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Operazioni inesistenti: onere della prova e termini

Una società ha impugnato un avviso di accertamento per costi legati a operazioni inesistenti. La Cassazione ha confermato l’accertamento per IRES e IVA, chiarendo che una volta fornita la prova presuntiva dall’Agenzia delle Entrate, l’onere di dimostrare l’effettività delle operazioni passa al contribuente. La Corte ha però annullato l’accertamento relativo all’IRAP, poiché il raddoppio dei termini previsto in caso di reati tributari non si applica a tale imposta.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova e Termini di Accertamento secondo la Cassazione

La gestione fiscale di un’impresa richiede massima attenzione, specialmente quando si tratta di dedurre costi e detrarre l’IVA. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di operazioni inesistenti, chiarendo la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente e specificando i limiti di applicazione del cosiddetto ‘raddoppio dei termini’ per l’accertamento. Analizziamo questa importante decisione per comprendere le sue implicazioni pratiche per le aziende.

Il Caso: Fatture Sospette e Accertamento Fiscale

Una società attiva nel marketing e tutoraggio aziendale si è vista notificare un avviso di accertamento per l’anno 2007. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi e la detraibilità dell’IVA relative a fatture emesse da un’altra impresa. Secondo il Fisco, tali fatture documentavano operazioni inesistenti.

L’impresa fornitrice era risultata essere un ‘evasore totale’, una cosiddetta ‘cartiera’ priva di struttura aziendale, personale e capacità finanziaria per eseguire le prestazioni fatturate (consulenza, studi di fattibilità, ecc.). La Commissione Tributaria Regionale aveva confermato la legittimità dell’accertamento, spingendo la società contribuente a ricorrere in Cassazione.

Il Raddoppio dei Termini di Accertamento: Non si Applica all’IRAP

Uno dei punti cruciali del ricorso riguardava l’applicazione del ‘raddoppio dei termini’ di accertamento. Tale meccanismo, previsto in presenza di violazioni fiscali che comportano l’obbligo di denuncia penale, estende il periodo a disposizione del Fisco per effettuare i controlli.

La Decisione sull’IRAP

La Corte di Cassazione ha accolto il motivo di ricorso relativo all’IRAP. Gli Ermellini hanno chiarito che il raddoppio dei termini, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, non può essere esteso all’IRAP. La ragione è semplice: le violazioni relative a questa imposta non sono presidiate da sanzioni penali. Di conseguenza, l’accertamento per l’IRAP, notificato oltre il termine ordinario, è stato dichiarato illegittimo per decadenza del potere accertativo dell’Amministrazione.

Validità per IRES e IVA

Per quanto riguarda invece IRES e IVA, la Corte ha confermato la legittimità del raddoppio dei termini. Ha ribadito che, per la normativa applicabile ai fatti di causa, la condizione per il raddoppio è la mera sussistenza dei presupposti per l’obbligo di denuncia penale (indizi di reato), a prescindere dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’esito del procedimento penale.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

Il cuore della controversia verteva sulla prova delle operazioni inesistenti. Chi deve dimostrare cosa? La Cassazione ha delineato con chiarezza la ripartizione dell’onere probatorio.

Il Ruolo dell’Amministrazione Finanziaria

Spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire la prova dell’inesistenza dell’operazione. Tale prova può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi, gravi, precisi e concordanti. Nel caso di specie, gli elementi portati dal Fisco erano solidi:
* Il fornitore era un evasore totale.
* L’impresa emittente era una ‘cartiera’, priva di qualsiasi struttura operativa.
* Le prestazioni fatturate erano descritte in modo generico e non corrispondevano all’attività formalmente svolta dal fornitore.

Il Compito del Contribuente

Una volta che il Fisco ha fornito un quadro indiziario robusto, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. A tal fine, ha sottolineato la Corte, non è sufficiente esibire la fattura o la prova del pagamento. Questi elementi, infatti, fanno parte della messinscena tipica delle frodi fiscali. Il contribuente deve fornire prove concrete che le prestazioni siano state effettivamente ricevute, anche se da un soggetto diverso, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso della società, ad eccezione di quello relativo all’IRAP. Per quanto riguarda le operazioni inesistenti, i giudici hanno ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente valutato il quadro probatorio. A fronte degli solidi elementi presuntivi forniti dall’Agenzia delle Entrate sull’inesistenza oggettiva delle prestazioni, la società contribuente non aveva fornito alcun elemento contrario per dimostrare l’effettività delle operazioni. La Corte ha ribadito che la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è una prova sufficiente in questi contesti, poiché tali elementi sono tipicamente utilizzati per simulare una realtà operativa fittizia. L’IVA, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, non è mai detraibile, e non rileva la buona o mala fede del contribuente, poiché egli è perfettamente a conoscenza di non aver ricevuto alcuna prestazione. Pertanto, l’accertamento per IRES e IVA è stato ritenuto legittimo.

Conclusioni

Questa ordinanza della Cassazione offre due importanti insegnamenti per le imprese:
1. Attenzione alla scelta dei fornitori: È fondamentale verificare l’affidabilità e la reale struttura operativa dei propri partner commerciali. Accettare fatture da soggetti palesemente inidonei a fornire le prestazioni (‘cartiere’) espone a un rischio fiscale elevatissimo.
2. La prova non è solo formale: In caso di contestazione per operazioni inesistenti, non basta mostrare fatture e bonifici. È necessario essere in grado di documentare concretamente l’esecuzione della prestazione (es. contratti, corrispondenza, report, prove testimoniali). L’onere della prova, una volta che il Fisco ha sollevato dubbi fondati, ricade interamente sull’azienda.
3. Specificità dei termini di accertamento: Il raddoppio dei termini per reati tributari non è un meccanismo applicabile a tutte le imposte. La sua inapplicabilità all’IRAP, confermata in questa sede, rappresenta un importante principio di legalità e un limite al potere accertativo del Fisco.

Quando si applica il raddoppio dei termini di accertamento?
Secondo la normativa applicabile al caso (anteriore alle modifiche del 2015), il raddoppio dei termini si applica quando sussistono indizi di un reato tributario che comportano l’obbligo di denuncia penale. Non è necessario che la denuncia sia stata effettivamente presentata o che il procedimento penale si sia concluso con una condanna.

Il raddoppio dei termini vale anche per l’IRAP?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il raddoppio dei termini non si applica all’IRAP, poiché le violazioni relative a questa imposta non sono sanzionate penalmente. Pertanto, per l’IRAP valgono solo i termini di accertamento ordinari.

Chi deve provare l’esistenza di un’operazione contestata dal Fisco?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire prove, anche presuntive, che l’operazione è inesistente. Se queste prove sono gravi, precise e concordanti (ad esempio, dimostrando che il fornitore è una ‘cartiera’), l’onere della prova si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esecuzione della prestazione. La sola esibizione della fattura e della prova del pagamento non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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