Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5958 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5958 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
Oggetto: II.DD. – IVA -operazioni inesistenti -costi operazioni passive -note di credito
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17273/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE IN FALLIMENTO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , elettivamente domiciliata presso lo studio legale dell’AVV_NOTAIO in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, n.65/1/2016 depositata l’11 gennaio 2016, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 16 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania è stato accolto l’appello proposto da ll’RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 16022/25/2014 avente ad oggetto l’avviso di accertamento II.DD. IVA e accessori per l’anno di imposta 2010, emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in fallimento.
L’accertamento era basato sul p.v.c. della Guardia di Finanza del 7.12.12, con il quale venivano addebitati alla contribuente costi non documentati per euro 96.903,13, oltre che operazioni poste in essere con la cartiera My RAGIONE_SOCIALE contestate come oggettivamente inesistenti per un complessivo ammontare di euro 1.435.768,87 e IVA connessa; venivano inoltre disconosciute note di credito in diminuzione dell’imponibile (complessivo di euro 23.067,85) ritenute non giustificate che, secondo la contribuente, sarebbero state riferite ad effettive restituzioni di merce.
L’adita Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo che l’accertamento non fosse sufficientemente provato, in quanto dalla documentazione prodotta da parte ricorrente (mastrini e documenti di trasporto) risultava la regolarità RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate.
Il giudice d’appello in via preliminare disattendeva le doglianze di parte contribuente. Tra l’altro, riteneva che l’accertamento fosse sufficientemente motivato e che l ‘ allegazione del p.v.c. della Guardia di Finanza non fosse necessaria in quanto dell’atto la parte fosse già a
conoscenza. Nel merito, accertava la presenza di gravi e numerose irregolarità nelle scritture contabili, idonee a fondare presunzioni gravi precise e concordanti. Riteneva che in ordine ai costi non documentati per euro 96.903,13 non vi fosse una precisa giustificazione da parte della contribuente. ln ordine al disconoscimento di costi inerenti ad operazioni oggettivamente inesistenti per complessivi euro 1.435.768,87, la parte non aveva fornito alcuna prova contraria a quanto rilevato dai verbalizzanti e contenuto nel p.v.c.. lnfine, con riferimento alle note di credito contestate, non erano state chiarite le ragioni della riduzione dell’imponibile originario.
Avverso la sentenza d’appello propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in fallimento, affidato a sei motivi e che illustra con memoria, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente va dato atto dell’eccezione sollevata dall’RAGIONE_SOCIALE di inammissibilità del ricorso in quanto parte ricorrente, pur formalmente censurando la sentenza per violazione di legge, in realtà, solleciterebbe un nuovo accertamento di fatto da parte della Suprema Corte. L’eccezione è scrutinabile unitamente alla disamina RAGIONE_SOCIALE singole censure.
Con il primo motivo di ricorso, ai fini dell’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., la ricorrente prospetta l’omesso esame su di un fatto decisivo della controversia in quanto, sin dal primo grado, ha eccepito la violazione dell’art. 7 RAGIONE_SOCIALE Statuto dei diritti del contribuente, il quale impone che gli atti dell’amministrazione finanziaria debbano essere motivati e, qualora la motivazione faccia riferimento ad altro atto, questo deve essere allegato. La ricorrente si duole che il fatto della mancata riproduzione nell’avviso di accertamento dei contenuti essenziali del p.v.c., di cui la parte non è stata giornalmente partecipe in violazione del principio del contraddittorio, non sarebbe stato valutato dalla CTR, la quale, in tal modo, avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio.
8. Il motivo è inammissibile, poiché non tiene conto che di parte della ratio decidendi espressa dalla CTR. Il giudice ha in primo luogo accertato che la contribuente ha già avuto conoscenza aliunde del p.v.c., parte essenziale della ratio idonea a sorreggere di per sé l’esito decisorio.
Con il secondo motivo la ricorrente, ai fini dell’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge 27/7/2000 n. 212 e dell’art. 3 legge 241/90, per aver la sentenza gravata disatteso la doglianza di illegittimità dell’atto impugnato, limitandosi ad affermare che la conoscenza del p.v.c. da parte del contribuente avrebbe esonerato l’ufficio impositore dall’allegarlo comunque all’avviso di accertamento.
10. Il motivo è inammissibile, in quanto nel corpo della censura riporta il passaggio pertinente della sentenza impugnata, ma non contesta specificamente il fatto decisivo, ossia l’ accertato intervenuto raggiungimento degli effetti e così la avvenuta piena conoscenza aliunde del p.v.c. da parte della società, limitandosi a riproporre la propria prospettazione, già sottoposta all’attenzione del giudice d’appello e da questi disattesa.
