Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31101 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31101 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 04/12/2024
operazioni oggettivamente inesistenti-oneri probatori-riparto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15944/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA – SEZIONE STACCATA DI BRESCIA -n. 6906/2016, depositata in data 15/12/2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
18/10/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva tre distinti ricorsi contro tre avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate aveva recuperato maggior IRES, IRAP e IVA per gli anni 2004, 2005 e 2006, ritenendo oggettivamente inesistenti le operazioni intercorse con la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di Ducoli Primo.
La Commissione tributaria provinciale di Brescia rigettava i ricorsi, previa loro riunione.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, accoglieva l’appello e annullava gli avvisi di accertamento. In particolare, evidenziava che mancasse la prova della fittizietà delle operazioni e non trovasse applicazione l’art. 109 t.u.i.r.; le prestazioni della ditta RAGIONE_SOCIALE dovevano ritenersi effettivamente realizzate in presenza di fatture conformi al dettato dell’art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972 e in considerazione della loro regolare registrazione contabile, della lettera di conferma de ll’incarico e del relativo mezzo di pagamento, con correlato estratto del conto corrente, rivelandosi vaghe e generiche le contestazioni dell’ufficio.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a due motivi.
La società resiste con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 ottobre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la difesa erariale deduce violazione degli artt. 17, 19 e 21, comma 7, d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 6 d.lgs. n. 471/199 7, dell’art. 109 t.u.i.r. e dell’art. 2697 cod. civ., censurando la decisione della CTR che avrebbe errato laddove ha ritenuto che la specificità delle fatture ponesse a carico dell’ufficio l’onere della prova dando rilievo poi a documenti provenienti dalla società inidonei a provare l’effettività delle operazioni, laddove contratto, contabilità, fatture e mezzi di pagamento non costituiscono idonea prova contraria.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5) cod. proc. civ., deduce omesso esame di fatti decisivi ai fini della decisione, relativi alla mancanza di mezzi e dipendenti della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE di Ducoli Primo.
I due motivi sono da esaminare congiuntamente e sono fondati nei termini che seguono.
2.1. Va preliminarmente osservato che, tenuto conto del contenuto complessivo del primo motivo di ricorso in esame, nello stesso è stata chiaramente prospettata la violazione, in primo luogo, del principio del riparto dell’onere di prova nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, avendo, peraltro, il giudice del gravame del tutto omesso di esaminare gli elementi indiziari proposti dall’Agenzia ricorrente ritenendo le relative tesi generiche; nella prospettiva, dunque, della linea difensiva sulla quale si fonda la ragione di censura, correttamente parte ricorrente ha fatto riferimento anche alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., norma sulla quale si basa la ripartizione dell’onere di prova.
Occorre poi osservare che quel che parte ricorrente lamenta non implica una rivalutazione degli elementi meritali, bensì involge la non corretta sussunzione della fattispecie nell’ambito del paradigma astratto delle norme citate, concretantesi, in particolare, nell’avere ritenuto che parte ricorrente non avesse assolto all’onere di prova su
di esso gravante, nonostante la molteplicità di elementi indiziari, proposti a supporto della pretesa della natura oggettivamente inesistente delle operazioni di cui alle fatture passive, di cui, non correttamente, il giudice del gravame ha svalutato o escluso la rilevanza; il motivo, parimenti, ammissibilmente censura il valore probatorio, nella specifica fattispecie, degli elementi offerti dalla società contribuente.
2.2. Ciò premesso, la questione attiene al corretto riparto dell’onere della prova qualora sia stata contestata dall’amministrazione finanziaria l’inesistenza oggettiva delle operazioni di cui alle fatture passive nonché alla individuazione degli elementi sui quali la pretesa può essere correttamente basata nonché il contenuto della prova contraria da parte del contribuente.
Ai fini della identificazione del soggetto onerato della prova, nella ipotesi di contestazione formulata dall’Ufficio in ordine alla inesistenza, o parziale inesistenza, delle operazioni commerciali fatturate, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato in tema di IVA (ma i principi valgono per tutte le imposte accettabili mediante la contestazione della veridicità delle fatturazioni) che qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibile, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili e di strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale
un’operazione fittizia (Cass. n. 19352/2018; Cass. n. 29002/2017; Cass. n. 428/2015; Cass. n. 17977/2013; Cass. n. 28628/2021).
L ‘ufficio può quindi assolvere il proprio onere con presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 9784/2010; Cass. n. 9108/2012; Cass. n. 15741/2012; Cass. n. 23560/2012; Cass. n. 27718/2013; Cass. n. 20059/2014; Cass. n. 9363/2015; Cass. n. 17619/2018; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11).
Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione.
Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio; solo in un secondo momento, qualora
ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ. Ed infatti, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
Tale onere, a sua volta, non può però ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 33915/2019; Cass. n. 28572/2017; Cass. n. 5406/2016; Cass. n. 28683/2015; Cass. n. 428/2015; Cass. n. 12802/2011).
2.3. Nel caso di specie il giudice del gravame ha quindi errato laddove, con motivazione astratta e generica, ha ritenuto che manchi la prova della fittizietà delle operazioni, ritenendo generiche le contestazioni dell’ufficio, così svalutando il valore pregnante ed inferenziale dei diversi elementi presuntivi offerti dall’amministrazione, ed in particolare la mancanza di personale e di mezzi della ditta individuale COGNOME, già evidenziata dai giudici di primo grado; ha altresì errato laddove ha dato rilevanza, ai fini della prova contraria, alla emissione della relativa fattura, ai dati contabili e al pagamento dei relativi importi, dovendosi peraltro sul punto precisare che la motivazione non può essere integrata in questa sede in base alle difese svolte dalla società contribuente, che sostanzialmente evidenzia che il carattere reale delle prestazioni era provato dall’esistenza, pe r molte di esse, di un contratto con cui la società stessa si impegnava ad eseguire le opere in favore di propri committenti e quindi dalla
necessaria correlazione di queste con le prestazioni commissionate al COGNOME. Tali considerazioni, che presuppongono evidentemente l’esame di elementi in fatto, non risultano svolte dalla CTR che nella propria decisione appare unicamente dar valore alle indicazioni delle fatture e ai dati contabili e di pagamento.
Concludendo, il ricorso deve essere accolto, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, cui demanda anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.