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Operazioni inesistenti: onere della prova in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5958/2024, ha rigettato il ricorso di una società in fallimento contro un avviso di accertamento per operazioni inesistenti. La Corte ha confermato che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce la prova dell’inesistenza oggettiva delle operazioni (ad esempio, dimostrando che il fornitore è una ‘cartiera’), spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle transazioni. La decisione ribadisce la distinzione probatoria tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti e chiarisce i limiti alla produzione di documenti in fase processuale.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova e Difesa del Contribuente

La recente ordinanza n. 5958/2024 della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti in materia di operazioni inesistenti e sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione analizza un caso complesso che tocca temi cruciali come la validità degli avvisi di accertamento, la gestione delle prove nel processo tributario e la distinzione fondamentale tra inesistenza oggettiva e soggettiva delle operazioni commerciali. Questo provvedimento rappresenta un vademecum per le aziende su come affrontare una contestazione fiscale di questa natura.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore della moda, successivamente dichiarata fallita, impugnava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2010, la deduzione di costi non documentati, la detrazione dell’IVA su fatture per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti con un’altra società definita ‘cartiera’, e l’illegittimità di alcune note di credito.

Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente dato ragione all’azienda, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo l’appello dell’Agenzia. La società proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando diversi vizi procedurali e di merito, tra cui la mancata allegazione del processo verbale di constatazione (p.v.c.) all’avviso di accertamento e un’errata applicazione delle regole sull’onere della prova.

La Decisione della Corte e le Operazioni Inesistenti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rigettando tutte le doglianze della società. La decisione si fonda su principi consolidati e chiarisce aspetti fondamentali per la difesa del contribuente.

Il Principio sull’Onere della Prova per le operazioni inesistenti

Il punto centrale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Corte distingue nettamente tra:
1. Operazioni oggettivamente inesistenti: quando la transazione (cessione di beni o prestazione di servizi) non è mai avvenuta. In questo scenario, l’Amministrazione Finanziaria deve fornire elementi probatori (anche presuntivi) che facciano dubitare della realtà dell’operazione, come la prova che il fornitore è una mera ‘cartiera’. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare con prove concrete l’effettiva esistenza della transazione. Non basta esibire la fattura o la prova del pagamento, spesso utilizzati proprio per creare un’apparenza di realtà.
2. Operazioni soggettivamente inesistenti: quando la transazione è reale ma è intercorsa tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura (tipico delle frodi carosello). Qui, l’onere del Fisco è più gravoso: deve provare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della fattura di partecipare a un’evasione d’imposta.
Nel caso di specie, trattandosi di operazioni contestate come oggettivamente inesistenti, la Corte ha ritenuto che l’Agenzia avesse assolto al proprio onere probatorio e che la società ricorrente non avesse fornito alcuna prova contraria utile a dimostrare la realtà delle operazioni contestate.

La Gestione delle Prove e la Validità dell’Accertamento

La Cassazione ha respinto anche le censure procedurali. Ha chiarito che un avviso di accertamento che richiama un p.v.c. è perfettamente valido anche senza allegarlo, a condizione che il contribuente ne sia già a conoscenza, come avviene al termine della verifica fiscale. Inoltre, ha confermato che i documenti non esibiti durante la verifica, senza giustificato motivo, non possono essere utilizzati per la prima volta in sede processuale, come stabilito dall’art. 32 del d.P.R. 600/73. La Corte ha ritenuto le fatture prodotte tardivamente dalla società come prova insufficiente e generica.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato il rigetto di ogni singolo motivo di ricorso. Ha sottolineato che la CTR aveva correttamente accertato la presenza di gravi irregolarità contabili e la mancanza di prove contrarie da parte del contribuente rispetto a quanto verbalizzato dalla Guardia di Finanza. Per quanto riguarda le operazioni inesistenti, la motivazione della CTR era solida nel descrivere la natura di ‘cartiera’ della società fornitrice e nel concludere che il contribuente non aveva offerto alcuna prova utile a superare il quadro indiziario presentato dall’Agenzia. La Corte ha anche precisato che l’eventuale assoluzione in sede penale dell’amministratore della società non è vincolante nel processo tributario, data l’autonomia dei due giudizi e i diversi criteri di valutazione della prova. Infine, anche riguardo le note di credito, la Cassazione ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui la società non aveva fornito la documentazione necessaria a giustificare la riduzione dell’imponibile.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 5958/2024 consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di operazioni inesistenti. Per le imprese, le implicazioni pratiche sono chiare: è fondamentale mantenere una documentazione contabile e commerciale impeccabile, che vada oltre la mera fattura e il pagamento. In caso di verifica fiscale, è cruciale collaborare e fornire tempestivamente tutti i documenti richiesti per non precludersi la possibilità di utilizzarli in un eventuale contenzioso. La sentenza ribadisce che, di fronte a solidi indizi di inesistenza oggettiva di un’operazione, la difesa del contribuente si gioca sulla capacità di fornire prove concrete e inequivocabili della sua effettiva realizzazione.

A chi spetta l’onere della prova in caso di operazioni oggettivamente inesistenti?
Inizialmente spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi, anche presuntivi, che dimostrino l’inesistenza dell’operazione (es. che il fornitore è una società ‘cartiera’). Una volta fornita questa prova, l’onere si inverte e spetta al contribuente dimostrare l’effettiva esistenza della transazione con prove concrete.

Un avviso di accertamento è nullo se non allega il verbale di constatazione (p.v.c.) a cui fa riferimento?
No, non è nullo se il contribuente era già a conoscenza del contenuto del p.v.c., ad esempio perché gli è stato notificato al termine della verifica fiscale. L’obbligo di allegazione non sussiste se l’atto richiamato è già noto al destinatario.

Una sentenza di assoluzione in sede penale per evasione fiscale ha valore nel processo tributario?
No, la sentenza penale definitiva non ha autorità di giudicato nel processo tributario. Ciò è dovuto all’autonomia tra i due ordinamenti e alla diversità dei criteri di assunzione e valutazione della prova. Pertanto, un’assoluzione in sede penale non garantisce un esito favorevole nel contenzioso fiscale relativo agli stessi fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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