11. Il terzo motivo di ricorso, in relazione all’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., deduce l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia in ordine alla violazione RAGIONE_SOCIALE garanzie del contribuente sottoposto a verifica fiscale con riferimento al capo della sentenza il quale statuisce che « la delega rilasciata dalla parte alla G.d.F. a procedere a verifica in sua assenza non comporta alcun specifico obbligo a carico dei verificatori, salvo quello generale, prescritto dall’art. 52 d.P.R., di redigere processo verbale di ogni accesso (da intendersi nel senso della complessiva verifica) e di darne copia alla parte ».
A dire della ricorrente la sentenza, da un lato confermerebbe l’esistenza dell’obbligo in capo ai verificatori di dover consegnare alla parte i verbali giornalieri e, dall’altro, ometterebbe di considerare il fatto della incontestata mancata consegna di detti verbali, non accogliendo l’eccezione mossa sul punto dalla società.
12. Il mezzo di impugnazione è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi , la quale chiaramente e correttamente afferma che
l’unico obbligo a carico dei verificatori era consegnare il p.v.c. finale alla parte verificata e non una pluralità di verbali giornalieri, non essendovi traccia della contraddittorietà supposta, né l’omesso esame ipotizzato.
13. Con il quarto motivo la ricorrente, in rapporto all’art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., censura in ordine alla statuizione della CTR circa la ripresa per costi non documentati, il fatto che sarebbe stato violato l’art. 32 d.P.R. 600/73 per non aver la CTR tenuto conto che in sede procedimentale la contribuente non sarebbe stata posta nella condizione di poter fornire elementi e documenti idonei a supportare le sue giustificazioni, non avendo ricevuto mai alcun invito in tal senso da parte della G.d.F.. Per l’effetto, erroneamente il giudice d’appello avrebbe ritenuto di non poter considerare e porre a base della decisione le fatture prodotte in giudizio.
14. Il motivo è inammissibile perché non coglie che parte della ratio decidendi espressa dalla CTR. Il giudice non si è limitato a ritenere tardive le fatture giustificative offerte dalla società e non esibite in sede procedimentale. Qui di seguito si riporta la decisione del giudice d’appello sulla questione: « In primo luogo va rilevato che in ordine ai costi non documentati (…) non vi è una specifica giustificazione limitandosi la parte ad affermare che si tratta di 362 fatture passive rinvenute solo successivamente alla verifica della G.d.F. . Tale argomentazione non è sufficiente a superare la contestazione dell’RAGIONE_SOCIALE, perché tardiva, generica e non documentata, non potendosi tenere per buone le fatture prodotte in violazione dell’art. 32 d.P.R 600/73, anche per non esserne stata provata l’emissione contestualmente alla registrazione RAGIONE_SOCIALE stesse ». Nel citato passo argomentativo, la CTR non si è limitata a ritenere tardiva la produzione documentale, ma ha, tra l’altro, accertato nel merito la mancata prova da parte della società circa l’emissione RAGIONE_SOCIALE fatture contestualmente alla loro registrazione e siffatto accertamento, di per sé idoneo a ritenere inutilizzabile la produzione documentale, non è stato specificamente censurato con il mezzo di impugnazione in esame che perciò è inammissibile.
15. Il quinto motivo, ex art.360 primo comma n.3 cod. proc. civ., lamenta la violazione del principio di riparto dell’onere della prova di cui all’art 2697 cod. civ. con riferimento alla statuizione della CTR in ordine al disconoscimento dei costi inerenti ad operazioni oggettivamente inesistenti per complessivi euro 1.432.768,87, nel passaggio argomentativo in cui afferma: « la parte non fornisce alcuna prova contraria a quanto rilevato dai verbalizzanti, limitandosi ad affermare che vi erano stati numerosi scambi commerciali con la società RAGIONE_SOCIALE che avevano dato luogo a contenzioso anche in sede civile e penale, e che in ogni caso l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni d’acquisto avrebbe dovuto comportare anche l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE successive vendite ». Secondo la contribuente il giudice del secondo grado incorrerebbe in errore nel fare applicazione dei principi in tema di riparto dell’onere della prova in materia, in quanto l’onere della prova in caso di indetraibilità dell’IVA a seguito di operazioni considerate oggettivamente inesistenti nei confronti del cessionario spetterebbe solo all’Amministrazione.
