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Operazioni inesistenti: onere prova e deducibilità

La Corte di Cassazione interviene sul tema delle operazioni inesistenti, annullando con rinvio una sentenza di merito. Il caso riguarda un’azienda vinicola a cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’utilizzo di fatture per acquisti fittizi. La Corte ha censurato la decisione del giudice regionale per aver erroneamente riqualificato le operazioni da ‘oggettivamente’ a ‘soggettivamente’ inesistenti e per non aver valutato in modo complessivo e unitario tutti gli indizi probatori forniti dall’amministrazione. La sentenza ribadisce i principi sull’onere della prova e le diverse conseguenze fiscali, in termini di deducibilità dei costi e detraibilità dell’IVA, a seconda della natura dell’inesistenza contestata.

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Pubblicato il 27 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova e Limiti alla Deducibilità secondo la Cassazione

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul delicato tema delle operazioni inesistenti, fornendo chiarimenti cruciali sulla gestione della prova indiziaria e sulle differenti conseguenze fiscali tra inesistenza oggettiva e soggettiva. La decisione in esame cassa una sentenza della Commissione Tributaria Regionale, colpevole di aver mal governato le prove e di aver modificato la natura della contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria, con importanti implicazioni sulla deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da una verifica fiscale a carico di un’azienda vinicola per l’anno d’imposta 2005. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento contestando l’utilizzo di fatture per l’acquisto di mosto, per un valore superiore ai 2 milioni di euro, da un fornitore ritenuto fittizio. Secondo l’Ufficio, si trattava di operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero di transazioni mai avvenute.

La società contribuente aveva impugnato l’atto, ottenendo una prima vittoria presso la Commissione Tributaria Provinciale, che aveva ritenuto sufficiente la regolarità formale della contabilità.

In appello, la Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente riformato la decisione. Pur riconoscendo il valore degli indizi presentati dall’Agenzia, li aveva ritenuti insufficienti a provare l’inesistenza oggettiva delle operazioni. Tuttavia, aveva riqualificato autonomamente la fattispecie, considerandola come un caso di inesistenza soggettiva (operazioni reali, ma intercorse tra soggetti diversi da quelli fatturati). Di conseguenza, aveva confermato l’indetraibilità dell’IVA ma, in applicazione della normativa sopravvenuta, aveva ammesso la deducibilità dei relativi costi ai fini delle imposte dirette. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulle operazioni inesistenti

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa al giudice di merito per una nuova valutazione. I giudici di legittimità hanno individuato due errori fondamentali nel ragionamento della Commissione Regionale.

Il Malgoverno della Prova Presuntiva

Il primo e più rilevante errore riguarda la valutazione delle prove. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la prova presuntiva, basata su indizi, richiede una valutazione complessiva e unitaria di tutti gli elementi raccolti, non un esame atomistico e isolato di ciascun indizio. Il giudice regionale, invece, dopo aver dato valore indiziario alle dichiarazioni degli autotrasportatori che negavano il trasporto della merce, ha incomprensibilmente ritenuto questo singolo elemento non sufficiente, senza considerarlo insieme a tutti gli altri elementi forniti dall’Agenzia, tra cui:

* La cessazione dell’attività del fornitore dopo solo un anno.
* La mancanza di una precedente attività di commercializzazione di vini da parte dello stesso.
* L’ingente ammontare degli acconti versati (milioni di euro).
* La mancata esibizione della documentazione contabile da parte del fornitore.
* L’assenza di dipendenti e di beni strumentali adeguati.

Secondo la Cassazione, il giudice d’appello avrebbe dovuto valutare tutti questi indizi nel loro insieme per determinare se, nel complesso, fossero gravi, precisi e concordanti al punto da fondare la presunzione di oggettiva inesistenza delle operazioni contestate.

L’Errore nella Riqualificazione Giuridica del Fatto

Il secondo errore, definito ‘abnorme’ dalla Corte, consiste nell’aver modificato la contestazione mossa dall’Agenzia. L’accertamento si basava sull’oggettiva inesistenza, una fattispecie ontologicamente diversa dalla soggettiva inesistenza. Il compito del giudice tributario è quello di decidere sulla base della pretesa fiscale e delle prove addotte, non di sostituire la contestazione originaria con una diversa. Riqualificando i fatti, il giudice di merito ha travalicato i suoi poteri, decidendo su una questione non posta dall’Ufficio.

Le Motivazioni

Nella sua articolata motivazione, la Corte di Cassazione ha ripercorso i principi che governano la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA in materia di operazioni inesistenti.

Per le operazioni oggettivamente inesistenti, è esclusa sia la deducibilità del costo sia la detraibilità dell’IVA, poiché manca il presupposto stesso della transazione economica. L’onere di provare l’inesistenza grava sull’Amministrazione finanziaria, che può assolverlo anche tramite presunzioni semplici. Una volta fornita tale prova, spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, e non può farlo semplicemente esibendo la fattura o i mezzi di pagamento.

Per le operazioni soggettivamente inesistenti, il regime è diverso. I costi possono essere dedotti se sono stati effettivamente sostenuti e sono inerenti all’attività d’impresa, a meno che non siano direttamente utilizzati per il compimento di un delitto. L’IVA, invece, resta indetraibile se il cessionario era consapevole, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a una frode.

La Corte ha censurato la sentenza impugnata proprio per non aver applicato correttamente queste regole, prima nel valutare le prove e poi nel trarre le conseguenze fiscali dalla qualificazione giuridica arbitrariamente attribuita ai fatti.

Le Conclusioni

La sentenza viene cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di II grado dell’Emilia-Romagna in diversa composizione. Il nuovo giudice dovrà riesaminare l’appello dell’Agenzia attenendosi ai principi enunciati dalla Cassazione. In particolare, dovrà procedere a una valutazione globale e sinergica di tutti gli indizi raccolti per verificare se la contestazione originaria di oggettiva inesistenza sia fondata. L’esito di questa valutazione determinerà il corretto trattamento fiscale, sia ai fini IVA che delle imposte dirette, senza possibilità di riqualificare la fattispecie. La pronuncia rafforza l’importanza di una rigorosa analisi probatoria nel contenzioso tributario e chiarisce i confini del potere del giudice di fronte alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria.

Come deve essere valutata la prova in caso di contestazione di operazioni inesistenti?
La prova deve essere valutata in modo complessivo e non atomistico. Il giudice di merito deve esaminare tutti gli indizi forniti dall’Amministrazione finanziaria nel loro insieme per verificare se, considerati globalmente, essi sono gravi, precisi e concordanti e possono quindi fondare la presunzione di inesistenza dell’operazione, senza considerare ciascun indizio in modo isolato.

Qual è la differenza fiscale tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti?
In caso di operazioni oggettivamente inesistenti (la transazione non è mai avvenuta), sia i costi che l’IVA sono totalmente indeducibili e indetraibili. In caso di operazioni soggettivamente inesistenti (la transazione è avvenuta, ma tra parti diverse da quelle indicate in fattura), i costi sono deducibili se effettivamente sostenuti e inerenti, mentre l’IVA è indetraibile se il contribuente era consapevole o avrebbe dovuto essere consapevole della frode.

Può il giudice tributario modificare la natura della contestazione da oggettivamente a soggettivamente inesistente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice non può modificare la contestazione formulata dall’Agenzia delle Entrate, in quanto l’inesistenza oggettiva e quella soggettiva sono fattispecie ontologicamente diverse. Il suo compito è valutare la fondatezza della pretesa originaria sulla base delle prove fornite, non crearne una nuova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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