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Operazioni inesistenti: onere della prova per l’IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26762/2025, ha cassato la decisione di una Commissione Tributaria Regionale in un caso di operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, per negare la detrazione IVA, l’Amministrazione finanziaria deve provare, anche con presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, di partecipare a un’evasione. Il giudice di merito aveva erroneamente ignorato gli indizi forniti dall’Agenzia, focalizzandosi solo sulla formale esistenza del fornitore. Viene così riaffermato il principio secondo cui la prova della buona fede richiede al contribuente di dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto in frodi fiscali.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: come la Cassazione definisce l’onere della prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 26762 del 2025, ritorna su un tema cruciale per le imprese: la detrazione dell’IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, sottolineando come la semplice regolarità formale dei documenti non sia sufficiente a garantire la legittimità della detrazione. Analizziamo i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate a una società commerciale. L’Amministrazione contestava, per gli anni d’imposta 2009 e 2010, la deducibilità di alcuni costi e, soprattutto, la detrazione dell’IVA relativa a fatture emesse da un’altra società. Secondo il Fisco, quest’ultima era una mera ‘società cartiera’, interposta fittiziamente in operazioni commerciali che, sebbene realmente avvenute, avevano avuto luogo con un soggetto diverso. Si trattava, quindi, di operazioni soggettivamente inesistenti.

Nei primi gradi di giudizio, la Commissione Tributaria Regionale aveva dato parzialmente ragione alla società contribuente, ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria non avesse fornito prove sufficienti né della frode fiscale né della consapevole partecipazione della società acquirente. Il giudice regionale aveva considerato provata l’esistenza e la correttezza delle operazioni, basandosi su aspetti formali.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita del caso, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. La Corte ha ritenuto che il giudice di merito non avesse applicato correttamente i principi che regolano l’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

Le Motivazioni: l’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

Il cuore della motivazione risiede nella chiara delineazione delle responsabilità probatorie delle parti. La Cassazione, richiamando consolidata giurisprudenza nazionale e unionale, ha ribadito i seguenti principi:

1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: Spetta all’ufficio impositore dimostrare, anche attraverso presunzioni, non solo che il fornitore indicato in fattura è un soggetto fittizio (una ‘cartiera’), ma anche che il destinatario della fattura (il contribuente) sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un contesto di evasione fiscale.
2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi presuntivi, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per assicurarsi che la transazione non facesse parte di una frode.

Nel caso di specie, la Corte ha censurato la sentenza regionale per non aver minimamente considerato i molteplici indizi forniti dall’Agenzia delle Entrate. Tra questi, figuravano:
* L’anomala posizione fiscale della società fornitrice.
* Il fatto che la fornitrice fosse sconosciuta nel settore e si occupasse in precedenza di tutt’altra materia.
* La circostanza che la società acquirente fosse titolare esclusiva della commercializzazione dei prodotti in Italia, rendendo irragionevole l’acquisto da un intermediario sconosciuto.
* La mancata esibizione della documentazione di trasporto.

Il giudice di merito si era limitato a una valutazione formale (la società fornitrice aveva una Partita IVA attiva), ignorando completamente questi segnali d’allarme che avrebbero dovuto indurre un operatore diligente a maggiori cautele.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza ribadisce un messaggio fondamentale per tutte le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo e diligente da parte degli operatori economici. La semplice verifica formale dell’esistenza di un fornitore non è sufficiente per mettersi al riparo da contestazioni fiscali. È necessario adottare tutte le misure ragionevoli per verificare l’affidabilità e la reale operatività dei propri partner commerciali. La buona fede non può essere presunta, ma deve essere provata attraverso un comportamento proattivo e diligente, volto a escludere il coinvolgimento, anche inconsapevole, in schemi fraudolenti. In assenza di tale diligenza, il diritto alla detrazione dell’IVA può essere legittimamente negato.

Cosa deve provare l’Amministrazione finanziaria per negare la detrazione IVA in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Amministrazione deve provare, anche con presunzioni, che il fornitore era un soggetto fittizio e che il contribuente, al momento dell’acquisto, sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione era inserita in una frode IVA.

Cosa deve fare il contribuente per dimostrare la sua buona fede e conservare il diritto alla detrazione?
Se l’Amministrazione fornisce elementi presuntivi sulla frode, il contribuente deve dimostrare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non fosse fraudolenta. Deve provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto del settore.

La regolarità formale della documentazione contabile è sufficiente per garantire il diritto alla detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, la mera regolarità della documentazione (fatture, pagamenti) non è sufficiente. Si tratta di circostanze non concludenti, spesso utilizzate proprio per mascherare l’attività illecita. È necessaria una verifica sostanziale della controparte commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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