Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26762 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/10/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 6040-2017, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t. domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso l’Avvocatura RAGIONE_SOCIALEe dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente e controricorrente incidentale CONTRO
RAGIONE_SOCIALE P_IVA, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO, dai quali è rappresentata e difesa –
Controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 1427/05/2016 della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 30 agosto 2016;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 29 aprile 2025 dal AVV_NOTAIO.
Iva – Op. sogg. inesistenti – Prova
FATTI DI CAUSA
Alla RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE notificò avvis i d’accertamento con cui, relativamente agli anni d’imposta 200 9/2010, recuperò ad imponibile costi per royalties solo parzialmente giustificati (annualità 2009 e 2010), nonché le detrazioni Iva, afferenti l’emissione di fatture riconducibili ad operazioni soggettivamente inesistenti, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, società operante come cartiera (annualità 2010). Per l’errata registrazione di alcune fatture irrogò la sanzione minima di € 1.032,00.
Avverso gli atti impositivi la contribuente propose ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, accolto parzialmente con sentenza n. 340/03/2015, cioè limitatamente all’annullamento dell’avviso per il 2010 relativamente all’iva e alle conseguenti sanzioni . Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, adirono la Commissione tributaria regionale della Toscana, che con sentenza n. 1427/05/2016 respinse l’appello principale erariale e accolse quello incidentale della contribuente in merito ai costi, respingendolo solo per la debenza RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
Il giudice regionale ha ritenuto che l’amministrazione finanziaria non avesse provato, quanto alle operazioni inesistenti, né la frode fiscale, né la consapevole partecipazione del contribuente a condotte illecite, e che, quanto alle sanzioni per la mancata contabilizzazione dell’iva, ‘dalla eventuale formale irregolarità’ non fosse derivato alcun danno erariale; di contro il contribuente aveva dato prova della esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni e della correttezza del proprio operato. Quanto all’appello incidental e, ha riconosciuto le ragioni della società anche con riguardo al recupero dei costi, respingendolo invece sulle sanzioni relative alle irregolarità contabili riscontrate.
L’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato ad un motivo, cui ha resistito la società con controricorso, spiegando inoltre ricorso incidentale.
All’esito dell’adunanza camerale del 29 aprile 2025, la causa è stata riservata e decisa. Ciascuna parte ha depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo l’RAGIONE_SOCIALE ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 19, 21, 23 e 28, d.P.R. 29 settembre 1972, n.
NUMERO_DOCUMENTO AVV_NOTAIO rel. COGNOME
633, dell’art. 4, lett. d), d.l. n. 429 del 1982, dell’art. 54, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
La sentenza avrebbe erroneamente escluso l’esistenza di operazioni soggettivamente inesistenti, fatturate da una società cartiera.
Il motivo è fondato.
Questa Corte, con riferimento alla annualità d’imposta successiva (2011) a quella oggetto di causa, si è già occupata di una fattispecie del tutto simile, quando non sovrapponibile (vedi Cass., 8 febbraio 2021, n. 2988). Quel giudizio, che proveniva dalla proposizione del ricorso avverso la sentenza emessa dalla Commissione tributaria regionale della Toscana, favorevole alla società e nella quale l’amministrazione finanziaria aveva formulato la medesima censura, ora al vaglio della Corte, criticando la pronuncia d’appello per non aver tenuto conto dei principi enunciati in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, ha statuito , accogliendo l’unico motivo, secondo l’assunto che « secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 8999 del 2014; Cass. n. 5873 del 2019), in caso di operazione soggettivamente inesistente, qual’è quella ravvisabile nella specie, è onere dell’ufficio, che contesti il diritto della società contribuente a portare in detrazione l’ IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente dei beni, dare la prova che la società contribuente, al momento in cui ha acquistato i beni, sapesse, ovvero potesse sapere, usando la diligenza media, normalmente richiesta ad un imprenditore che operi sul mercato, che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione IVA