Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14053 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14053 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 15929/2016 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Umbria n. 675/01/2015, depositata il 21.12.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTP di Perugia rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di marketing e tutoraggio aziendale, avverso un
Oggetto:
Tributi –
Accertamento
avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione all’anno 200 7, con il quale erano stati recuperati a tassazione costi indeducibili e IVA indetraibile, in quanto relativi ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale del l’Umbria rigettava l’appello proposto dalla contribuente, rilevando, per quanto ancora qui interessa, che:
-la previsione del raddoppio del termine previsto per l’attività di accertamento, in presenza d ell’obbligo di presentare denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsto dal d.lgs. n. 74 del 2000, è costituzionalmente legittima, come ha statuito la Corte costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, e fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 128 del 2015 (2.09.2015) l’Amministrazione non aveva l’obbligo né di dimostrare di avere presentato la denuncia né di produrne copia ed era irrilevante l’esito del relativo procedimento penale;
-il raddoppio del termine si estende anche all’IRAP, sebbene l’inadempimento di detta imposta non sia sanzionato penalmente;
-la motivazione dell’avviso impugnato era completa, chiara e idonea a fare comprendere alla contribuente le ragioni della pretesa, contenendo ampi riferimenti all’attività di accertamento svolta nei confronti dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, emittente RAGIONE_SOCIALE fatture relative alle operazioni inesistenti;
-anche i motivi di appello, riguardanti la buona fede della contribuente e la asserita inesistenza solo soggettiva RAGIONE_SOCIALE operazioni, erano infondati, in quanto l’impresa RAGIONE_SOCIALE era del tutto inesistente, le prestazioni da questa rese erano state descritte in modo confuso dalla stessa appellante, non avendo la RAGIONE_SOCIALE fornito nemmeno un elemento indiziario dal quale si potesse desumere che le predette prestazioni fossero state rese da altri
soggetti e non avendo spiegato per quale motivo aveva pagato comunque l’impresa RAGIONE_SOCIALE che non era in grado di fornire alcuna prestazione;
la contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, illustrati con memoria;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione a ll’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente affermato che, ai fini della verifica del legittimo raddoppio del termine dell’accertamento, l’Amministrazione finanziaria non aveva alcun obbligo di dimostrare la presentazione della denuncia all’Autorità giudiziaria o di produrne copia in giudizio;
il motivo è infondato;
in base all’art. 37, comma 24, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv. con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, che ha modificato il terzo comma dell’art. 43, del d.P.R. n. 600 del 1973, in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., per uno dei reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di decadenza per l’accertamento sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione;
come già affermato da questa Corte, «in tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i
termini di decadenza» , come peraltro stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza 25 luglio 2011, n. 247, «senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31.12.2016 e già notificati, incidano le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208 del 2015, attesa la disposizione transitoria ivi introdotta, che richiama l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 128 del 2015, che fa salvi gli effetti degli avvisi già notificati» (Cass. n. 16728 del 2016; Cass. n. 26037 del 2016);
nelle citate pronunce questa Corte ha avuto cura di precisare che «non di raddoppio dei termini in senso proprio si tratta, bensì di un nuovo termine di decadenza », applicabile in ipotesi di sussistenza di seri indizi di reità, che costituisce un dato obiettivo non lasciato alla discrezionalità del funzionario dell’ufficio tributario, ma che deve essere accertato dal giudice;
tale raddoppio non è escluso dalla configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, né dalla intervenuta archiviazione della denuncia, non rilevando «né l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’articolo 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, né la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario (in termini, Cass. 15 maggio 2015, n. 9974)» (Cass. n. 16728/16, cit.);
è estraneo, pertanto, al perimetro del presente giudizio lo ius superveniens , consistente nelle modifiche introdotte, dapprima, dall’art. 2, primo e secondo comma, del d.lgs. 3 agosto 2015, n. 128, che ha limitato il raddoppio dei termini di accertamento per violazioni penali solo ai casi in cui la denuncia è effettivamente presentata e trasmessa all’autorità giudiziaria entro il termine ordinario di
decadenza dal potere di accertamento, e, in seguito, dall’art. 1, commi da 130 a 132, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, che hanno, tra le altre disposizioni, eliminato la fattispecie del raddoppio dei termini ordinari; la prima modifica, infatti, in virtù dell’apposita norma di salvaguardia prevista dall’art. 2, d.lgs. n. 128 del 2015, non si applica alle violazioni punibili constatate in processi verbali notificati prima del 2 settembre 2015 e seguite dalla notifica di atti impositivi entro il 31 dicembre 2015, come è avvenuto nella fattispecie in esame, in cui la notifica dell’avviso di accertamento, relativo all’anno 200 7, è intervenuta in data 30.09.2013;
