Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32386 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32386 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6133/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ORVIETO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
-intimata-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA- FIRENZE n. 913/2021 depositata il 03/08/2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre contro la sentenza della C.R.T. della Toscana, che ha rigettato l’appello avverso la sentenza la C.T.P di Siena, che aveva accolto il ricorso della RAGIONE_SOCIALE per l’annullamento dell’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2007, emesso per il recupero delle imposte dirette per maggior reddito e dell’IVA, derivanti dalla indebita deduzione di costi fittizi per euro 197.746,00, a seguito dell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, con conseguente accertamento di minori ricavi per euro 194.000,00 direttamente afferenti a tali costi.
L’Ufficio, a fondamento del recupero fiscale, assumeva che le fatture contabilizzate da RAGIONE_SOCIALE relative ad operazioni intercorse fra la società e RAGIONE_SOCIALE inerissero a prestazioni di servizi (nella specie tre contratti di consulenza), mai intervenute, aventi quale unico scopo l’ottenimento di vantaggi fiscali. Ciò era desumibile, in particolare: dalla anomalia della richiesta da parte di RAGIONE_SOCIALE, società specializzata in consulenze finanziarie, di una consulenza alla RAGIONE_SOCIALE, non solo appena costituitasi e priva di struttura, ma che avrebbe dovuto avvalersi per l’esecuzione dell’incarico della consulenza dei soci della RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e COGNOME; dall’identità dell’oggetto dei contratti stipulati fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e fra RAGIONE_SOCIALE ed i soci di RAGIONE_SOCIALE, COGNOME e COGNOME; dalla indeterminatezza del corrispettivo dovuto; dalla sussistenza di un sistema di sponsorizzazioni in favore di
società sportiva dilettantistica, volta a favorire deduzione di costi non spettanti.
La sentenza di primo grado accogliendo il ricorso della società contribuente ha ritenuto che per determinare l’indeducibilità dei costi non fosse sufficiente la trasmissione al Pubblico Ministero della notizia di reato, essendo necessaria l’attestazione dell’esercizio dell’azione penale.
La sentenza di secondo grado -preliminarmente affermata la legittimazione passiva di NOME COGNOME, amministratore e socio della RAGIONE_SOCIALE, cancellata dal Registro delle imprese, successivamente all’avviso di accertamento, in applicazione dell’art. 8 d.l. 16/2012 convertito con L. 44/2012dato atto del mancato esercizio dell’azione penale o dell’emissione del decreto che dispone il giudizio, ha confermato la sentenza di primo grado, rigettando l’appello. La decisione ha ritenuto che non fosse stato dimostrato il vantaggio fiscale derivato dalle operazioni RAGIONE_SOCIALECOGNOME–COGNOME, in quanto non integrata la prova presuntiva asseritamente posta a base degli accertamenti, altrimenti insufficienti a spostare sul contribuente l’onere probatorio’.
NOME COGNOME resiste con controricorso, con cui chiede dichiararsi inammissibile il gravame.
Con memoria depositata il 3 giugno 2024 il controricorrente ribadisce le conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’Agenzia delle Entrate formula un unico motivo di impugnazione con il quale fa valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 8 comma 2 del d.l. 16/2012, conv. con modif. dalla l. n.
44 del 2012, nonché dell’art. 109 d.P.R. 917/1986. Sostiene che dalla lettura dell’art. 8 del d.l. 16/2012 emerge come il legislatore abbia inteso distinguere fra operazioni soggettivamente inesistenti -di cui al comma 1- ed operazioni oggettivamente inesistenti riservando solo alle prime, laddove non sia esercitata l’azione penale, la deducibilità dal reddito dei relativi costi, in quanto pur sempre effettivi, disponendo, invece, per le seconde il diverso regime di cui al comma 2, in forza del quale, da un lato, i proventi relativi a operazioni oggettivamente inesistenti non possono concorrere alla formazione del reddito, dall’altro, i relativi costi non possono essere dedotti, trattandosi di costi fittizi. La portata innovativa della disposizione, infatti, consisterebbe nella previsione per cui, nell’ipotesi di operazioni oggettivamente inesistenti, non concorrono alla formazione del reddito tassabile i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni non effettivamente scambiati o prestati, nei limiti dell’ammontare delle predette spese o di altri componenti negativi non ammessi in deduzione. Diversamente la C.T.R., sulla base della considerazione che non risultava esercitata l’azione penale, applicando in modo errato il disposto dell’art. 8 cit., quanto alle operazioni oggettivamente inesistenti, aveva confermato la sentenza di primo grado.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.
2.1 Sebbene la prospettazione giuridica sottesa alla doglianza, risulti, da un lato, conforme all’interpretazione di questa Corte e dall’altro, erroneamente disattesa dalla sentenza impugnata, vi è che la mera applicazione del principio secondo cui ‘In tema di accertamento Iva e delle imposte sui redditi con riguardo ad operazioni oggettivamente inesistenti, l’applicazione dell’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, costituente ius superveniens ed avente
portata retroattiva, comporta che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese (Sez. 5, Sentenza n. 9900 del 11/04/2024; conf.: Sez. 5, Ordinanza n. 26790 del 25/11/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 19000 del 17/07/2018; Sez. 5, Sentenza n. 7896 del 20/04/2016; Sez. 5, Sentenza n. 27040 del 19/12/2014), non può condurre all’accoglimento del ricorso.
2.2 La decisione, infatti, non si regge solo sull’errata interpretazione dell’art. 8 cit., ma poggia sulla considerazione secondo la quale ‘ non è stato dimostrato il vantaggio fiscale che sarebbe derivato dalle operazioni RAGIONE_SOCIALE che, quale movente dell’intera serie di operazioni, risulta essere l’unico fatto certo sul quale fondare le presunzioni alla base degli accertamenti altrimenti insufficienti a spostare sul Contribuente l’onere probatorio ‘.
2.3 Invero, l’Agenzia delle Entrate, pur premettendo che le doglianze proposte afferiscono sia alla falsa applicazione dell’art. 8 d.l. 16/2012, che all’asserito mancato assolvimento da parte dell’Ufficio dell’onere della prova sul vantaggio fiscale conseguito dalle operazioni, non svolge poi alcuna argomentazione relativamente alla motivazione della sentenza sul secondo punto, limitandosi a censurare la decisione per la falsa applicazione dell’art. 8 d.l.16/2012.
2.4 Nondimeno, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma
motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9752 del 18/04/2017)
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi in euro 5.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00 oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024