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Operazioni inesistenti: onere della prova IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14809/2024, ha cassato la decisione di merito che aveva riconosciuto la buona fede di una società coinvolta in operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha ribadito che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria prova la fittizietà del fornitore e gli indizi di consapevolezza del contribuente, spetta a quest’ultimo dimostrare di aver usato la massima diligenza per non essere coinvolto nella frode, non essendo sufficienti la regolarità contabile e i pagamenti.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Soggettivamente Inesistenti: la Cassazione definisce l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14809 del 27 maggio 2024, torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di IVA: le operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia è fondamentale perché chiarisce in modo netto la ripartizione dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente, stabilendo un elevato standard di diligenza per le imprese che intendono detrarre l’imposta.

I Fatti del Caso

Una società si vedeva notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la detrazione dell’IVA relativa all’anno 2008. L’accusa era di aver preso parte a una frode carosello attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. In sostanza, le operazioni commerciali erano reali, ma i fornitori indicati in fattura erano mere “cartiere”, create al solo scopo di evadere l’imposta.

La società si difendeva sostenendo la propria totale estraneità alla frode. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale accoglievano le ragioni del contribuente, ritenendo che avesse dimostrato la propria buona fede e la normale diligenza nel compimento delle operazioni commerciali. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sull’onere della prova.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Soggettivamente Inesistenti

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di riparto dell’onere probatorio. Il principio è chiaro e si articola in due fasi distinte:

### Cosa deve provare l’Amministrazione Finanziaria

L’Agenzia delle Entrate ha l’onere di dimostrare due elementi fondamentali:
1. L’oggettiva fittizietà del fornitore: Deve provare che il soggetto che ha emesso la fattura è una società “fantasma” o una “cartiera”, priva di una reale struttura operativa.
2. La consapevolezza del contribuente: Deve fornire elementi, anche presuntivi, gravi, precisi e concordanti, da cui si possa desumere che il contribuente (cessionario) sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, di essere parte di un’operazione evasiva.

### Cosa deve provare il Contribuente

Solo se l’Amministrazione Finanziaria ha assolto al proprio onere, la palla passa al contribuente. A questo punto, per non perdere il diritto alla detrazione IVA, egli deve fornire la prova contraria. Tuttavia, la Corte specifica che non è sufficiente dimostrare la regolarità formale delle operazioni.

Il contribuente deve provare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nell’evasione. La semplice regolarità della contabilità, l’avvenuto pagamento delle fatture o la mancanza di un beneficio diretto dalla frode non sono, di per sé, elementi sufficienti a dimostrare la buona fede.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. Il motivo principale risiede nel fatto che il giudice di merito ha errato nell’applicare il canone di riparto della prova.

La decisione impugnata si era genericamente basata sul principio di “buona fede”, valorizzando elementi considerati irrilevanti dalla giurisprudenza consolidata, come la presenza delle fatture e dei documenti di trasporto. La Corte ha chiarito che, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, la materialità della transazione (la merce si è mossa) non è in discussione. Il punto è che la merce è stata fornita da un soggetto diverso da quello fittiziamente interposto e indicato in fattura.

Il giudice d’appello, quindi, non ha correttamente valutato gli indizi forniti dall’Ufficio per dimostrare la consapevolezza della società e ha erroneamente ritenuto sufficienti le prove formali addotte dal contribuente. In pratica, ha operato una “mancata sussunzione della fattispecie concreta nel corretto riparto e contenuto dell’onere della prova”.

Le Conclusioni

In conclusione, l’ordinanza rafforza un principio fondamentale: la lotta all’evasione IVA richiede un comportamento attivo e diligente da parte degli operatori economici. Non basta agire in modo formalmente corretto; è necessario adottare tutte le cautele ragionevolmente esigibili per verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali. La sentenza impugnata è stata annullata e la causa rinviata a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai rigorosi principi sull’onere della prova stabiliti dalla Cassazione.

Cosa significa ‘operazioni soggettivamente inesistenti’?
Significa che la transazione commerciale (ad esempio, la vendita di beni) è realmente avvenuta, ma è stata fatturata da un soggetto diverso da quello che l’ha effettivamente posta in essere. Solitamente, il soggetto fatturante è una società ‘cartiera’ interposta per scopi fraudolenti.

Cosa deve provare l’Agenzia delle Entrate per contestare la detrazione IVA in questi casi?
L’Agenzia deve provare due cose: in primo luogo, che il fornitore indicato in fattura è un soggetto fittizio (una ‘cartiera’); in secondo luogo, deve fornire elementi oggettivi e specifici, anche presuntivi, che dimostrino che l’acquirente era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.

È sufficiente per un’azienda mostrare fatture e pagamenti regolari per dimostrare la propria buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la regolarità della contabilità e dei pagamenti, così come la mancanza di un beneficio diretto dalla frode, non sono sufficienti a provare la buona fede. L’azienda deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza possibile per un operatore accorto al fine di non essere coinvolta nell’operazione fraudolenta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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