Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21501 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21501 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2234/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
CURATELA FALLIMENTARE DELLA SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELL’EMILIA – ROMAGNA n. 1066/2019 depositata il 30/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Ravenna notificava all’Azienda RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento integrativo n. THQ033100097/2013, emesso in relazione all’anno di imposta 2004 con cui contestava un reddito d’impresa a fini IRES di € 1.916.370,00 e un valore della produzione a fini IRAP di € 1.720.812,00, con il conseguente recupero a tassazione delle maggiori imposte dovute, derivanti dalla indeducibilità di costi per operazioni “oggettivamente” inesistenti, oltre interessi ed irrogazione delle conseguenti sanzioni di legge.
In particolare, l’atto impositivo scaturiva da una verifica pluriennale effettuata dalla Guardia di Finanza di Ravenna confluita nel processo verbale di constatazione del 22 giugno 2012, a propria volta conseguente ad indagini condotte dalla Guardia di Finanza di San Severo (FG) su delega della Procura della Repubblica c/o il Tribunale – D.D.A. di Bari, nell’ambito del procedimento penale n. 14219/2009.
Sulla scorta delle risultanze complessive della predetta verifica, l’Ufficio accertava che le fatture emesse, in favore della verificata dall’impresa individuale di NOME COGNOME, risultavano afferenti ad operazioni oggettivamente inesistenti e conseguentemente contestava l’indeducibilità dei relativi costi a fini reddituali ai sensi dell’articolo 109 del T.U.I.R. n. 917/1986.
Invero, la verifica aveva consentito di rilevare che, nel corso di un arco temporale ricompreso tra il 2004 e il 2010, l’Azienda RAGIONE_SOCIALE aveva registrato in contabilità acquisti di mosto provenienti da imprese che, in relazione alle loro caratteristiche ed ai dati rilevati sul conto delle stesse, si configuravano quali
“cartiere” o “missing traders”, soggetti economici privi di qualsivoglia struttura operativa ed organizzativa, che limitano la propria attività alla sola emissione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di agevolare la commissioni di frodi fiscali da parte di terzi.
La contribuente impugnava l’atto dinanzi alla CTP di Ravenna che con sentenza n. 5/02/2015 respingeva il ricorso.
Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna.
Nelle more del giudizio, il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 43/2016 dichiarava il fallimento dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE e il processo interrotto dinanzi alla CTR veniva riassunto dalla curatela fallimentare.
La CTR adita, con sentenza n. 1066/2019 del 25/03/2019 depositata il 30/05/2019 non notificata, accoglieva l’appello ritenendo i costi deducibili ai fini Ires ed Irap.
Avverso tale sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati con memoria.
Resiste la curatela con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si adombra la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 D.P.R. n. 600/1973, 2697 cod. civ., 109 T.U.I.R. n. 817/1986, nonché dell’art. 8 D.L. n. 16/2012 (conv. con legge n. 44/2012), in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto l’inesistenza soggettiva delle operazioni contestate, fondando tale convincimento esclusivamente sul dato, irrilevante, dell’avvenuto pagamento delle fatture ad esse relative.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto che le
operazioni contestate fossero da considerarsi soggettivamente inesistenti senza che vi fosse prova dell’effettiva interposizione di un soggetto terzo, fornitore effettivo dei quantitativi di mosto acquistati dalla società. Così facendo, la CTR ha violato la disciplina e i principi in materia di criteri di riparto dell’onere probatorio e, al contempo, le norme disciplinanti l’applicazione della prova presuntiva.
Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 D.Lgs. n. 546/1992, 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da vizio di motivazione apparente in ordine al fatto, dirimente per sostenere l’inesistenza soggettiva delle operazioni, relativo alla circostanza che la ditta fornitrice fosse totalmente inattiva e unicamente demandata ad emettere fatture, ricevere il pagamento e stornarlo all’effettivo cedente.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 61 D.Lgs. n. 546/1992, 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) cod. proc. civ., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da vizio di apparente motivazione laddove ha omesso di valutare il recupero relativo alle fatture emesse nei confronti della verificata dalla RAGIONE_SOCIALE relative ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Il primo motivo è fondato e va accolto.
La CTR ha, invero, valutato l’inesistenza solo soggettiva, anziché oggettiva delle operazioni, in ragione di un elemento assorbente e dirimente: l’avvenuto pagamento delle merci fatturate, a mezzo bonifici o assegni. In tal modo, il giudice regionale si è posto in urto con il condivisibile principio affermato a più riprese da questa Corte, a tenore del quale ‘ In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea
struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia’ (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021).
Il secondo motivo è anch’esso fondato e meritevole d’essere accolto.
Giova richiamare, con specifico riferimento all’ipotesi, di cui alla presente controversia, in cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza oggettiva di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, il consolidato orientamento secondo cui la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei
relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti, nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate. (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628). In altri termini, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619).
Questa Corte ha anche evidenziato che, al fine di individuare quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi
essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
Nella specie, ancorché l’Agenzia abbia dedotto elementi sintomatici convergenti nel senso proprio dell’inesistenza dell’impresa individuale di tale Sig. COGNOME emittente le fatture contestate, la CTR ha trascurato di individuare e pretendere qualsivoglia elemento idoneo a deporre nel senso antitetico dell’esistenza delle operazioni lamentate come oggettivamente fittizie. In questo quadro, la CTR ha, per un verso, sovvertendo il riparto degli oneri probatori e il relativo contenuto, di fatto delineato un esonero per la curatela fallimentare dall’onere di indicare i profili suscettibili dar conto della sussistenza oggettiva delle operazioni e della fittizietà -al più -solo soggettiva; per altro verso, il giudice d’appello ha tralasciato di soffermarsi sulla natura e l’identità degli aspetti idonei a corroborare l’esistenza delle operazioni contestate come inesistenti sul piano oggettivo. Sebbene gravasse sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate, il giudice del gravame di merito ha ritenuto in buona sostanza di astenersi sia dal reclamare l’adempimento dell’onere della prova, sia dall’interrogarsi sul contenuto di quest’ultima a fronte degli elementi indiziari prospettati dall’erario.
Il terzo motivo è infondato.
La sentenza d’appello , a prescindere dalla sua correttezza, ben lascia cogliere la propria ratio decidendi . Va, pertanto, rammentato che non sono ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.,
che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018). Questa Corte ha incisivamente affermato che ‘ In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia ‘ (Cass. n. 23940 del 2017). Nella specie, la soglia del ‘minimo costituzionale’ non è infranta.
Il quarto motivo è fondato e va accolto.
Invero, ancorché fosse stata ritualmente dedotta in costanza di giudizio, tanto da trovare adeguato ingresso nel thema decidendum , la sentenza d’appello ha omesso di valutare la questione afferente il recupero relativo alle fatture emesse nei confronti della verificata dalla RAGIONE_SOCIALE riguardanti operazioni oggettivamente inesistenti. La questione è rimasta del tutto
negletta e inevasa tanto da reclamare lo svolgimento di quell’esame cui il giudice d’appello ha finora abdicato.
Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione al primo, al secondo e al quarto motivo di ricorso, rigettata la terza censura. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia – Romagna.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo del ricorso; rigetta il terzo motivo del ricorso; cassa la sentenza d’appello , in relazione ai motivi accolti, e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Emilia – Romagna.
Così deciso in Roma, il 30/04/2025.