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Operazioni inesistenti: onere della prova in Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di merito che aveva ritenuto deducibili i costi per presunte operazioni inesistenti. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato le fatture di un professionista basandosi su gravi indizi. La Corte ha ribadito che, di fronte a tali indizi, spetta al contribuente provare l’effettività delle operazioni, non essendo sufficiente la sola fattura.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione Definisce l’Onere della Prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto tributario: la contestazione di operazioni inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione chiarisce che, di fronte a un quadro indiziario solido presentato dall’Amministrazione Finanziaria, la semplice esibizione della fattura non è sufficiente per il contribuente a dimostrare l’effettività del costo sostenuto e il relativo diritto alla deduzione e alla detrazione IVA.

I Fatti del Caso: Fatture Sospette e Costi Indeducibili

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un professionista, un informatore scientifico, per l’anno d’imposta 2003. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di tre categorie di costi:

1. Spese di pubblicità: Costi per l’acquisto di materiali e gadget promozionali da due società fornitrici. L’Agenzia riteneva che si trattasse di operazioni oggettivamente inesistenti, basandosi su una serie di elementi indiziari, come l’inoperatività delle società emittenti, la mancanza di dichiarazioni dei redditi da parte loro e un oggetto sociale incompatibile con la fornitura contestata.
2. Spese per pasti e soggiorni: Oneri sostenuti per offrire pasti e soggiorni a terzi, qualificati dal Fisco come spese di rappresentanza e quindi deducibili solo parzialmente secondo la normativa vigente all’epoca.
3. Spese extraprofessionali: Costi per vitto e alloggio in località turistiche durante periodi feriali, considerati non inerenti all’attività professionale.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato ragione al contribuente, annullando l’accertamento. Secondo i giudici di secondo grado, l’Ufficio non aveva fornito prove concrete dell’inesistenza delle operazioni pubblicitarie e aveva errato nel qualificare le altre spese, ritenute invece interamente deducibili come costi di marketing. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione.

Il Principio dell’Onere della Prova in caso di Operazioni Inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso dell’Agenzia relativi alle operazioni inesistenti, cassando la sentenza della CTR e rinviando la causa a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione risiede nella corretta applicazione delle regole sull’onere della prova.

La Corte ha ribadito un principio consolidato: se è vero che l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che un’operazione commerciale documentata da fattura non è mai avvenuta, è altrettanto vero che tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Quando l’Ufficio presenta un quadro indiziario solido che mina la credibilità della transazione, l’onere della prova si sposta sul contribuente.

A quest’ultimo non basterà più esibire la fattura o le evidenze contabili dei pagamenti. Egli dovrà fornire la prova contraria, dimostrando l’effettiva esistenza e la legittima fonte del costo che intende dedurre. Strumenti come fatture e pagamenti, infatti, sono spesso utilizzati proprio per creare un’apparenza di realtà a operazioni fittizie.

Le Motivazioni

La Cassazione ha ritenuto la motivazione della CTR ‘apparente’ e apodittica. I giudici di merito avevano svalutato gli elementi presuntivi offerti dall’Agenzia senza un’adeguata analisi. Tra gli indizi ignorati vi erano:

* L’incompatibilità dell’oggetto sociale delle società fornitrici con la merce fatturata.
* Lo stato di fallimento di una delle società e la liquidazione dell’altra.
* La mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi da parte di entrambe le società.
* L’assenza di prove concrete relative ai pagamenti.

Secondo la Suprema Corte, questi elementi, considerati nel loro insieme, erano sufficientemente gravi da fondare l’accertamento e avrebbero dovuto essere valutati e, se del caso, confutati con una motivazione adeguata. La CTR, invece, si era limitata a un’affermazione generica, sostenendo che ‘nulla di concreto era stato dimostrato’ dall’Ufficio, commettendo un errore di diritto nel non applicare correttamente le regole sul riparto probatorio. Per quanto riguarda le altre spese (pasti e soggiorni), la Corte ha giudicato inammissibile il motivo di ricorso dell’Agenzia, in quanto troppo generico e non in grado di censurare specificamente la motivazione della CTR, che le aveva qualificate come spese di pubblicità interamente deducibili.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per i contribuenti e i professionisti. La gestione contabile e fiscale non può limitarsi alla mera formalità documentale. Quando l’Amministrazione Finanziaria contesta l’esistenza di un’operazione sulla base di un robusto impianto indiziario, il contribuente deve essere pronto a dimostrare la sostanza e la realtà economica della transazione. La sentenza riafferma la centralità delle presunzioni nel processo tributario come strumento di prova pienamente valido, costringendo il giudice di merito a un’analisi approfondita e non superficiale degli elementi forniti dal Fisco. In definitiva, la regolarità formale non salva da contestazioni se la sostanza dell’operazione è messa in serio dubbio da prove logiche e circostanziate.

A chi spetta l’onere della prova in caso di contestazione di operazioni inesistenti?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni semplici (gravi, precise e concordanti), che le operazioni non sono mai avvenute. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

La sola presentazione di una fattura è sufficiente a dimostrare la deducibilità di un costo?
No. Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi che mettono in dubbio l’esistenza dell’operazione, la sola fattura o la regolarità delle scritture contabili non sono sufficienti a provare il diritto alla deduzione, poiché tali documenti possono essere utilizzati proprio per simulare un’operazione fittizia.

Quale valore hanno gli elementi indiziari (presunzioni) presentati dall’Agenzia delle Entrate?
Gli elementi indiziari, se gravi, precisi e concordanti, costituiscono una prova completa e sono idonei, anche da soli, a fondare il convincimento del giudice e a sostenere la pretesa fiscale. Il giudice di merito ha il dovere di valutarli singolarmente e nel loro complesso, senza poterli svalutare con motivazioni generiche o apparenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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