistenza di liquidità del conto corrente bancario utilizzato alla società acceso presso la Banca Monte dei Paschi di Siena tale da non evidenziare alcuna sofferenza finanziaria (con la
logica deduzione che se si doveva far fronte a reali esigenze operative di gestione alla società per ben poteva farsi ricorso al credito bancario).
A fronte di tali anomalie l’amministratore della società, interpellato nel corso delle operazioni della polizia tributaria, non è stato in grado di fornire alcun chiarimento, rimanendo, per altro verso nel corso del giudizio incontestata la circostanza che i soci non hanno comprovato di essere titolari di redditi personali, derivanti da altre attività, idonei a giustificare la disponibilità finanziaria erogata in misura così consistente alla società.
È rimasta, pervero, totalmente indimostrata l’affermazione di parte ricorrente secondo cui si sarebbe trattato di ‘ mere scritture di rettifica di operazioni di cassa ‘ , non contabilizzate in quanto il consulente della società avrebbe ricevuto in ritardo la relativa documentazione.
In virtù dei già menzionati elementi è stato, poi, rilevato che, non prendendo in considerazione gli apporti a titolo di anticipo e le restituzioni seguite, l’andamento del conto cassa contanti della società per gli anni 2009 e 2010 evidenziava, in modo anomalo, la costante presenza di saldi negativi.
Va richiamato, sul punto, l’orientamento secondo cui ‘ In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed ILOR, ai sensi dell’art.39 del d.P.R. n. 600 del 1973, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo ‘ (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27585 del 20/11/2008).
Orbene, come evidenziato correttamente nella sentenza impugnata incombeva sulla ricorrente, e non sull’Amministrazione finanziaria, l’onere di dimostrare la legittimità delle operazioni in questione, sulla base di elementi specifici atti a dimostrare la reale provenienza del
denaro occorso per le suddette anticipazioni, invero, nella specie, neanche allegati e in difetto di tali elementi ha concluso per la correttezza dell’ accertamento “induttivo” svolto al riguardo dalla amministrazione finanziaria. Osserva questa Commissione che tali argomentazioni corrette ed adeguatamente motivate resistono alle censure di parte appellante dovendosi ribadire che la società contribuente non ha offerto, com ‘ era suo preciso onere, elementi idonei ad inficiare la suddetta ricostruzione di tipo induttivo con l’ulteriore precisazione che la correttezza della ragionamento operato all’amministrazione finanziaria appare suffragata dalla circostanza che la guardia di finanza ha rilevato delle irregolarità in ordine alla fatturazione delle autovetture oggetto di cessione costituenti ‘ indizi di evasione da parte della società verificata ‘ .
Va osservato che è stato anche accertato che nel corso degli anni 20082009 le fatture emesse non corrispondevano al prezzo effettivo di vendita e a prezzo reale di cessione dell’autovettura risultante dalla apposita cartellina di vendita predisposta dalla società venditrice (vedi PVC in atti).
Appare, quindi, corretto l’accertamento induttivo dell’amministrazione finanziaria basato sul fatto che procedura adottata mediante l’accensione del conto anticipazioni soci aveva chiaramente lo scopo di ripianare contabilmente deficienze di cassa determinate dalla mancata contabilizzazione di ricavi conseguenze alle cessioni di beni senza fattura ovvero per corrispettivi inferiori a quelli reali.
