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Operazioni inesistenti: onere della prova per l’Agenzia

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 9733/2024, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate in un caso di operazioni inesistenti. La Corte ha stabilito che la Commissione Tributaria Regionale ha errato nell’ignorare una serie di prove decisive che dimostravano la natura di ‘società cartiera’ del fornitore. È stato chiarito che un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti è sufficiente a spostare sul contribuente l’onere di provare l’effettività delle operazioni contestate. La sentenza ha anche precisato le regole sul calcolo dei termini di impugnazione in presenza di sospensioni speciali.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione definisce l’onere della prova e i poteri dell’Agenzia

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è intervenuta su un tema cruciale del diritto tributario: la prova delle operazioni inesistenti e la ripartizione del relativo onere tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione chiarisce come un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti sia sufficiente a dimostrare l’esistenza di una frode fiscale basata su società “cartiere”, spostando sul contribuente il compito di provare la realtà delle transazioni.

I fatti di causa

Il caso nasce da avvisi di accertamento per IVA, IRPEG e IRAP emessi nei confronti di una società per gli anni d’imposta 2001-2002. L’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione di costi basati su fatture emesse da un’altra società, ritenuta una mera “cartiera”.
Il contenzioso ha avuto un percorso complesso: la Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente annullato gli avvisi. L’appello dell’Agenzia delle Entrate era stato dichiarato inammissibile dalla Commissione Regionale, decisione poi cassata con rinvio dalla Suprema Corte. Nel giudizio di rinvio, la Commissione Regionale ha nuovamente dato torto all’Agenzia, rigettando l’appello nel merito. Ciò ha portato l’Amministrazione a ricorrere nuovamente in Cassazione.

La questione della tempestività del ricorso

Prima di entrare nel merito, la Corte ha affrontato un’eccezione preliminare sollevata dal contribuente sulla tardività del ricorso. I giudici hanno chiarito le complesse regole di calcolo dei termini per impugnare in presenza di diverse cause di sospensione. In particolare, hanno spiegato che la sospensione semestrale speciale per le liti definibili (prevista dal D.L. n. 50/2017) non si cumula con la sospensione feriale ordinaria, ma la assorbe se il periodo coincide. La Corte ha quindi calcolato il termine finale, ritenendo il ricorso dell’Agenzia tempestivo.

Operazioni inesistenti e i poteri di accertamento

Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia riguardava l’erronea declaratoria di invalidità dell’accertamento da parte della Commissione Regionale. Quest’ultima aveva sostenuto che le prove erano state acquisite illegittimamente, in assenza dell’autorizzazione del Comandante di zona della Guardia di Finanza.
La Cassazione ha ribaltato questa conclusione, affermando un principio importante: l’autorizzazione non è sempre necessaria, soprattutto quando la Guardia di Finanza opera nell’esercizio di poteri di polizia giudiziaria. L’assenza di tale autorizzazione non rende automaticamente nullo l’accertamento, a meno che non vengano violati diritti fondamentali di rango costituzionale, come la libertà personale o l’inviolabilità del domicilio, cosa non avvenuta nel caso di specie.

L’onere della prova nelle operazioni inesistenti

Il cuore della decisione risiede nel secondo motivo di ricorso, che lamentava l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio. L’Agenzia delle Entrate aveva fornito una serie di elementi probatori schiaccianti per dimostrare che la società fornitrice era una “cartiera”:

* Sede legale e amministrativa inesistenti o fittizie;
* Amministratore unico risultato essere un mero prestanome;
* Assenza totale di documentazione contabile, personale dipendente e beni strumentali;
* Movimenti bancari anomali, con prelievi quasi contestuali ai versamenti, effettuati dal formale titolare.

La Commissione Regionale aveva completamente ignorato questi elementi, affermando che l’Agenzia si fosse limitata a produrre le fatture contestate. La Cassazione ha censurato duramente questa omissione, qualificandola come un vizio motivazionale che ha portato a un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribadito che, in tema di operazioni inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di fornire elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che facciano ragionevolmente dubitare della realtà delle transazioni. Una volta che l’Ufficio ha assolto a tale onere, spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando l’effettiva esistenza e la legittimità delle operazioni economiche che hanno generato i costi dedotti e l’IVA detratta.
Nel caso specifico, l’insieme degli indizi offerti dall’Agenzia era più che sufficiente a configurare un quadro presuntivo solido sulla natura fittizia del fornitore. Ignorare tali prove, come ha fatto il giudice di merito, equivale a un omesso esame di un fatto storico decisivo, che, se considerato, avrebbe con ogni probabilità condotto a una decisione diversa. Il giudice non può limitarsi a una valutazione superficiale, ma deve analizzare l’intero compendio probatorio.

Le conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto per una nuova valutazione. La decisione riafferma un principio fondamentale per il contrasto alle frodi fiscali: la prova per presunzioni è uno strumento valido ed efficace nelle mani dell’Amministrazione Finanziaria. I giudici di merito hanno il dovere di esaminare attentamente tutti gli indizi forniti, senza fermarsi ad aspetti formali. Per i contribuenti, la sentenza rappresenta un monito a esercitare la massima diligenza nella scelta dei propri partner commerciali, poiché, di fronte a un fornitore palesemente inesistente, l’onere di provare la propria buona fede e la realtà dell’operazione diventa estremamente gravoso.

Quando è necessaria l’autorizzazione del comandante della Guardia di Finanza per un accertamento fiscale?
Secondo la Corte, l’autorizzazione non è sempre necessaria, in particolare se la Guardia di Finanza opera nell’esercizio di poteri di polizia giudiziaria. La sua assenza non invalida automaticamente l’accertamento, a meno che non vengano violati diritti fondamentali di rango costituzionale come la libertà personale o l’inviolabilità del domicilio.

Come può l’Agenzia delle Entrate provare che si tratta di operazioni inesistenti con una società ‘cartiera’?
L’Agenzia può fornire una serie di indizi gravi, precisi e concordanti (presunzioni). Nel caso specifico, questi includevano la sede inesistente del fornitore, l’assenza di personale e beni, un amministratore prestanome e movimenti bancari anomali. Questo insieme di prove è sufficiente a spostare l’onere della prova sul contribuente.

Cosa succede se il giudice d’appello ignora prove decisive fornite da una delle parti?
La Suprema Corte ha stabilito che l’omissione dell’esame di un fatto storico decisivo, che avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia, costituisce un vizio della motivazione. Di conseguenza, la sentenza può essere annullata (cassata) con rinvio a un altro giudice per un nuovo esame che tenga conto di tutte le prove fornite.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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