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Operazioni inesistenti: prova e onere dell’Agenzia

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7981/2025, ha cassato la decisione di una Commissione Tributaria Regionale che aveva annullato un avviso di accertamento per operazioni inesistenti. L’Agenzia fiscale aveva contestato la deducibilità di costi e la detrazione IVA su fatture emesse tra società collegate a seguito di una scissione, sulla base di una serie di indizi. La Cassazione ha stabilito che il giudice di merito ha errato nel non valutare gli elementi presuntivi nel loro complesso, limitandosi a un’analisi atomistica e introducendo distinzioni irrilevanti. Viene ribadito il principio secondo cui la prova di operazioni inesistenti si basa su una valutazione globale e sintetica degli indizi, che devono essere gravi, precisi e concordanti.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione detta le regole sulla Prova Presuntiva

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, torna a fare chiarezza su un tema cruciale del contenzioso tributario: la prova delle operazioni inesistenti. La pronuncia stabilisce un principio fondamentale per i giudici di merito, sottolineando come la valutazione degli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria non possa essere frammentaria, ma debba avvenire attraverso un’analisi complessiva e logica. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia fiscale contestava a una società a responsabilità limitata l’indebita deduzione di costi e la detrazione dell’IVA relativa a due fatture ricevute da un’altra società. Secondo l’Ufficio, si trattava di operazioni inesistenti.

Le due società erano strettamente collegate: non solo condividevano lo stesso amministratore, ma la società emittente era nata da una scissione della società che gestiva un complesso immobiliare, la cui proprietà era stata trasferita alla società contribuente. Poco dopo, la stessa struttura era stata data in affitto alla società originaria. Le fatture contestate riguardavano il ‘ribaltamento’ di costi di gestione, una relativa all’anno precedente la scissione e l’altra senza un riferimento temporale preciso.

L’Agenzia fiscale aveva raccolto una serie di elementi indiziari, tra cui:
– La tempistica sospetta delle operazioni societarie (scissione e successivo contratto di affitto).
– L’identità del rappresentante legale di entrambe le entità.
– Movimentazioni finanziarie anomale che sembravano non corrispondere alle operazioni fatturate.

Nonostante ciò, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione alla società, ritenendo gli indizi non sufficientemente provanti. L’Agenzia ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Valutazione delle operazioni inesistenti secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria, cassando con rinvio la sentenza di secondo grado. Il cuore della decisione risiede nel metodo di valutazione della prova presuntiva, che i giudici di merito non avrebbero applicato correttamente.

La Cassazione ha chiarito che, di fronte a plurimi elementi indiziari, il giudice non può limitarsi a un esame ‘atomistico’, ossia valutando ogni singolo indizio in modo isolato. Al contrario, è tenuto a seguire un processo logico in due fasi:

1. Valutazione analitica: in primo luogo, si esaminano i singoli elementi per scartare quelli irrilevanti e conservare quelli che presentano, anche solo potenzialmente, un’efficacia probatoria.
2. Valutazione complessiva: successivamente, si procede a una valutazione globale e sintetica di tutti gli indizi conservati per verificare se, nel loro insieme, siano concordanti e in grado di fornire una prova presuntiva valida e convincente.

Nel caso specifico, la Commissione Tributaria Regionale aveva fallito in questo secondo passaggio. Si era limitata ad affermare genericamente che gli elementi non erano convincenti, senza spiegare perché la loro combinazione non costituisse una prova sufficiente.

Le Motivazioni

I giudici di legittimità hanno evidenziato come il giudice di appello avesse commesso un errore fondamentale. Invece di valutare l’insieme degli indizi forniti dall’Ufficio (la scissione, il contratto di affitto, l’identità dell’amministratore, i flussi finanziari), ha introdotto una distinzione, non contestata dall’Agenzia, tra ‘costi di gestione ordinaria’ e ‘costi di gestione straordinaria’. Ha ritenuto che, siccome le fatture si riferivano a costi straordinari di ristrutturazione, erano legittimamente ribaltati sulla nuova società proprietaria.

Questa argomentazione è stata giudicata errata dalla Cassazione, perché la contestazione dell’Ufficio non riguardava la natura dei costi, ma l’esistenza stessa delle operazioni fatturate. La Corte ha ribadito che la questione centrale era l’assunta oggettiva inesistenza delle prestazioni, e su questo punto la valutazione complessiva degli indizi era mancata. In pratica, il giudice di merito ha evitato di ‘unire i puntini’, venendo meno al suo dovere di ricostruire i fatti in modo logico e coerente sulla base delle risultanze probatorie.

Le Conclusioni

La decisione ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, rafforza gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione finanziaria nella lotta all’evasione basata su operazioni inesistenti, confermando la validità della prova presuntiva. In secondo luogo, stabilisce un chiaro percorso metodologico per i giudici tributari, che non possono rigettare le pretese del Fisco con motivazioni apparenti o analizzando gli indizi in modo frammentato. Sono obbligati a una valutazione d’insieme, spiegando perché la concatenazione dei fatti non sia sufficiente a provare la tesi accusatoria. Per i contribuenti, ciò significa che, a fronte di un quadro indiziario solido, non basta esibire la fattura e la prova del pagamento: è necessario fornire la prova concreta ed effettiva dell’avvenuta esecuzione della prestazione o della consegna del bene.

Quale tipo di prova deve fornire l’Amministrazione finanziaria per contestare operazioni oggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione finanziaria può assolvere il suo onere probatorio attraverso presunzioni semplici, ovvero indizi, purché questi siano gravi, precisi e concordanti. Non è tenuta a fornire una prova ‘certa’ o diretta.

Come deve comportarsi un giudice di merito di fronte a più indizi di operazioni inesistenti?
Il giudice deve effettuare una valutazione in due fasi: prima un’analisi singola di ogni indizio per verificarne la rilevanza, e poi una valutazione complessiva e sintetica di tutti gli indizi per accertare se, nel loro insieme, costituiscono una prova presuntiva valida. È un errore valutare gli indizi solo in modo isolato.

L’esibizione della fattura e la regolarità delle scritture contabili sono sufficienti per provare l’esistenza di un’operazione?
No. Secondo i principi richiamati nell’ordinanza, l’esibizione della fattura o la regolarità formale delle scritture contabili non sono considerate prove sufficienti, in quanto spesso utilizzate proprio per mascherare operazioni fittizie. Spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza della prestazione contestata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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