Il ragionamento del giudice è logico e coerente, ed erra la ricorrente a ritenere che la citata giurisprudenza non sia pertinente e che la presunzione di distribuzione utili trovi applicazione solo nel caso di indagini bancarie ex art.32 d.P.R. n.600/72. Infatti, il principio di diritto espresso dalla sentenza n. 27585 del 20/11/2008 va reiterato anche nella presente fattispecie (v. anche, mutatis mutandis , Cass. n.7538/2020) e nel caso in esame la sussistenza di un saldo negativo
di cassa, che implica voci di spesa di entità superiore a quella degli introiti registrati e fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura pari almeno al disavanzo, è accertato dal giudice che afferma: «l’andamento del conto cassa contanti della società per gli anni 2009 e 2010 evidenziava, in modo anomalo, la costante presenza di saldi negativi» ( ibidem ). Logicamente non può essere utilmente preso in considerazione il conto anticipazione da soci invocato a p.9 ricorso, perché non è stato superato l’accertamento fattuale del giudice secondo cui è «totalmente indimostrata l’affermazione di parte ricorrente secondo cui si sarebbe trattato di “mere scritture di rettifica di operazioni di cassa”, non contabilizzate in quanto il consulente della società avrebbe ricevuto in ritardo la relativa documentazione» (v. p. 4 sentenza).
Con il secondo motivo la contribuente deduce, in rapporto all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2727 e 2697 cod. civ. e così l’ error in indicando in cui sarebbe incorsa la sentenza, in ordine alla statuizione con la quale è stata ritenuta raggiunta la prova per presunzioni della natura soggettivamente fittizia delle operazioni commerciali poste in essere con le ‘ pretese cartiere’ . Secondo la società gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio sarebbero, in base alla giurisprudenza di legittimità, astrattamente idonei, a tutto concedere, a fondare la contestazione di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la conseguente indetraibilità dell’Iva passiva ivi esposta, laddove invece nel caso di specie l’Ufficio ha contestato l’interposizione fittizia delle presunte ‘cartiere’ e la conseguente imputazione di ricavi e Iva attiva dei pretesi interposti in capo alla pretesa interponente.
4. Il mezzo è inammissibile. Il giudice alle pagg.5-6 della sentenza ha accertato che: «sono, allo stesso, modo totalmente infondate le ulteriori censure formulate da parte appellante riguardanti la frode fiscale contestata con riferimento alle operazioni commerciali ritenute soggettivamente inesistenti. Sul punto va premesso che le complessive argomentazioni della sentenza impugnata – che qui devono intendersi integralmente richiamate – sono tali da resistere alle censure di parte appellante. Occorre in questa sede ribadire che appare corretta la ricostruzione operata dalla polizia tributaria – fatta propria dall’ufficio finanziario – secondo cui le fatture emesse dalla ditta individuale COGNOME RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi fittizie. È, stato, in particolare, ricostruito che la ditta di RAGIONE_SOCIALE, nonostante il notevole volume di affari sviluppato nel corso del periodo oggetto di indagine, era priva di qualsiasi struttura seppur minima organizzazione (non possedendo un locale o altro bene strumentale all’esercizio di impresa commerciale, segnatamente presso l’indirizzo dichiarato quale sede della ditta i verificatori riscontravano un modesto locale chiuso ed in stato il degrado, reperendo, invece, presso l’abitazione del Levant le fatture di acquisto di beni); tale ditta è risultata priva di dipendenti o collaboratori, di una struttura amministrativa-contabile e di un consulente fiscale; il COGNOME è risultato nullatenente non disponendo di mezzi economici necessari per pagare i propri fornitori, emergendo, altresì, che la provvista per consentire al COGNOME di regolare pagamenti con i suol fornitori in Germania veniva sistematicamente messa a disposizione dagli acquirenti che pagavano la merce prima di riceverla; è emersa l’assenza di scopo del profitto atteso che la ditta COGNOME non operava secondo criteri di economicità, risultando che in ordine alla percentuale di ricarico applicata alla rivendita di autovetture applicava margini inferiori a quelli normalmente praticati dagli operatori del medesimo settore ed, In taluni casi, rivendeva le autovetture un prezzo
