Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4380 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4380 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18972/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende:
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TORINO n. 1124/2019 depositata il 23/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 1124/2019 con la quale la
Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Piemonte, decidendo sugli appelli riuniti, proposti rispettivamente dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza n. 166/18 della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Novara e dal Valenti contro la sentenza n. 75/18 della medesima CTP, accoglieva l’appello erariale e rigettava quello del contribuente.
Il contenzioso si riferiva ad avvisi di accertamento fondati su operazioni oggettivamente inesistenti: – con avvisi relativi al 2012 e 2013 l’Agenzia aveva contestato al COGNOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, l’utilizzo di fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Claudio, risultata priva di struttura operativa, senza dipendenti per il 2012 e con un numero insufficiente di dipendenti per il 2013 e senza costi per acquisto di indumenti protettivi per i lavoratori; con altri avvisi per l’anno 2009 l’Agenzia contestava come operazioni inesistenti altre fatture emesse da COGNOME NOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di NOMECOGNOME
Con la sentenza n. 166/18 la CTP di Novara accoglieva il ricorso del contribuente ritenendo l’effettività delle operazioni.
Con la sentenza n. 75/18 la stessa CTP dichiarava inammissibile il ricorso della RAGIONE_SOCIALE, estinta nel 2009, e rigettava quello del Valenti in proprio.
Con la sentenza in epigrafe la CTR del Piemonte, quanto all’appello del Valenti, ha ritenuto il difetto di legittimazione dell’ex socio, privo di potere di rappresentanza della società estinta; ha poi ritenuto infondato l’appello proposto in proprio, ricorrendo i presupposti per il raddoppio dei termini e mancando prova dell’effettività delle prestazioni. In particolare, a fronte del quadro indiziario emerso dalla verifica (assenza di struttura operativa, incongruità dei costi per i lavori dichiarati, prelievi in contanti, descrizione generiche delle fatture), non potevano costituire prova contraria decisiva i pagamenti per banca perché « in ipotesi di
comportamenti fraudolenti il pagamento tracciabile costituisce mezzo preordinato a contrastare eventuali accertamenti ».
Quanto all’appello erariale , la CTR ha affermato che gli elementi addotti dal COGNOME non dimostravano l’effettività delle prestazioni: i pagamenti non erano significativi e gli ordini prodotti erano mera riproduzione del contenuto delle fatture. Con riferimento, poi, all’affermazione della CTP che aveva ritenuto che le irregolarità riscontrate dai verificatori presso la ditta COGNOME non potevano essere « poste a carico della OVM », la CTR ha osservato che il COGNOME era in grado di rilevare la natura di ‘cartiera’ della impresa COGNOME che per un certo periodo era stato suo dipendente.
Il ricorso si fonda su due motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 ( recte n. 4), violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., assumendo il vizio di ultrapetizione della sentenza: l’Ufficio aveva contestato operazioni oggettivamente inesistenti mentre la CTR aveva considerato le operazioni contestate soggettivamente inesistenti; invero il ricorrente aveva prodotto documentazione attestante l’effettività delle prestazioni e l’avvenuto pagamento delle commesse, la CTR aveva ritenuto la conoscibilità da parte del cessionario della frode fiscale realizzata dal cedente pur in difetto di elementi di prova dedotti dall’Ufficio in merito.
1.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
1.2. Si d educe una violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, un error in procedendo , che impone alla parte di riportare in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte
di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’ iter processuale senza compiere verifiche sugli atti (Cass. n. 23834 del 2019). La deduzione è, invece, estremamente generica, non indicando in termini puntuali i passaggi motivazionali da cui dovrebbe desumersi il vizio di extrapetizione, e tendente, più che altro, a rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito, che ha accertato che non era stata provata l’« effettività delle prestazioni ». Come noto, è inammissibile il ricorso per cassazione che miri ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019).
1.3. Le considerazioni della CTR in ordine alla conoscibilità da parte del Valenti della natura di ‘cartiera’ della ditta del COGNOME, visti i preesistenti rapporti tra loro, non sono sufficienti per ritenere che il Giudice d’appello abbia ritenuto un fatto costitutivo diverso da quello contestato, tendendo le stesse a demolire le argomentazioni del giudice di prime cure. Del resto, in nessuna parte della motivazione si parla esplicitamente di operazioni soggettivamente inesistenti.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 ( recte n. 4) c.p.c., « vizio di motivazione » perché « Non sono percepibili le ragioni della decisione in rapporto al caso concreto, né vi sono argomentazioni obiettivamente idonee a far conoscere l’iter logico giuridico seguito dal giudice per la formazione del suo convincimento ».
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza –
di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
2.3. In questo caso, come si evince dalla superiore espositiva in fatto, la sentenza impugnata contiene una motivazione chiaramente intelligibile nel suo percorso logico -giuridico, oltretutto rispettosa dei principi in materia: In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e
della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021).
Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 05/11/2024.