Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5026 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 5026  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
legge n. 16 del 2012.
COGNOME
Presidente
NOME LA ROCCA
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
Ud. 1/24/01/2024 C.C. PU R.G. 7562/2017
NOME COGNOME
Consigliere – COGNOME. –
TANIA COGNOME
Consigliere
Cron. 17987/2019
R.G.N. 17987/2019
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 7562/2017 proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dal AVV_NOTAIO e  dall’AVV_NOTAIO,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, alla INDIRIZZO, giusta procura speciale a margine del ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  nella  persona  del  Direttore pro  tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  della  Commissione  tributaria  regionale  della CAMPANIA, n. 7990/16, depositata in data 20 settembre 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Caserta, con sentenza n. 1664/14/14, depositata l’11 marz o 2014, aveva accolto il ricorso presentato da COGNOME NOME, esercente l’attività di lavori generali di ingegneria, avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato rettificato il reddito d’impresa imponibile, dichiarato per l’anno di imposta 2007, da euro 46.703,00 ad euro 185.483,00, a fronte di costi non deducibili relativi ad acquisto di carburante e costi non deducibili in quanto non inerenti in relazione a spese per canoni di leasing di un’autovettura aziendale e costi indeducibili per operazioni oggettivamente inesistenti di acquisto di materiale da costruzione.
La Commissione tributaria regionale ,  adita  dall’Ufficio,  ha  accolto parzialmente l’appello ,  dichiarando legittimo il recupero a tassazione RAGIONE_SOCIALE  operazioni  inesistenti  per  euro  119.988,00,  oltre  Iva  per  euro 23.997,61.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno rilevato che l’Amministrazione finanziaria aveva fornito la prova presuntiva RAGIONE_SOCIALE operazioni oggettivamente inesistenti, dai quali era emerso che la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE (fornitrice dei materiali), che aveva iniziato la sua attività in data 2 ottobre 2006, non aveva offerto alcun riscontro alla sua concreta attività mediante le scritture contabili obbligatorie, della cui sparizione il suo titolare si era avveduto solo dopo l’invito della Guardia di Finanza, e che la stessa, pur non avendo effettuato mai alcun acquisto, risultava avere emesso le fatture in questione; era significativa, inoltre, la titolarità della società in capo a persona che non
aveva saputo fornire alcuna coerente indicazione in ordine all’attività imprenditoriale  intrapresa  e  che  non  era  neppure  consapevole  RAGIONE_SOCIALE modalità e RAGIONE_SOCIALE responsabilità derivanti dalla sua gestione.
4. La Commissione tributaria regionale ha, poi, ritenuto che le controdeduzioni dell’appellato, già in primo grado, non erano idonee a scardinare il quadro probatorio formatosi e, in particolare, che dei lavori specificamente elencati a pag. 5 e 6 del ricorso in primo grado mancavano inizialmente i contratti sicché ben difficilmente si poteva comprendere quali essi fossero e quali materiali dovessero essere usati, quale fosse l’entità dei quantitativi necessari; peraltro alcuni contratti risultavano anche di molto antecedenti all’inizio dell’attività di COGNOME NOME (avvenuta il 2 ottobre 2006); il consulente di parte aveva operato 7-8 anni dopo i fatti, sulla scorta di documenti offerti dallo NOME ed in particolare sulla scorta RAGIONE_SOCIALE fatture, effettuando una valutazione del tutto teorica e non ancorata all’effettiva modalità di svolgimento RAGIONE_SOCIALE lavorazioni; era irrilevante l’allegazione RAGIONE_SOCIALE fatture perché in ipotesi come quella in esame il profilo formale era sempre coerente, mentre era carente la correlazione tra questo e l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni fiscalmente rilevanti; dall’esame degli estratti conto risultavano dei prelevamenti di contante, ma nulla provava che detti prelevamenti fossero stati fatti per la consegna del danaro al NOME; gli assegni erano 5, tutti allegati in fotocopia, privi di data e pacificamente mai incassati e dagli estratti conto allegati non emergeva la negoziazione di detti assegni; la dichiarazione di «ricevuta e/o quietanza di pagamento» datata 1 ottobre 2008, in cui NOME NOME aveva dichiarato di aver ricevuto i pagamenti in contanti e con assegni, non aveva alcuna rilevanza probatoria, perché priva di effettivo riscontro e, anzi, contrastata dalle circostanze richiamate, e perché proveniente da soggetto, a sua volta, artefice di condotte fiscalmente (e non solo) rilevanti, il quale risultava cointeressato agli esiti di questa vicenda; infine, era pure infondata la deduzione RAGIONE_SOCIALE NOME di aver provato di
avere realmente effettuato i pagamenti e comunque di  non essere a conoscenza di eventuali condotte del RAGIONE_SOCIALE fiscalmente non regolari e, comunque, di non poterne rispondere.
NOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
L ‘RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la violazione dell’art. 111, comma sesto, Cost., dell’ art. 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992 e dell’a rt. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata non offriva alcuna reale motivazione in ordine alla inadeguatezza della prova offerta dal contribuente circa la avvenuta esecuzione RAGIONE_SOCIALE operazioni, con particolare riguardo alla perizia di parte e ai documenti posti a base della stessa, provenienti da COGNOME NOME, ai contratti di appalto e alla ditta RAGIONE_SOCIALE e specificamente alla data di inizio dell’attività e di cancellazione di quest’ultima, alla sede costituita da un terreno in evidente stato di abbandono e della denuncia di smarrimento della documentazione contabile, circostanze rispetto alle quali difficilmente il contribuente avrebbe potuto fornire la prova contraria. La sentenza impugnata, lungi dall’esaminare il contenuto dell’ampia documentazione versata in atti, formulava un generico e non circostanziato giudizio di inidoneità della stessa, opposto per esimersi dal suo concreto esame e, pur onerando il contribuente di offrire prova della effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni economiche fatturate, non offriva alcuna motivazione comprensibile e pertinente RAGIONE_SOCIALE ragioni per le quali la prova offerta dal contribuente fosse stata considerare inattendibile o insufficiente.
1.1
Il motivo è infondato.
1.2 Ed invero i giudici di secondo grado hanno affermato che i dati forniti dall’Amministrazione finanziaria (« il COGNOME NOME, come ditta, per il periodo di imposta 2006-2007 non risulta aver effettuato acquisti, ma risulta presente alla banca dati ‘cli.fo’ solo come fornitore; tuttavia nell’anno 2006 ha emesso fatture di vendita per 3.777.569,00 euro; nell’anno 2007 per euro 12.211.631,00; il NOME nullatenente, con precedenti di polizia per uso di sostanze stupefacenti, ma titolare di due conti correnti italiani ed uno nella repubblica di S. Marino, dove sono transitati notevoli importi (cfr. verbale di constatazione del 10.6.2013) – invitato a presentarsi presso il comando della guardia di Finanza in data 28.5.2013, giusta comunicazione del 26.5.2013, munito della documentazione aziendale contabile, si è presentato deducendo lo smarrimento della documentazione e di aver sporto denuncia in data 27.5.2013; la sede della ditta è posta in un terreno in palese stato di abbandono; la Guardia di finanza ha provveduto ad effettuare controlli presso gli utilizzatori RAGIONE_SOCIALE fatture, tra cui l’appellato; nell’ambito dei controlli sulla ditta appellata, come si evince dal richiamato verbale di constatazione, è emerso il medesimo fenomeno contestato anche con riguardo ad altre ditte esaminate, anch’esse cartiere »), nemmeno contestati dal contribuente, erano ampiamente presuntivi della fondatezza degli addebiti formulati e che, a fronte di ciò, le controdeduzioni dell’appellato (« di aver eseguito fra il 2006 ed il 2007 lavori previsti da vari contratti di appalto ( pubblici) per i quali erano indispensabili i materiali edili acquistati; ha allegato copie RAGIONE_SOCIALE ricevute e/o quietanze di pagamento e copia degli assegni bancari da quali emergono prelevamenti di contanti in favore della ditta RAGIONE_SOCIALE; due preventivi di altri fornitori che la ditta si era fatta rilasciare in data 5.9.2006 e 28.7.2006; visura da cui risulta la cancellazione della ditta ” RAGIONE_SOCIALE” in data 7.3.2009; perizia tecnica giurata del 4.2.2014 »), non erano idonee a scardinare il quadro probatorio formatosi, specificando che dei lavori elencati a pag. 5 e 6 del ricorso in primo grado mancavano inizialmente i contratti sicché ben difficilmente si poteva comprendere quali fossero i lavori e quali materiali dovessero essere usati, quale fosse l’entità dei quantitativi necessari e che, peraltro, alcuni contratti risultavano anche di molto antecedenti all’inizio dell’attività di COGNOME NOME (avvenuta il 2 ottobre 2006); inoltre, il consulente di parte aveva operato 7-8 anni dopo i fatti, sulla scorta di documenti offerti dallo NOME ed in particolare sulla scorta RAGIONE_SOCIALE fatture, effettuando una valutazione