inferiore a quello di acquisto; è stato accertato che il RAGIONE_SOCIALE ha provveduto ad immatricolare numerose autovetture di provenienza comunitaria anche dopo che la sua attività è risultata cessata (in data 31/12/2007); è emerso che il Levant non aveva presentato dichiarazione redditi nè versato Imposte nonostante figurasse quale acquirente di merci da parte i paesi dell’ Unione Europea per importi rilevanti di oltre 2 milioni di euro. Ad analoghe conclusioni, circa la reale natura di cartiera, sono pervenuti, correttamente, l’organismo antifrode e l’amministrazione finanziaria per quanto concerne la ditta RAGIONE_SOCIALE Nello specifico è emerso che anche tale società era totalmente priva di una struttura organizzativa (“presso l’indirizzo dichiarato della società è stato riscontrato un modesto locale chiuso e senza alcuna insegna”) ed il legale rappresentante, NOME COGNOME ha dichiarato di non sapere nulla della concreta gestione dell’azienda essendo privo delle competenze e conoscenze tecniche settore e delie risorse economiche utili per gestire una qualsiasi attività commerciale e che la società In questione era gestita dal COGNOME, limitandosi egli esclusivamente sottoscrivere la documentazione di volta In volta gli sottoponeva quest’ ultimo. Dal p.v.c. risulta, pure, che vari soggetti (tali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) si sono presentati quali interposti fittizi fornendo i propri dati anagrafici personali a COGNOME NOME al fine di immatricolare numerose autovetture comunitarie destinate alla commercializzazione di fatto parte della RAGIONE_SOCIALE Orbene va richiamato l’orientamento secondo cui ‘ In tema di evasione dell’IVA a mezzo di frodi carosello, quando l’operazione soggettivamente inesistente è di tipo triangolare, poco complessa e caratterizzata dalla interposizione fittizia di un soggetto terzo tra il cedente comunitario ed il cessionario italiano, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla consapevolezza da parte del cessionario che il corrispettivo della cessione sia versato al soggetto terzo non le-
gittimato alla rivalsa né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, è soddisfatto dalla dimostrazione che l’interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla prestazione fatturata, mentre spetta al contribuente-cessionario fornire la prova contraria della buona fede con cui ha svolto le trattative ed acquistato la merce, ritenendo incolpevolmente che essa fosse realmente fornita dalla persona interposta (Sez. 5 -, Sentenza n. 10120 del 21/04/2017, Rv. 644043 – 01). La natura di cartiera della ditta COGNOME, come comprovata dall’ amministrazione finanziaria, è stata peraltro accertata con sentenza della commissione tributaria provinciale di Palermo n. 174/2013, passata in autorità del giudicato, la quale può certamente avere nell’ odierno giudizio valenza indiziaria.»
A fronte di un tale articolato e logico ragionamento, ancorato nel quadro istruttorio, la censura in disamina impinge ne ll’accertamento del giudice di raggiungimento della prova per presunzioni circa la natura soggettivamente fittizia delle operazioni commerciali poste in essere con le pretese ‘cartiere’ è scopertamente motivazionale e inammissibile sia perché meritale, sia per doppia conforme alla luce del doppio rigetto della prospettazione contraria di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360, quale va qualificata la reale censura in disamina, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste
a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
Non coglie poi nel segno l’invocazione (v. p. 17 ricorso) della sentenza n. 619/10 del Tribunale penale di Palermo che ha definito, con formula assolutoria, «il procedimento penale a carico del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (sig. COGNOME per il reato di presunto utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La prospettazione è generica in quanto il ricorso non deduce né prova che la sentenza è stata depositata nel presente giudizio con attestazione di passaggio in giudicato, né c’è un motivo di ricorso specifico idoneo a superare il preciso accertamento fattuale del giudice di appello a pag.8 della sentenza impugnata secondo cui «Di nessun pregio è, poi, la difesa della società appellante secondo cui il legale rappresentante della stessa NOME COGNOME sarebbe stato assolto dalle imputazioni di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti nel rapporti con la ditta COGNOME escludendo il ruolo di interposto fittizio del RAGIONE_SOCIALE e ciò sia in considerazione del fatto che l’Imputazione ha riguardato l’anno 2007 (e, quindi, fatti diversi) apparendo del tutta priva di pregio la deduzione secondo cui se COGNOME non era un soggetto interposto nel 2007 non lo era neanche del 2010«».
