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Operazioni inesistenti: onere della prova e sanzioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30917/2024, ha affrontato un caso di operazioni soggettivamente inesistenti contestate a una società di commercio all’ingrosso. L’Agenzia delle Entrate aveva recuperato Ires, Irap e Iva per il 2013, sostenendo che la società avesse utilizzato fatture emesse da una ‘cartiera’. La Corte ha rigettato quasi tutti i motivi di ricorso del contribuente, confermando che spetta a quest’ultimo provare la propria buona fede e diligenza, non essendo sufficiente la regolarità formale delle scritture contabili. Tuttavia, ha accolto il motivo relativo all’applicazione della sanzione per recidiva, chiarendo che essa presuppone un accertamento definitivo della violazione precedente. La sentenza è stata cassata con rinvio su questo specifico punto.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni soggettivamente inesistenti: la Cassazione chiarisce onere della prova e sanzioni

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni soggettivamente inesistenti. Questa pronuncia offre importanti chiarimenti sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente e sui presupposti per l’applicazione di sanzioni aggravate, come la recidiva. Analizziamo i dettagli di una decisione che ribadisce la necessità per le imprese di adottare la massima diligenza nelle proprie transazioni commerciali.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società operante nel commercio all’ingrosso di elettrodomestici ed elettronica. L’Amministrazione Finanziaria contestava, per l’anno d’imposta 2013, il recupero di Ires, Irap e Iva a seguito di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Secondo il Fisco, la società aveva dedotto costi e detratto l’Iva su fatture emesse da un fornitore che era in realtà una società ‘cartiera’, un soggetto interposto fittiziamente nell’operazione.

La contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ma il suo ricorso è stato respinto sia in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale sia in appello dalla Commissione Tributaria Regionale. Ritenendo errata la decisione dei giudici di merito, la società ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a quindici distinti motivi.

L’onere della prova nelle operazioni soggettivamente inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato la maggior parte dei motivi di ricorso, confermando l’orientamento consolidato in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. I giudici hanno ribadito che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sulla fittizietà del fornitore (come l’assenza di una struttura operativa, la mancata presentazione delle dichiarazioni fiscali o la presenza di ‘teste di legno’), l’onere della prova si sposta sul contribuente.

Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e in totale buona fede, ossia di non essere a conoscenza e di non aver potuto conoscere, usando l’ordinaria diligenza di un operatore accorto, che la transazione si inseriva in un’evasione fiscale. La Corte ha sottolineato che, a tal fine, non è sufficiente provare la regolarità formale della contabilità, l’esibizione delle fatture o la tracciabilità dei pagamenti, poiché questi elementi sono spesso utilizzati proprio per mascherare l’operazione fraudolenta.

Il Principio sulla Recidiva Fiscale

L’unico punto su cui la Cassazione ha dato ragione alla società ricorrente riguarda l’applicazione delle sanzioni. In particolare, è stato accolto il quattordicesimo motivo di ricorso, con cui si contestava l’applicazione dell’istituto della recidiva.

La Corte ha chiarito un principio fondamentale: la recidiva in materia tributaria, prevista dall’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997, che comporta un aggravamento delle sanzioni, può essere applicata solo se la violazione precedente, della stessa indole, è stata accertata con un atto definitivo. Un accertamento è definitivo quando non è più impugnabile, o perché sono decorsi i termini per l’impugnazione o perché si è formato un giudicato a seguito di una pronuncia giurisdizionale. Nel caso di specie, mancava questo presupposto, rendendo illegittima l’applicazione della sanzione aggravata.

Le Motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione basandosi su principi consolidati della giurisprudenza nazionale ed europea. Per quanto riguarda l’onere della prova, i giudici hanno ribadito che la lotta all’evasione fiscale, soprattutto nelle forme più complesse come le frodi carosello, richiede di andare oltre le apparenze formali. L’imprenditore non può limitarsi a un controllo superficiale dei propri partner commerciali, ma deve adottare le cautele necessarie per verificare la loro effettiva operatività, pena il rischio di essere considerato consapevole partecipe della frode.

Riguardo alla questione delle sanzioni, la motivazione si fonda su un principio di garanzia e certezza del diritto. Non è possibile aggravare la posizione sanzionatoria di un contribuente sulla base di una contestazione precedente che non sia ancora stata definitivamente accertata. Questo per evitare che una successiva riforma o annullamento del primo atto impositivo possa rendere ingiusta e sproporzionata la sanzione applicata per la violazione successiva.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione, pur respingendo le censure sulla ricostruzione dei fatti e sull’indeducibilità dei costi, ha cassato la sentenza impugnata limitatamente al punto relativo alla sanzione per recidiva. La causa è stata rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame che tenga conto del principio di diritto enunciato e per la rinegoziazione delle spese.

Questa ordinanza rappresenta un’importante conferma dei doveri di diligenza che gravano sugli operatori economici per non essere coinvolti in operazioni soggettivamente inesistenti, ma al contempo stabilisce un chiaro limite all’inasprimento delle sanzioni, ancorandolo alla certezza e definitività degli accertamenti fiscali precedenti.

In un caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la buona fede?
Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono una frode (es. fornitore fittizio), l’onere della prova si sposta sul contribuente. È quest’ultimo che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di non essere stato a conoscenza della frode.

La regolarità contabile e i pagamenti tracciabili sono sufficienti a dimostrare la buona fede?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o l’esibizione di fatture e mezzi di pagamento tracciabili non è sufficiente a provare la buona fede, poiché questi elementi sono spesso utilizzati proprio per dare un’apparenza di realtà a un’operazione fittizia.

Quando può essere applicata la sanzione aggravata per recidiva in ambito fiscale?
La sanzione per recidiva può essere applicata solo quando la violazione precedente della stessa indole sia stata accertata con un provvedimento definitivo, cioè non più impugnabile o confermato da una sentenza passata in giudicato. In assenza di un accertamento definitivo, l’aggravante non può essere applicata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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