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Operazioni inesistenti: onere della prova fiscale

Un informatore farmaceutico si è visto contestare la deducibilità di costi per operazioni inesistenti. L’Agenzia delle Entrate ha fornito prove presuntive sulla fittizietà delle fatture, basate sull’inoperatività delle società fornitrici. La Corte di Cassazione ha stabilito che, in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti da parte dell’amministrazione finanziaria, l’onere di dimostrare l’effettività della prestazione ricade sul contribuente. La sentenza di secondo grado, che aveva annullato la pretesa fiscale con una motivazione apparente, è stata cassata con rinvio.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Chi Deve Provare Cosa? La Cassazione Fa Chiarezza

La gestione dei costi aziendali e la loro corretta deduzione fiscale rappresentano un terreno complesso, soprattutto quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la realtà delle transazioni sottostanti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali sull’onere della prova in materia di operazioni inesistenti, fornendo indicazioni preziose per contribuenti e professionisti. Il caso analizzato riguarda un informatore farmaceutico a cui sono stati contestati costi per l’acquisto di materiale pubblicitario, ritenuti fittizi dall’Agenzia delle Entrate.

I Fatti del Caso: Fatture Sospette e Costi Contestati

L’Agenzia delle Entrate ha emesso due avvisi di accertamento nei confronti di un informatore scientifico, contestando la deducibilità di due principali categorie di costi relativi agli anni 2004 e 2005:
1. Costi per materiale pubblicitario: Fatture per l’acquisto di gadget e materiali promozionali emesse da due società. L’Ufficio sosteneva che si trattasse di operazioni inesistenti, basandosi su una serie di indizi: le società fornitrici avevano un oggetto sociale incompatibile (impianti elettrici e lavori edili), una era stata dichiarata fallita l’anno precedente, ed entrambe non avevano presentato dichiarazioni dei redditi per gli anni in questione.
2. Spese per pasti e soggiorni: Costi sostenuti per offrire pranzi e pernottamenti a terzi, alcuni dei quali in località turistiche durante periodi feriali. Questi erano stati classificati dall’Agenzia in parte come spese di rappresentanza (deducibili in misura limitata) e in parte come spese extraprofessionali (totalmente indeducibili).

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva dato pienamente ragione al contribuente, ritenendo insufficienti gli indizi forniti dall’Agenzia e considerando tutte le spese deducibili come costi di marketing. L’Agenzia ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Cassazione sull’Onere della Prova per le Operazioni Inesistenti

La Corte di Cassazione ha accolto parzialmente il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza della CTR sulla questione delle operazioni inesistenti e rinviando il caso a un nuovo esame. Il punto centrale della decisione è la riaffermazione del corretto riparto dell’onere della prova.

La Corte ha stabilito che:
– Spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi probatori, anche sotto forma di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – per dimostrare che le operazioni fatturate non sono mai state poste in essere.
– Una volta che l’Ufficio ha assolto a tale onere, la palla passa al contribuente, il quale deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Non è sufficiente, a tal fine, la mera esibizione della fattura o la regolarità delle scritture contabili, strumenti spesso utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie.

La Corte ha invece respinto il motivo di ricorso relativo alle spese per pasti e soggiorni, confermando la valutazione della CTR che le aveva qualificate come spese di pubblicità interamente deducibili.

Le Motivazioni: Una Giustificazione ‘Apparente’ Non Basta

La Cassazione ha criticato duramente la sentenza della CTR, definendo la sua motivazione “apodittica” e “del tutto astratta”, in pratica una motivazione apparente. I giudici di secondo grado si erano limitati a svalutare gli indizi portati dall’Agenzia senza confutarli nel merito, affermando genericamente che “nulla di concreto è stato dimostrato” e criticando la mancata esecuzione di un riscontro diretto presso le società fornitrici.

Secondo la Suprema Corte, gli elementi offerti dall’Agenzia erano invece tutt’altro che irrilevanti:
– L’incompatibilità dell’oggetto sociale dei fornitori (edilizia ed impianti elettrici) con la merce venduta (cancelleria e gadget).
– Lo stato di fallimento di una delle società fornitrici, dichiarato prima dell’emissione delle fatture.
– La mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte di entrambe le società, indice che i corrispettivi non erano stati tassati.
– La modalità di pagamento indicata in fattura (“rimessa diretta”) senza alcuna prova effettiva dell’avvenuto pagamento.

Questi elementi, considerati nel loro complesso, costituivano un quadro presuntivo solido che la CTR avrebbe dovuto valutare attentamente, prima di rigettare la pretesa fiscale. Invece, sminuendoli senza un’analisi adeguata, il giudice di merito è venuto meno al suo dovere di motivazione, rendendo la sentenza nulla su questo punto.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Imprese e Professionisti

Questa ordinanza offre un importante monito: di fronte a una contestazione di operazioni inesistenti fondata su solidi indizi, il contribuente non può adottare una difesa passiva. La regolarità formale dei documenti non è uno scudo sufficiente. È necessario fornire prove concrete che attestino l’effettiva esecuzione della prestazione o la consegna dei beni (es. documenti di trasporto, corrispondenza commerciale, prove testimoniali, campioni dei beni acquistati). L’insegnamento della Corte è chiaro: il giudice tributario deve condurre un’analisi approfondita del quadro indiziario presentato dall’Ufficio e, solo se questo è ritenuto grave, preciso e concordante, procedere alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente. Una motivazione sbrigativa o generica non supera il vaglio di legittimità.

In caso di accertamento per operazioni inesistenti, chi ha l’onere della prova?
Inizialmente, l’onere spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire indizi gravi, precisi e concordanti sulla fittizietà delle operazioni. Una volta fornita questa prova presuntiva, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle transazioni.

Quali elementi possono costituire una prova presuntiva sufficiente per l’Agenzia delle Entrate?
Secondo la sentenza, elementi come l’incompatibilità dell’oggetto sociale del fornitore, il suo stato di fallimento o inattività, la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi e l’assenza di prove concrete di pagamento possono costituire, nel loro insieme, un quadro presuntivo sufficiente a contestare l’operazione.

La semplice esibizione della fattura è sufficiente per il contribuente a dimostrare la realtà di un’operazione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che, a fronte di solidi indizi di fittizietà forniti dall’Ufficio, la mera esibizione della fattura o la regolarità formale delle scritture contabili non sono sufficienti a superare la contestazione, poiché tali documenti sono spesso utilizzati proprio per simulare operazioni mai avvenute.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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