del tutto teorica e non ancorata all’effettiva modalità di svolgimento RAGIONE_SOCIALE lavorazioni; era irrilevante, ancora, l’allegazione RAGIONE_SOCIALE fatture perché in ipotesi come quella in esame il profilo formale era sempre coerente, mentre era carente la correlazione tra questo e l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni fiscalmente rilevanti; dall’esame degli estratti conto risultavano dei prelevamenti di contante, ma nulla provava che detti prelevamenti fossero stati fatti per la consegna del danaro al NOME; gli assegni erano 5, tutti allegati in fotocopia, privi di data e pacificamente mai incassati (sulle fotocopie mancava il retro del titolo ed i timbri bancari, risultando, in ogni caso, assolutamente inverosimile che la data non fosse stata apposta neppure all’atto dell’incasso) e dagli estratti conto allegati non emergeva la negoziazione di detti assegni; la dichiarazione di «ricevuta e/o quietanza di pagamento» datata 1 ottobre 2008, in cui NOME aveva dichiarato di aver ricevuto i pagamenti in contanti e assegni, non aveva alcuna rilevanza probatoria, perché priva di effettivo riscontro e, anzi, contrastata dalle circostanze richiamate, e perché proveniente da soggetto, a sua volta, artefice di condotte fiscalmente (e non solo) rilevanti, il quale risultava cointeressato agli esiti di questa vicenda; infine, era pure infondata la deduzione RAGIONE_SOCIALE NOME in ordine al fatto di aver provato di avere realmente effettuato i pagamenti e comunque di non essere a conoscenza di eventuali condotte del RAGIONE_SOCIALE fiscalmente non regolari e, comunque, di non poterne rispondere.
1.3 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione 1.4 Va osservato, con la giurisprudenza di questa Corte, che, dovendo l’obbligo motivazionale ritenersi compiutamente adempiuto allorché
per mezzo della concisa esposizione RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto e di diritto della decisione venga ad essere illustrato il percorso motivazionale che ha indotto il giudice a regolare la fattispecie al suo esame mediante la norma di diritto applicata, viene al contrario meno all’obbligo in parola – e si mostra perciò viziata dal difetto di motivazione apparente o di mancanza della motivazione – la decisione nella quale « il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento » (Cass., 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., 5 agosto 2019, n. 20921; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105).
1.5 Più specificamente in base alla costante giurisprudenza di legittimità, la «motivazione apparente» ricorre allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente – come parte del documento in cui consiste la sentenza (o altro provvedimento giudiziale) – non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché esibisce argomentazioni obiettivamente inidonee a far riconoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento e, pertanto, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).
1.6 Così delineati i principi statuiti da questa Corte, la censura svolta dal motivo non appare fondata, dal momento che dalla lettura della sentenza  impugnata  risultano  chiaramente  esposte,  e  nemmeno  in forma concisa, le ragioni della decisione.
Il secondo mezzo deduce la violazione dell’art. 11 1, sesto comma, Cost., dell’art. 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. e la nullità della sentenza per irrimediabile  contraddittorietà  della  motivazione,  in  relazione  all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.., in quanto da un lato non
aveva  contestato l’effettiva  esecuzione  dei  lavori  pubblici  eseguiti nell’anno 2007 dal contribuente e l’esclusivo acquisto dei materiali dalla ditta RAGIONE_SOCIALE, dall’altro aveva considerato oggettivamente inesistenti le uniche operazioni di acquisto dei materiali impiegati.
2.1 In disparte la circostanza che la contraddittorietà denunciata non emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, avendo i giudici di  secondo  grado  rilevato  che  da  un  lato  mancavano  i  contratti  e, dunque, non si comprendeva quali lavori fossero stati eseguiti e quali materiali dovessero essere usati e dall’altro che alcuni contratti erano di  molto  antecedenti  all’inizio  dell’attività  svolta  da  NOME  NOME,  i l motivo è, comunque,  inammissibile.