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, ai fini de ll’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 37, comma 3, e 39, d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. in ordine alla determinazione induttiva dei ricavi imputati alla presunta interponente senza riconoscimento dei costi per il maggior reddito accertato sulla base della contabilità delle presunte cartiere, sia per violazione del divieto di presunzione di secondo grado che per violazione dell’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, il quale consente di imputare all’interponente il reddito dell’interposto, non i ricavi.
6. Il motivo è inammissibile è parzialmente fondato, nei limiti che seguono.
In linea generale, logico e condivisibile è l’argomentare del giudice sulla questione alle pagg.4 e ss. della sentenza: «Parimenti privo di fondamento è l’ulteriore motivo di impugnazione afferente la questione riguardante la presunta omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi per euro 15.500,00 con Iva pari ad euro 1.900,00. Occorre premettere che (…)» e segue l’ampio brano di motivazione già citato in risposta al primo motivo. Quanto alla asserita violazione del divieto di presunzione di secondo grado vale la considerazione già ivi svolta, trattasi di un accertamento compiuto dal giudice della presenza di saldi negativi da cui discende la presunzione, che pertanto non è affatto di secondo grado ed è conforme alla giurisprudenza di Sezione.
Non coglie poi nel segno l’osservazione che l’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973 menziona i redditi e non i ricavi, disponendo: «in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona (…) ». La norma colpisce ogni uso improprio o ingiustificato di strumenti giuridici, pur di per sé legittimi, quando l’uso che se ne fa è volto a realizzare l’elusione e considera, quindi, elusive le operazioni, simulate o reali che siano, che costituiscano il mezzo per aggirare l’applicazione della normativa fiscale sfavorevole. La giurisprudenza interpreta tale norma precisando che «in tema di accertamento rettificativo dei redditi, la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’art. 37, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo stru-
mento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto d’imposta; ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito della quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali» (cfr. Cass. n. 25671/2013; Cass. n. 21794/2014; Cass. n.21952/2015).
Nel caso che ci occupa dalla sentenza emerge che l’Amministrazione finanziaria non ha affatto contestato la natura elusiva delle operazioni, bensì che le stesse fossero soggettivamente inesistenti.
Tuttavia, con riferimento alla questione dei costi per la produzione di maggior reddito (analiticamente) induttivamente accertato, in ricorso il profilo è efficacemente contestato alle pagg.27 e 28 che: «Nell’atto di accertamento l’Ufficio, dopo aver imputato alla società ricavi riferiti all’attività delle presunte cartiere COGNOME e Speed car per 15.500 euro (…) per la determinazione del reddito (…) si è guardato bene dall’imputare all’odierna ricorrente, insieme ai ricavi, anche i costi emergenti dalla contabilità delle presunte ‘cartiere’, poiché, com’è stato anche accertato dalla C.t.r., ‘ la Levant non operava secondo criteri di economicità, risultando che in ordine alla percentuale di ricarico applicata alla rivendita di autovetture applicava margini inferiori a quelli normalmente applicati dagli operatori del medesimo settore ed, in taluni casi, rivendeva le autovetture ad un prezzo inferiore a quello di acquisto ‘ , peraltro ‘ ad analoghe conclusioni ‘ (non meglio specificate) è pervenuto il Giudice a quo ‘ per quanto concerne la ditta RAGIONE_SOCIALE (cfr. sent, d’appello, pag. 6).» Il Collegio osserva che la sentenza d’appello non esplicita se vi è stato il riconoscimento, anche solo forfettario, dei costi di produzione del maggior reddito, profilo evidenziato con l’atto di gravame, e che dev’essere esaminato d’ufficio dal giudice -laddove
emergente dagli atti – perché funzionale alla costituzionalità della tipologia di accertamento. Infatti, in tema di accertamento dei redditi e tenuto conto dei princìpi espressi nella sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, ogni accertamento induttivo, sia esso analitico-induttivo o induttivo puro, deve tener conto dei costi, forfettari, presuntivamente sostenuti per produrre il reddito imputato al contribuente, affinché il meccanismo di determinazione del reddito fondato su presunzioni rispetti quanto più è possibile il principio di capacità contributiva (cfr. Cass. n. 16168/2025). È necessario un accertamento a riguardo da parte del giudice del rinvio.