15.1. Secondo la ricorrente non basterebbe la constatazione mediante p.v.c. circa le inadempienze contabili, fiscali e contributive del soggetto cedente per dimostrare la partecipazione fraudolenta della contribuente alla frode fiscale, essendo necessaria la prova della consapevole partecipazione, ovvero della connivenza, del cessionario nell’operazione fraudolenta che si realizza ponendo in essere operazioni inesistenti.
15.2. Nella memoria illustrativa parte ricorrente riferisce di una circostanza a suo dire dirimente con riferimento alla censura in disamina, consistente nel fatto che il giudice penale con sentenza definitiva ha assolto l’amministratore delegato della società dal contestato reato di evasione fiscale per l’annualità 2010 per operazioni oggettivamente inesistenti relative ai rapporti tra la contribuente e la RAGIONE_SOCIALE.
16. Il motivo è inammissibile.
16.1. Il motivo non censura compiutamente la statuizione della CTR sulla ripresa per operazioni oggettivamente inesistenti e contiene una commistione di elementi che non le consentono di identificare il corretto canone di riparto della prova applicabile alla fattispecie. Non possono infatti essere confuse le operazioni oggettivamente inesistenti (quelle contestate) e quelle soggettivamente inesistenti, cui fa riferimento la censura la quale alle pagg.12 e 13 del ricorso insiste sull’elemento soggettivo in capo alla contribuente circa la partecipazione alla frode (« è necessaria la prova della consapevole partecipazione (…) »).
16.2. Va al proposito rammentato che in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita RAGIONE_SOCIALE merci o dei servizi (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 9851 del 20/04/2018; conforme Sez. 5 – , Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018).
Diversamente da quanto sopra riportato, quando le riprese sono per operazioni oggettivamente inesistenti, come nel caso di specie, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera”
o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018).
16.3. Orbene la CTR ha compiuto un preciso e articolato accertamento, contenuto all’ultima e penultima pagina della sentenza impugnata, circa l’ inesistenza oggettiva RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, sulla base del compendio probatorio raccolto nel p.v.c. e ha tenuto anche conto della natura di cartiera della società RAGIONE_SOCIALE cui le operazioni afferiscono. Non dirimente è il riferimento contenuto nella memoria autorizzata all’esito del processo penale nei confronti del legale rappresentante della contribuente, non potendosi dare alcuna autorità di giudicato alla sentenza definitiva penale, data l’autonomia del piano penale e tributario, e la diversità dei criteri di assunzione e valutazione della prova nei due distinti processi (tra le tante, cfr. Cass. 27814/2020).
Oltre a tale motivato accertamento fattuale, il giudice del merito ha altresì stabilito che la contribuente non ha offerto una utile prova contraria, nel pieno rispetto del canone probatorio sopra richiamato per le operazioni oggettivamente inesistenti, e coerentemente non ha rilevanza il profilo della consapevole partecipazione alla frode.
17. Con il sesto motivo, in relazione all’art.360 primo comma n.5 cod. proc. civ., la contribuente prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia con riferimento all’art. 26 d.P.R. 600/73, con riferimento alla ripresa per contestate note di credito per un imponibile complessivo di euro 23.067,85, avendo la CTR mancato di rilevare che la nota di credito non necessita di requisiti
di forma particolari e il contribuente avrebbe chiarito, documentalmente, il contenuto RAGIONE_SOCIALE note di credito emesse, giustificando ognuna di esse.
18. In accoglimento dell’eccezione dell’RAGIONE_SOCIALE, la censura è inammissibile, in quanto chiaramente diretta ad ottenere da parte del giudice di legittimità una nuova valutazione della prova, già oggetto dell’apprezzamento del giudice d’appello nell’ultima pagina della sentenza. In particolare è stato accertato dalla CTR: « non si rilevano agli atti i documenti di trasporto citati dal primo giudice» e che la contribuente non « precisa le quantità restituite, la natura RAGIONE_SOCIALE merci ed il destinatario RAGIONE_SOCIALE stesse », né la ricorrente contrasta tale accertamento allegando e dando evidenza della presenza dei documenti in sede di appello, se del caso attraverso un indice foliario degli atti del giudizio di appello con attestazione di cancelleria da cui emerga la circostanza contraria.
19. Il ricorso è conclusivamente rigettato per inammissibilità dei motivi. Le spese di lite sono regolate come da dispositivo e seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Si dà atto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso il 16.1.2024