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Operazioni inesistenti: onere della prova e ricorso

Una società otteneva l’annullamento di un avviso di accertamento per costi legati a operazioni inesistenti. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, ma la Corte lo ha dichiarato inammissibile. Il motivo è che l’Agenzia ha contestato solo una delle due autonome motivazioni della sentenza d’appello, tralasciando quella relativa al mancato assolvimento dell’onere della prova sul vantaggio fiscale. La sentenza impugnata, quindi, pur basata su una motivazione parzialmente errata in diritto, resta valida perché sorretta da un’altra ragione non contestata.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni inesistenti: quando l’appello è inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, offre un’importante lezione processuale in materia di contenzioso tributario, in particolare sul tema delle operazioni inesistenti. La decisione evidenzia come un ricorso, pur fondato su una corretta interpretazione della legge, possa essere dichiarato inammissibile se non contesta tutte le ragioni autonome che sorreggono la sentenza impugnata. Analizziamo insieme i dettagli del caso.

I Fatti di Causa

La vicenda ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società a responsabilità limitata. L’amministrazione finanziaria contestava l’indebita deduzione di costi per circa 197.000 euro e il recupero della relativa IVA, sostenendo che tali costi derivassero da fatture per operazioni inesistenti.

Nello specifico, l’Ufficio riteneva che alcuni contratti di consulenza stipulati tra la società contribuente e un’altra ditta fossero fittizi. Le prove a sostegno di tale tesi includevano diverse anomalie: l’identità dei soggetti coinvolti, l’indeterminatezza dell’oggetto e del corrispettivo dei contratti, e l’esistenza di un più ampio sistema di sponsorizzazioni volto a creare costi fittizi.

La società contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento e ha ottenuto ragione sia in primo grado (Commissione Tributaria Provinciale) sia in secondo grado (Commissione Tributaria Regionale).

Le ragioni delle corti di merito e il ricorso per le operazioni inesistenti

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione di primo grado, ma basando la propria decisione su una duplice e distinta motivazione:

1. Errata applicazione della normativa: La CTR ha ritenuto, erroneamente secondo la Cassazione, che per negare la deducibilità dei costi fosse necessario l’effettivo esercizio dell’azione penale, circostanza non verificatasi nel caso di specie.
2. Mancato assolvimento dell’onere probatorio: La CTR ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare il “vantaggio fiscale” che sarebbe derivato dalle presunte operazioni inesistenti. Secondo i giudici d’appello, le presunzioni addotte dall’Ufficio non erano sufficienti a spostare l’onere della prova sul contribuente.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, ma ha commesso un errore strategico decisivo: ha censurato la sentenza della CTR unicamente per la violazione di legge relativa al primo punto, tralasciando completamente di contestare la seconda, autonoma, ratio decidendi.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di interesse. Il principio di diritto applicato è consolidato: quando una sentenza si fonda su una pluralità di ragioni, distinte e autonome, ciascuna delle quali è sufficiente a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile il ricorso.

In altre parole, anche se la Cassazione avesse dato ragione all’Agenzia sul primo punto (riconoscendo che l’interpretazione della CTR sull’art. 8 del d.l. 16/2012 era errata), la sentenza d’appello sarebbe comunque rimasta in piedi grazie alla seconda motivazione, quella sul mancato assolvimento dell’onere della prova, che non era stata oggetto di ricorso e quindi era passata in giudicato.

L’eventuale accoglimento del ricorso, pertanto, non avrebbe potuto portare all’annullamento della sentenza impugnata, rendendo l’impugnazione priva di scopo pratico.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale: un ricorso deve attaccare tutte le fondamenta logico-giuridiche su cui poggia la decisione che si intende riformare. Tralasciarne anche solo una, se essa è di per sé sufficiente a giustificare il dispositivo, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Per i professionisti del settore, ciò rappresenta un monito sull’importanza di un’analisi completa e attenta delle sentenze da impugnare, al fine di costruire un’impugnazione efficace e non vanificare le proprie ragioni per un vizio di impostazione.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione contesta solo una delle diverse motivazioni autonome di una sentenza?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per difetto di interesse. Se anche una sola delle motivazioni non impugnate è sufficiente a sorreggere la decisione, l’eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe comunque portare alla cassazione della sentenza, rendendo l’impugnazione inutile.

Qual era il punto centrale non contestato dall’Agenzia delle Entrate in questo caso?
L’Agenzia delle Entrate non ha contestato la parte della sentenza d’appello in cui si affermava che l’Ufficio non aveva adempiuto al proprio onere probatorio, non avendo dimostrato il vantaggio fiscale che sarebbe derivato dalle operazioni contestate. Questa motivazione è rimasta quindi valida e sufficiente a confermare la decisione.

In materia di operazioni oggettivamente inesistenti, i relativi costi sono deducibili?
No. La Corte, pur dichiarando inammissibile il ricorso per ragioni processuali, ha implicitamente confermato il principio secondo cui i costi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti (cioè mai avvenute) non possono essere dedotti, in quanto si tratta di costi fittizi. La legge (art. 8, comma 2, del d.l. 16/2012) stabilisce che tali costi non concorrono alla formazione del reddito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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