fosse inserita in un contesto fraudatorio; ora, nella specie, la CTR non ha valutato, come sarebbe stato suo onere, i molteplici elementi, forniti dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, dai quali poter desumere che la RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE, fornitrice alla società ricorrente dei televisori obsoleti, per il quale era stata chiesta l’ IVA in detrazione, fosse una società cartiera e del tutto inesistente; la CTR non ha cioè accertato se la società resistente abbia fatto uso di quella diligenza media, sopra descritta, onde percepire se il soggetto che le aveva ceduto i beni ed aveva emesso la relativa fattura, avesse o meno evaso l’ IVA e compiuto, in tal modo, una frode; invero la CTR ha desunto l’inconsapevolezza della società contribuente di partecipare ad un sistema frodatorio valorizzando in sostanza dati meramente formali, quali l’avere accertato che la RAGIONE_SOCIALE” fosse una società esistente, fornita di
partita IVA e non inattiva e che le modalità di pagamento fossero del tutto normali, rispetto a quel tipo di mercato; la CTR non si è dunque pronunciata sugli altri elementi, pure offerti dall’ufficio, che avrebbero potuto indurre la società contribuente a ritenere la fornitrice RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” una società cartiera e tali elementi erano: -l’anomala posizione fiscale sia della sRAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” che della sua controllante sRAGIONE_SOCIALE. “RAGIONE_SOCIALE“; -la circostanza che la fornitrice sRAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” fosse stata fino a quel momento sconosciuta nel settore e si occupasse di tutt’altra materia (ricerche e sondaggi di opinione ed attività pubblicitaria); -la circostanza che la società resistente fosse l’esclusiva titolare della commercializzazione in Italia dei prodotti a marchio Schaub Lorenz, quali erano i prodotti acquistati dalla RAGIONE_SOCIALE, si che era irragionevole l’essersi rivolti per l’acquisto di tali prodotti alla RAGIONE_SOCIALE“; la circostanza che non era stata esibita la documentazione relativa al trasporto dei prodotti acquistati ai rivenditori finali (negozi Trony ed Euronics); .».
La motivazione va condivisa anche con riguardo al presente giudizio.
La giurisprudenza ha chiarito che, sul riparto degli oneri probatori in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e ai fini Iva, tenendo conto degli approdi della giurisprudenza unionale sui requisiti necessari alla individuazione RAGIONE_SOCIALE ipotesi nelle quali al contribuente possa negarsi il diritto alla detrazione dell’iva versata a colui che abbia formalmente emesso la fattura, ma non sia l’effettivo cedente, ha ritenuto che, quando l’Amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione attenga a tale tipo di operazioni, incombe sulla stessa l’onere di provare, con rigore, non solo che il fornitore sia un soggetto inesistente e che è impossibile identificare il vero fornitore dei beni, ma anche la consapevolezza nel destinatario che l’operazione si s ia inserita in una evasione d’imposta (cfr. CGUE in causa C -277/14, richiamata da Cass., 2 dicembre 2015, n. 24490). L’ufficio, cioè, deve dimostrare, anche in via presuntiva ed in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza, in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente. Ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo
criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851; 30 ottobre 2018, n. 27566; 20 luglio 2020, n. 15369).
Per le ipotesi di fatturazione afferenti ad operazioni soggettivamente inesistenti che si risolvano nella diretta acquisizione della prestazione da soggetto diverso da quello che ha emesso fattura e percepito l’IVA in rivalsa, la prova che la prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante, perché sfornito di dotazione strumentale e di personale adeguato alla sua esecuzione, non costituisce di per sé un indice dirimente dell’assenza di ‘buona fede’ del contribuente, ma certo un significativo in dice presuntivo, un idoneo elemento sintomatico, poiché l’immediatezza dei rapporti (cedente o prestatore – fatturante/cessionario o committente), unitamente agli obblighi informativi che pur gravano sull’operatore economico quando si interfaccia con altro operatore, in considerazione altresì dell’oggetto RAGIONE_SOCIALE operazione e del valore di esso, induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta.
In tal caso sarà il contribuente a dover provare di non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione non era il fatturante, ma altri, altrimenti dovendosi negare il diritto alla detrazione dell’IVA versata (cfr. Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; 20 luglio 2020, n. 15369).