quanto alla seconda modifica, invece, il regime transitorio previsto dalla legge n. 208 del 2015, per i periodi d’imposta anteriori a quello in corso al 31 dicembre 2016 – secondo cui il raddoppio dei termini di accertamento, quali stabiliti dal secondo periodo del comma 132, opera, nel caso RAGIONE_SOCIALE indicate violazioni penali, solo a condizione che la denuncia penale sia presentata o trasmessa dall’Amministrazione finanziaria entro il termine stabilito nel primo periodo del medesimo comma 132 – riguarda solo le fattispecie non regolate dal precedente regime transitorio, cioè i casi in cui non sia stato notificato un atto impositivo (o di irrogazione di sanzioni) entro il 2 settembre 2015, in quanto, ai sensi dell’art. 3, secondo comma, del d.lgs. n. 128 del 2015, sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’RAGIONE_SOCIALE fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore di tale decreto (Cass. 16/12/2016, n. 26037; 9/08/2016, n. 16728);
ciò premesso, secondo la disciplina applicabile alla fattispecie in esame, il raddoppio dei termini deriva, pertanto, dal mero riscontro di fatti comportanti “l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331
c.p.p.’, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o, di condanna (Cass. 30/05/2016, n. 11171);
la Corte costituzionale (sentenza n. 247/2011) ha, infatti, affermato che l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicché «il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta «prognosi postuma») circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’Amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale RAGIONE_SOCIALE disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento» ;
la CTR ha fatto corretta applicazione RAGIONE_SOCIALE norme come interpretate da questa Corte, per quanto riguarda l’IRES e l’IVA , posto che nell’avviso di accertamento per l’anno 200 7 (come risulta dallo stralcio riportato dalla stessa ricorrente nel corpo del ricorso per cassazione) emergono gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000;
con il secondo motivo, lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 25, comma 2, Cost., 1 cod. pen., 2, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, 25, comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997, 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente applicabile anche in materia di IRAP il raddoppio del termine per l’accertamento, previsto per le imposte sul reddito e per l’IVA ;
-il motivo è fondato, dovendosi rilevare che «In tema di accertamento, il c.d. “raddoppio dei termini”, previsto dall’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni RAGIONE_SOCIALE relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali» ( ex multis , Cass. n. 10483 del 03/05/2018);
-nella specie è pacifico che l’avviso di accertamento (emesso nel 2013 per l’anno d’imposta 2007 è stato emesso oltre il termine decadenziale “ordinario” (che scadeva il 31.12.2012), con conseguente intervenuta decadenza del potere accertativo con riferimento all’IRAP;
con il terzo motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, comma 1, del d.p.a. n. 600 del 1973, 56, ultimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, 7, comma 1, l. n. 202 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, e 24 Cost., 132 cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto sufficientemente motivato l’avviso di accertamento, con motivazione apparente e meramente adesiva alle argomentazioni dell’Amministrazione resistente, mediante il mero rinvio per relationem agli atti di accertamento emessi nei confronti di un terzo, mai portati a conoscenza della ricorrente e di cui non era stato riprodotto il contenuto essenziale;
il motivo è infondato;
per quanto riguarda la denunciata carenza di motivazione degli atti impositivi, occorre premettere che, già con riferimento alla disciplina anteriore all’art. 7 della l. n. 212 del 2000, è stato affermato che la legittimità dell’avviso postula la conoscenza o la conoscibilità da parte del contribuente dell’atto richiamato, purché il suo contenuto serva ad
integrare la motivazione dell’atto impositivo, con esclusione quindi dei casi in cui essa sia già sufficiente e il richiamo ad altri atti abbia pertanto solo valore narrativo o il contenuto di ulteriori atti sia già riportato nell’atto noto; ai fini dell’annullamento il contribuente deve, quindi, provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo o quelli cui esso rinvia sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare direttamente o indirettamente la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo non la riporta, per cui non è comunque venuto a sua conoscenza (Cass. 10.02.2016, n. 2614);
– anche con riferimento alla disciplina introdotta dal c.d. Statuto del contribuente, ratione temporis applicabile, si è statuito che, in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (art. 7, della l. n. 212 del 2000) va inteso in necessaria correlazione con la finalità “integrativa” RAGIONE_SOCIALE ragioni che, per l’Amministrazione finanziaria, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone l’art. 3, terzo comma, legge 7 agosto 1990, n. 241, nel senso che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto;
– pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata
nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (Cass. 16.12.2020, n. 28756; Cass. 15.05.2018, n. 11866);
-nella specie, come ha rilevato la stessa ricorrente, nell’avviso di accertamento (il cui stralcio è stato trascritto nel corpo del ricorso per cassazione) erano state riportate le risultanze dell’accertamento svolto nei confronti dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE (emittente RAGIONE_SOCIALE fatture relative ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti ed evasore totale), il cui contenuto risulta sufficiente per comprendere le ragioni della pretesa fiscale avanzata nei confronti della contribuente; -anche l’ulteriore profilo riguardante l’asserita motivazione apparente della sentenza impugnata risulta infondato, se non addirittura inammissibile, avendo il giudice tributario di appello assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
– con il quarto motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, comma 6, e 24 Cost., 132 cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la CTR seguito le regole sul riparto dell’onere probatorio, qualificando, con motivazione apparente, come inesistenti le operazioni oggetto di accertamento, e facendo un indebito utilizzo del meccanismo RAGIONE_SOCIALE presunzioni;
– con il quinto motivo, deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 19 e ss. del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR riconosciuto il diritto della contribuente alla detrazione dell’IVA, benchè l’Amministrazione finanziaria non avesse provato l’inesistenza RAGIONE_SOCIALE prestazioni e la consapevolezza della contribuente in ordine alla frode perpetrata dal prestatore;
con il sesto motivo, denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 del d.l. n. 16 del 2012, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR disconosciuto la deduzione dei costi riguardanti le fatture contestate, in carenza di prova da parte dell’Amministrazione finanziaria dell’inesistenza oggettiva RAGIONE_SOCIALE relative operazioni;
-i predetti motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, in quanto attengono tutti alla questione della fittizietà RAGIONE_SOCIALE operazioni contestate, sono inammissibili;
le censure investono la questione della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA nel caso di fatturazione per operazioni inesistenti e riguardano sia l’oggetto della prova dell’inesistenza oggettiva di dette operazioni sia il riparto dell’onere probatorio tra l’Amministrazione finanziaria e contribuente;
questa Corte ha più volte affermato che, con riferimento alla questione della deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA nel caso di fatture per operazioni inesistenti, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova, anche mediante elementi indiziari, dell’oggettiva inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, spetta al contribuente dimostrarne l’effettiva esistenza, senza che, tuttavia, sia sufficiente a tal fine l’esibizione della fattura, né la dimostrazione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia ( ex plurimis , Cass. 19.10.2018, 26453);
-a tale proposito occorre rilevare che l’IVA non è mai detraibile nei casi di operazioni oggettivamente inesistenti, con riferimento alle quali l’Amministrazione finanziaria « ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello
di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo » (Cass. n. 28628 del 18/10/2021; Cass. n. 18118 del 14/09/2016);
-la CTR ha ritenuto, sulla base degli elementi forniti dall’Amministrazione finanziaria, che le operazioni contestate fossero oggettivamente inesistenti, in quanto l’impresa che aveva emesso le fatture era un evasore totale, non avendo mai presentato dichiarazioni fiscali e non avendo mai versato imposte, non possedeva alcuna struttura aziendale e finanziaria idonea a svolgere le attività richieste dalla contribuente, era priva di personale dipendente (c.d. cartiera), le prestazioni fatturate ( ‘prestazioni di consulenza ed assistenza tecnica per effettuazione di computi metrici, studi di fattibilità e ricerche sul territorio, al fine di consentire il monitoraggio RAGIONE_SOCIALE imprese del Mezzogiorno nell’ambito RAGIONE_SOCIALE diverse attività di tutoraggio della società RAGIONE_SOCIALE” ) erano difformi dalla tipologia di attività formalmente svolta dall’impresa COGNOME NOME (completamento di edifici);
i giudici di appello hanno poi spiegato che, a fronte di detti elementi presuntivi, la contribuente non aveva dimostrato l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni, non avendo fornito, come era suo onere, ‘nemmeno un elemento indiziario dal quale si possa sospettare che quelle fantomatiche prestazioni siano state rese da qualcuno e del perché mai siano state comunque pagate a un soggetto come il COGNOME NOME, che non era in grado di fornire alcuna prestazione di servizi a nessuno. In conclusione, il quadro probatorio complessivo riferibile alle operazioni fatturate è quello della completa inesistenza, con una
documentazione originata semplicemente dal patto illecito tra emittente ed utilizzatore volto a frodare il fisco’ ;
di conseguenza, pur deducendo formalmente plurime violazioni di legge e mancanza di motivazione o motivazione apparente, le doglianze della contribuente mirano, in realtà, a rivalutare il merito della motivazione della CTR che ha, invece, applicato correttamente i principi sull’onere probatorio;
l a ricorrente propone, infatti, un riesame dell’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di merito in ordine agli accertamenti compiuti nei confronti dell ‘impresa emittente e alla loro rilevanza in relazione alla posizione della contribuente;
in ordine al sesto motivo, peraltro, occorre rilevare che i costi deducibili, ai sensi dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537 del 1993, come modif. dall’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv., con modif., in l. n. 44 del 2012, sono solo quelli relativi alle operazioni soggettivamente inesistenti, mentre le fatture contestate riguardano operazioni oggettivamente inesistenti;
in conclusione, va accolto solo il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo della lite limitatamente all’IRAP;
-stante la parziale reciproca soccombenza, le spese dell’intero giudizio vanno compensate.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della lite limitatamente all’IRAP; compensa le spese dell’intero giudizio.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 22 novembre 2023