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Operazioni inesistenti: onere della prova e sanzioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27545/2024, ha rigettato il ricorso di una società sanzionata per operazioni inesistenti. La Corte ha confermato che l’amministrazione finanziaria può provare la fittizietà delle operazioni tramite presunzioni e indizi, come il comportamento antieconomico dell’impresa. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria sull’effettiva esistenza delle transazioni, prova che non è stata ritenuta assolta nel caso di specie. La decisione ribadisce principi consolidati sull’inversione dell’onere della prova in materia fiscale.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione conferma l’onere della prova a carico del contribuente

Con la recente ordinanza n. 27545 del 23 ottobre 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata nuovamente sul tema delle operazioni inesistenti, chiarendo i confini dell’onere della prova tra Amministrazione Finanziaria e contribuente. La decisione sottolinea come elementi indiziari, quali comportamenti palesemente antieconomici, siano sufficienti a fondare un accertamento, spostando sul contribuente il compito di dimostrare l’effettività delle transazioni contestate.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata in liquidazione impugnava un provvedimento di irrogazione sanzioni relativo all’anno d’imposta 2015. La sanzione era stata applicata per l’utilizzo di fatture relative a operazioni considerate oggettivamente inesistenti, quali irregolare somministrazione di lavoro e compravendite di merci. Secondo l’Agenzia delle Entrate, la società era stata costituita al solo scopo di interporsi fittiziamente in operazioni commerciali per aggirare il rifiuto di un consorzio di effettuare forniture a un’altra azienda in difficoltà finanziaria.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi della società, ritenendo che l’Ufficio avesse fornito un quadro indiziario sufficientemente solido per dimostrare l’inesistenza delle operazioni. La società, invece, non era riuscita a fornire una prova contraria convincente. Di qui il ricorso per cassazione, basato principalmente sulla violazione delle regole sull’onere della prova e sul vizio di motivazione della sentenza d’appello.

L’onere della prova nelle operazioni inesistenti

Il cuore della controversia ruotava attorno a chi dovesse provare cosa. La società ricorrente lamentava che i giudici di merito avessero invertito l’onere della prova, accontentandosi degli indizi raccolti dall’Ufficio e ignorando la copiosa documentazione prodotta a sostegno dell’esistenza delle operazioni.

La Corte Suprema, nel rigettare il ricorso, ha ribadito un principio consolidato in materia. L’Amministrazione Finanziaria può assolvere il proprio onere probatorio anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Nel caso specifico, l’Ufficio aveva evidenziato una serie di comportamenti antieconomici da parte della società, la quale cedeva beni a un valore inferiore a quello di acquisto. Tale condotta, priva di una logica commerciale, è stata considerata un indizio pregnante della fittizietà dell’intera catena distributiva e dell’interposizione fittizia della società contribuente.

La Decisione della Corte: i limiti del sindacato di legittimità

La Cassazione ha dichiarato inammissibili il secondo e il terzo motivo di ricorso, poiché miravano a ottenere una nuova valutazione del materiale probatorio, attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Suprema Corte non è riesaminare i fatti, ma verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. La motivazione del giudice d’appello è stata ritenuta comprensibile e completa, avendo spiegato chiaramente perché l’impianto indiziario dell’Ufficio fosse sufficiente a provare le operazioni inesistenti.

Inoltre, la Corte ha specificato che il giudice non è tenuto a confutare analiticamente ogni singola argomentazione della parte, essendo sufficiente che esponga le ragioni della sua decisione in modo da far emergere l’implico rigetto delle tesi incompatibili.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla distinzione tra il giudizio di fatto e il giudizio di diritto. I giudici di merito avevano accertato, con una valutazione logica e coerente, che la società era stata creata come uno schermo per consentire operazioni altrimenti impossibili. L’elemento chiave è stato l’individuazione di “comportamenti antieconomici” che, secondo la Corte, dimostravano la “fittizietà delle operazioni”. La vendita sistematica in perdita non aveva altra spiegazione se non quella di mascherare una realtà diversa. Una volta che l’Ufficio ha presentato questo quadro indiziario, l’onere di fornire la prova contraria – dimostrando l’effettiva esistenza e la logica economica delle operazioni – si è spostato interamente sul contribuente. La documentazione prodotta da quest’ultimo, secondo i giudici di merito, non è stata sufficiente a superare la forza degli indizi raccolti dall’Agenzia.

Conclusioni

Questa ordinanza conferma la linea dura della giurisprudenza in materia di operazioni inesistenti. Per i contribuenti, la lezione è chiara: non basta produrre fatture e documenti contabili per dimostrare la realtà di un’operazione. Di fronte a un quadro indiziario solido presentato dall’Amministrazione Finanziaria, basato ad esempio su palesi antieconomicità, è necessario fornire prove concrete e sostanziali dell’effettività della transazione commerciale. Il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, e la valutazione delle prove rimane una prerogativa insindacabile dei giudici dei gradi inferiori, a patto che la loro motivazione sia logica e non meramente apparente.

In caso di accertamento per operazioni inesistenti, su chi ricade l’onere della prova?
Inizialmente, l’onere della prova ricade sull’Amministrazione Finanziaria, che può assolverlo anche tramite elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. Una volta che l’Ufficio ha fornito tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.

Quali elementi può usare l’Amministrazione Finanziaria per dimostrare che le operazioni sono inesistenti?
L’Amministrazione può utilizzare elementi indiziari, come il riscontro di comportamenti antieconomici. Nel caso di specie, la società vendeva beni a un valore inferiore a quello di acquisto, un comportamento ritenuto sufficiente a dimostrare l’interposizione fittizia e la natura inesistente delle transazioni.

È sufficiente per il contribuente produrre molta documentazione per provare l’esistenza delle operazioni?
No, non è automaticamente sufficiente. La sentenza chiarisce che la documentazione prodotta dal contribuente è stata “obliterata” dal giudice di appello, il quale ha fondato la sua decisione unicamente sulle emergenze del PVC (Processo Verbale di Constatazione) e sugli indizi di antieconomicità, ritenendoli più convincenti. La prova fornita dal contribuente deve essere in grado di superare la forza degli indizi presentati dall’Ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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