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Operazioni inesistenti: onere della prova per l’IVA

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di operazioni soggettivamente inesistenti, ribaltando la decisione di merito. L’Amministrazione Finanziaria aveva contestato la detrazione IVA a una società per acquisti da presunte ‘cartiere’ in una frode carosello. La Cassazione ha stabilito che, a fronte di prove presuntive fornite dal Fisco, spetta al contribuente dimostrare non solo l’effettività dell’operazione, ma anche la propria buona fede e l’aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode. La sentenza di merito è stata cassata per aver erroneamente richiesto una ‘prova rigorosa’ all’Agenzia e per aver considerato sufficienti le mere allegazioni del contribuente.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione definisce l’onere della prova per la detrazione IVA

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni soggettivamente inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione chiarisce che, di fronte a un quadro indiziario di frode, non basta per l’azienda dimostrare la regolarità formale delle fatture, ma è necessario provare attivamente la propria buona fede e la massima diligenza.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione Finanziaria a una società manifatturiera. L’oggetto della contestazione era l’indebita detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di materie prime (silicio) da diverse società fornitrici. Secondo il Fisco, queste ultime erano mere ‘società cartiere’, inserite in una complessa ‘frode carosello’ internazionale.

Lo schema fraudolento era finalizzato a importare la merce da un produttore cinese, interponendo le società cartiere per evadere sia l’IVA sia i dazi antidumping. L’Amministrazione Finanziaria aveva basato le sue accuse su una serie di elementi presuntivi, tra cui l’assenza di struttura delle società fornitrici, l’omissione delle dichiarazioni fiscali e la provenienza fittizia della merce.

La Decisione della Commissione Tributaria di Secondo Grado

Inizialmente, la Commissione Tributaria regionale aveva dato ragione alla società contribuente. I giudici di merito avevano ritenuto che l’impianto probatorio dell’Amministrazione Finanziaria fosse insufficiente e non adeguatamente rigoroso. Secondo la Commissione, il Fisco non aveva provato in modo certo la natura di ‘cartiere’ delle società cedenti, e il fatto che i prezzi di acquisto fossero in linea con quelli di mercato escludeva un interesse concreto dell’azienda a partecipare alla frode. Di conseguenza, le semplici allegazioni difensive della società erano state considerate sufficienti a contrastare l’accusa.

L’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, censurando su tutta la linea l’impostazione della sentenza di secondo grado. Gli Ermellini hanno ribadito i principi consolidati in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. Hanno chiarito che l’onere della prova è ripartito in modo preciso: l’Amministrazione Finanziaria può assolvere il proprio onere probatorio anche attraverso presunzioni e indizi, purché questi siano gravi, precisi e concordanti.

Una volta che il Fisco ha fornito un quadro indiziario solido che suggerisce l’esistenza di una frode e la consapevolezza (o la colpevole inconsapevolezza) del contribuente, la palla passa a quest’ultimo. A questo punto, non sono più sufficienti mere ‘allegazioni’, ma è richiesta una prova piena e contraria.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto la sentenza impugnata viziata sia per violazione di legge sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) sia per carenza di motivazione. I giudici di legittimità hanno spiegato che il tribunale di merito ha commesso un duplice errore. In primo luogo, ha richiesto all’Amministrazione Finanziaria una ‘prova rigorosa’, un concetto estraneo alla disciplina della prova presuntiva, anziché valutare se gli indizi forniti fossero sufficienti a configurare un quadro grave, preciso e concordante. In secondo luogo, ha erroneamente considerato le mere affermazioni della contribuente come una valida controprova, abbassando indebitamente lo standard richiesto per superare le presunzioni dell’ufficio.

La Cassazione ha sottolineato che la prova a carico del contribuente deve vertere su due fronti: non solo dimostrare l’effettiva esistenza della transazione commerciale, ma anche provare la propria incolpevole inconsapevolezza, ossia di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nello schema fraudolento. La regolarità contabile, i pagamenti tracciati o la mancanza di un guadagno diretto dalla rivendita non sono, da soli, elementi sufficienti a dimostrare tale buona fede.

Le conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale per le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte di tutti gli operatori economici. Non è sufficiente agire passivamente e limitarsi a controllare la regolarità formale di una fattura. Se le circostanze del caso concreto (ad esempio, prezzi anomali, fornitori di recente costituzione e senza una solida struttura) possono far sorgere il sospetto di un’irregolarità, l’imprenditore è tenuto ad adottare una diligenza superiore alla media per verificare l’affidabilità della propria controparte commerciale. In caso contrario, rischia di vedersi contestare la detrazione dell’IVA e di essere considerato, se non complice, quantomeno un operatore negligente che ha agevolato la frode.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere iniziale di provare la frode. Tuttavia, può farlo anche attraverso prove presuntive (indizi), a condizione che siano gravi, precise e concordanti. Una volta fornito questo quadro indiziario, l’onere di fornire la prova contraria passa al contribuente.

Cosa deve fare il contribuente per difendersi dall’accusa di aver partecipato a una frode carosello?
Il contribuente deve fornire una prova piena e contraria. Questa prova deve dimostrare due elementi: in primo luogo, l’effettività della transazione commerciale; in secondo luogo, la propria totale buona fede e l’aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto al fine di non essere coinvolto nello schema fraudolento.

La regolarità delle fatture e dei pagamenti è sufficiente a dimostrare la buona fede del contribuente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera regolarità della contabilità e dei pagamenti, così come l’assenza di un beneficio economico diretto dalla rivendita della merce, non sono di per sé sufficienti a dimostrare la buona fede e l’estraneità del contribuente alla frode.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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