Dalla reiezione del secondo motivo discende il medesimo esito anche per il quarto, in cui la ricorrente prospetta, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., l’apparenza della motivazione in ordine al motivo con il quale era stato contestato un rilievo inerente l’indeducibilità di costi per euro 1.900 connesso alla presunta omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi per euro 15.500 con IVA pari ad euro 3.100, in quanto sostenuti nei confronti di soggetti privati italiani, asseritamente interposti a cedenti comunitari. Si tratta infatti di contestazioni intrecciate tra loro il cui esito dipende dal comune accertamento, razionalmente compiuto dal giudice, di inesistenza delle operazioni contestate.
8. Con il quinto motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art.360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 e l’apparenza della motivazione in ordine al motivo con il quale veniva censurato il rilievo in ordine all’indetraibilità dell’Iva relativa a tre fatture emesse da una delle presunte ‘cartiere’, in difetto di prova specifica circa la fittizietà delle singole operazioni contestate. La società emittente, in quanto cartiera, non sarebbe legittimata a beneficiare del regime IVA del margine.
9. Il motivo è infondato. Si deve ribadire che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, dev ‘ essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Orbene, sulla questione oggetto della censura il giudice ha innanzitutto stabilito a pag.9 della sentenza: «Per le ragioni già sopra evidenziate deve ribadirsi che vi è prova della natura di cartiera della RAGIONE_SOCIALE e della conoscenza di tale situazione da parte della società ricorrente». Il richiamo è all’ampia argomentazione immediatamente pre-
cedente nella sentenza impugnata, e già sopra riportata, alla conclusione della quale il giudice ha accertato l’inesistenza delle operazioni suddette.
La motivazione poi prosegue: «Occorre, anche, osservare che ‘ In tema di IVA, il regime del margine di utile di cui all’alt. 36 del d.l. 23 febbraio 1995, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, rappresentando un regime speciale, di carattere opzionale, derogatorio dell’ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone al contribuente di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che ne giustificano l’applicazione. Ne consegue che l’assenza o il difetto di detta prova comporta l’inapplicabilità del regime impositivo de quo”. (Sez. 5, Sentenza n. 26852 del 18/12/2014, Rv. 633716 01), prova che nel caso in esame – come correttamente contestato dall’ amministrazione finanziaria e ritenuto dai primi giudici – non è stata fornita dalla società contribuente» ( ibidem ). Non vi è dunque una consequenzialità di esclusione del regime del margine per il solo fatto che è stata accertata l’inesistenza delle operazioni, ma c’è un accertamento fattuale specifico, con richiamo alla decisione di prime cure, circa la mancata prova dei presupposti per l’applicazione nella fattispecie dell’invocato regime fiscale di favore, conforme a quello di primo grado. Tale motivazione rispetta il minimo costituzionale.
10. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art.360, primo comma, nn.3 e 4, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 17, d.lgs. n. 472 del 1997 e comunque l’apparenza della motivazione, in quanto le sanzioni sono state oggetto di irrogazione immediata in presenza di un provvedimento impositivo infondato, nonché error in procedendo per omessa pronuncia sulla violazione del ‘cumulo giuridico’.
Il motivo è inammissibile in quanto, premesso che il giudice si è pronunciato sulla questione delle sanzioni, ritenute dovute in conseguenza della reiezione delle doglianze sulle imposte, lo specifico profilo della violazione del cumulo giuridico, sollevato in primo grado, non risulta testualmente riproposto in appello, come si evince dalla lettura di pag.31 del ricorso che riporta un unico generico passaggio dell’atto di gravame che non fa alcuna menzione del cumulo.
La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il terzo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione al profilo e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME