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Operazioni inesistenti: onere della prova per il Fisco

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20191/2024, ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in caso di operazioni inesistenti. L’Amministrazione finanziaria deve fornire elementi presuntivi, anche semplici, per contestare l’operazione. A quel punto, spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza della transazione, non essendo sufficiente la sola esibizione di fatture e mezzi di pagamento. La Corte ha cassato la sentenza di merito che si era basata solo sulla prova del pagamento tramite assegni.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione definisce l’onere della prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha nuovamente affrontato il tema cruciale delle operazioni inesistenti, delineando con precisione i confini dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione sottolinea come la mera esibizione di fatture e la prova del pagamento non siano sufficienti a superare gli indizi di fittizietà forniti dal Fisco. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza nei confronti di una società in accomandita semplice operante nel settore della logistica. A seguito del controllo, l’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2007, diverse irregolarità, tra cui spiccava la deduzione di costi per oltre 722.000 euro derivanti da acquisti di merci da un’altra società, ritenuti fittizi.

L’ufficio aveva raccolto una serie di elementi indiziari:
1. La società fornitrice si approvvigionava da una ditta individuale il cui titolare dichiarava di non aver mai venduto merce a tale società.
2. La società contribuente rivendeva la merce alla sua stessa fornitrice a prezzi inferiori, per poi riacquistarla a prezzi superiori, in un’operazione economicamente illogica.
3. Non vi era traccia della provenienza della merce né dei pagamenti, facendo presumere l’impossibilità di vendere prodotti mai ricevuti.

Pertanto, l’Agenzia notificava avvisi di accertamento sia alla società che ai singoli soci per il recupero delle imposte evase.

La Decisione nei Gradi di Merito

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva parzialmente i ricorsi, annullando però il rilievo più consistente relativo alle operazioni inesistenti. Pur riconoscendo la presenza di un ‘forte sospetto’, i giudici di primo grado ritenevano insufficiente la prova fornita dall’ufficio.

Successivamente, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado confermava questa impostazione. I giudici d’appello sostenevano che l’onere di provare la fittizietà dell’operazione gravasse sull’Amministrazione Finanziaria. A loro avviso, il Fisco non aveva assolto a tale onere, mentre i contribuenti avevano fornito la prova contraria dimostrando il pagamento degli acquisti tramite assegni bancari regolarmente addebitati sui conti correnti. Questa motivazione è stata il punto centrale del ricorso in Cassazione.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

La questione fondamentale su cui la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi riguarda la corretta ripartizione dell’onere probatorio. Secondo i giudici di legittimità, la Corte territoriale ha errato nel ritenere sufficiente, da parte del contribuente, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti. L’orientamento consolidato della giurisprudenza è infatti molto più rigoroso e segue un percorso logico-giuridico preciso.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa ad altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria. I giudici hanno ribadito i principi cardine in materia di operazioni inesistenti.

In primo luogo, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi probatori, anche sotto forma di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – che facciano dubitare della realtà dell’operazione. Nel caso di specie, gli indizi raccolti (fornitore a sua volta approvvigionato da una ‘cartiera’, illogicità economica delle transazioni a triangolo, assenza di prova sulla movimentazione della merce) erano più che sufficienti a costituire una valida base presuntiva.

Una volta che il Fisco ha assolto a questo onere, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo deve fornire la prova contraria, dimostrando non solo la regolarità formale (fatture, pagamenti), ma l’effettiva esistenza e inerenza dell’operazione economica. La sola esibizione di assegni o bonifici non è risolutiva, poiché tali strumenti sono spesso utilizzati proprio negli schemi fraudolenti per dare una parvenza di realtà a transazioni fittizie.

La Corte territoriale, limitandosi a valorizzare la prova del pagamento senza analizzare e confutare il quadro indiziario presentato dall’ufficio, ha applicato in modo errato le norme sulla prova e sulle presunzioni, fondando la sua decisione su una motivazione meramente apparente e non decisiva.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: nella lotta all’evasione fiscale tramite operazioni inesistenti, la forma non può prevalere sulla sostanza. Il giudice tributario ha il dovere di valutare complessivamente tutti gli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione Finanziaria. Se questi sono dotati di sufficiente gravità e coerenza, il contribuente non può limitarsi a produrre documenti formalmente corretti, ma deve fornire la prova concreta e materiale che la transazione commerciale è realmente avvenuta e ha avuto una sua logica economica. La decisione rappresenta un importante monito per le imprese sulla necessità di mantenere una documentazione completa che attesti non solo il flusso finanziario, ma anche quello fisico e logistico delle merci.

Chi ha l’onere di provare che un’operazione commerciale è inesistente?
Inizialmente, l’onere della prova è a carico dell’Amministrazione Finanziaria, che può assolverlo anche mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa del fornitore o altri indizi. Successivamente, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza dell’operazione si sposta sul contribuente.

La presentazione di fatture e assegni bancari è una prova sufficiente per il contribuente a dimostrare l’effettività di un’operazione contestata?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’esibizione della fattura o la dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili e dei mezzi di pagamento non sono sufficienti a provare l’esistenza delle operazioni, in quanto tali elementi sono spesso usati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia.

Cosa deve fare il giudice tributario quando l’amministrazione finanziaria fornisce elementi presuntivi sull’inesistenza di operazioni?
Il giudice deve valutare singolarmente e complessivamente gli elementi presuntivi forniti dal Fisco. Se li ritiene dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che deve andare oltre la mera formalità documentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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