Costituendo infatti la neutralità dell’imposta, e con essa il diritto alla detrazione dell’imposta corrisposta in rivalsa, principio cardine del sistema comune europeo – come ripetutamente affermato dalla Corte di Giustizia UE (sentenze 6 luglio 2006, in C-439/04 e C-440/04, 6 dicembre 2012, in C285/11, 31 gennaio 2013, in C-642/11) -, non suscettibile di limitazioni in linea di principio, l’Amministrazione finanziaria, quando ritenga che il diritto debba essere negato, attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso
dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fornitore.
Tale onere può dunque consistere in riscontri più semplici nelle operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare, od anche in relazione alla natura dell’oggetto RAGIONE_SOCIALE operazioni, oppure può esigere oneri maggiori per complesse operazioni di cd. “frode carosello” (contraddistinte da una catena di passaggi, in cui sono riscontrabili fatturazioni per operazioni inesistenti, con strumentali interposizioni anche di società “filtro”), per le quali l’Ufficio è tenuto all’allegazione degli elementi di fa tto caratterizzanti la frode ed i profili di responsabilità attribuibili al contribuente (Cass., n. 9851 del 2018 cit.; 30 ottobre 2018, n. 27566; 27 febbraio 2020, n. 5339; 20 luglio 2020, n. 15369).
Solo ove questa prova sia fornita dall’ufficio, spetta al contribuente la prova contraria. A tal fine, come rilevato dalla giurisprudenza unionale, il contribuente, ancorché non coscientemente partecipe di una frode, è tenuto ad adottare comunque tutte le misure ragionevoli in suo potere per assicurare la propria estraneità ad operazioni fraudolente, e ciò richiede non solo l’assenza di una sua consapevole partecipazione, ma anche l’incolpevole ignoranza dell’operazione inesistente (cfr. anche CGCE, causa C -409/04 –RAGIONE_SOCIALE; da ultimo, con un esame approfondito che ricostruisce anche i precedenti della giurisprudenza euro-unitaria, cfr. CGUE, 1 dicembre 2022, in C-512/21, nei § da 26 a 33).
Dunque, non si considera sufficiente che il contribuente rappresenti la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti (Cass., 9 settembre 2016, n. 17818), anzi frequentemente utilizzate proprio a mascheramento dell’attività illecita posta in essere.
In ogni caso, salva la pretesa di un maggior rigore probatorio, è certo che a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode -in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti al l’illecito -l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi RAGIONE_SOCIALE varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo RAGIONE_SOCIALE prove presuntive.
Ed in questa attività di scernimento l’organo giudicante deve correttamente osservare le regole di riparto della prova.
Nel caso di specie la decisione della Commissione regionale toscana non si è attenuta a tali principi. Infatti, nell’affermare che l’Ufficio non ha dato prova della consapevole partecipazione della contribuente alle operazioni inesistenti, la Commissione si è posta un contrasto frontale con i principi enunciati. Essa, peraltro, non si è neppure premurata di operare un vaglio, anche solo sommario, de gli elementi raccolti ed evidenziati dall’ufficio , quali quelli riportati nel ricorso e ri chiamati nell’atto impositivo, che per specificità è riprodotto nel ricorso alle pagg. 19/23. Con ciò la sentenza impugnata ha fatto mostra non solo di ignorare i principi in materia, ma di trascurare del tutto le regole di riparto dell’onere della prova , come infatti lamenta la ricorrente nel motivo di censura.
Il ricorso principale va dunque accolto, con conseguente cassazione della sentenza.
L’accoglimento del ricorso principale , comportando la cassazione della decisione, assorbe il motivo di ricorso, formulato in via incidentale dalla società contribuente, con il quale si è doluta della violazione e falsa applicazione dell’art. 4, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione alla conferma della sanzione irrogata dall’amministrazione finanziaria per infedeltà dei dati riportati nella dichiarazione fiscale.
Alla cassazione della sentenza segue il rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Toscana, che in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del giudizio di legittimità, provvederà al riesame dell’appello, tenendo conto dei principi di diritto qui enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di II grado della Toscana, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 29 aprile 2025
La Presidente NOME COGNOME