2.2 E difatti, in relazione al denunciato vizio motivazionale, lo stesso ricorrente fa riferimento ad una nozione di tale vizio (in termini di «contraddittoria motivazione») non più riconducibile ad alcuna RAGIONE_SOCIALE ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (nella formulazione disposta dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis ), atteso che tale mezzo di impugnazione può concernere esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, e postula l’esatto adempimento degli specifici oneri di allegazione sanciti da Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053, qui, invece, rimasti assolutamente inosservati.
Il terzo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per avere omesso la Commissione tributaria regionale di applicare alla fattispecie in esame la norma di cui all’art. 8, comma 2, del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012. Il contribuente  aveva  sollevato,  sin  dal  primo  grado  di  giudizio,  la questione della violazione del principio di capacità contributiva
generato dalla contemporanea tassazione dei ricavi afferenti a spese per materiali considerate indeducibili.
Il quarto mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8,  comma  2,  del  decreto  legge  n.  16  del  2012,  convertito  con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, nonché dell’art. 53 Cost. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la Commissione tributaria regionale applicato alla presente fattispecie la  suddetta  norma,  che  era  applicabile,  ove  più  favorevole,  anche retroattivamente.
4.1 Il  terzo  e  il  quarto  motivo,  in  quanto  connessi,  possono  essere trattati congiuntamente e sono infondati.
4.2 Deve in primo luogo rilevarsi che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, anteriormente all’entrata in vigore dell’art. 8 del decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 44 del 2012, sia in materia di accertamento dell’I.V.A., che RAGIONE_SOCIALE imposte dei redditi, qualora l’Amministrazione, ritenendo fittizia -oggettivamente o soggettivamente -un’operazione di acquisto, ne avesse recuperato a tassazione i relativi costi, non avrebbe dovuto correlativamente ridurre i ricavi, non sussistendo alcun automatismo tra la ritenuta fittizietà dell’operazione e tale riduzione; l’Amministrazione non aveva pertanto l’obbligo di escludere, in proporzione, i ricavi esposti dallo stesso contribuente, né era tenuta ad accertare la dichiarazione nella sua interezza, potendo limitarsi ad analizzare l’esistenza dei costi dichiarati (cfr. Cass., 2 marzo 2012, n. 3267).
4.3 L’art.  8,  comma  2,  del  decreto  legge,  citato,  costituente ius superveniens , applicabile alla  presente  controversia  in  forza  del successivo  comma  3,  avendo  il  ricorrente  prospettato  la  questione nell’atto di appello, come, nel rispetto del principio di autosufficienza, emerge dalle pagine 16 -20  del  ricorso  per  cassazione  (cfr.  anche Cass., 21 marzo 2023, n. 8133, secondo cui « l’applicazione RAGIONE_SOCIALE “ius
superveniens” di cui all’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 44 del 2012, si estende anche a rapporti antecedenti al d.l. e non ancora esauriti, ma non opera nei giudizi in corso indiscriminatamente, dovendo essere coordinata con i principi che regolano l’onere della tempestiva introduzione della questione nel ricorso introduttivo, dell’impugnazione e RAGIONE_SOCIALE relative preclusioni, con la conseguenza che la sua operatività trova ostacolo nel giudicato interno formatosi in relazioni alle questioni, sulla decisione RAGIONE_SOCIALE quali avrebbe dovuto incidere la normativa sopravvenuta, e nella conseguente inesistenza di controversie in atto sui relativi punto ») ha stabilito, con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, che i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione RAGIONE_SOCIALE predette spese (Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915; Cass., 20 aprile 2016, n. 7896; Cass., 19 dicembre 2014, n. 27040; Cass., 20 novembre 2013, n. 25967, le ultime due richiamate anche dal ricorrente), salva l’applicazione di una sanzione (Cass., 21 agosto 2023, n. 24880).
4.4 In siffatte ipotesi grava sul contribuente l’onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell’accertamento concorso alla formazione del reddito, siano anch’essi fittizi, perché ricavi «correlati», ossia direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati (Cass., 20 novembre 2013, n. 25967 e più di recente, Cass., 21 agosto 2023, n. 24880; Cass., 19 dicembre 2019, n. 33915, citate, e Cass., 17 luglio 2018, n. 19000).
4.5 Orbene, nel caso in esame,  il ricorrente ha contestato gli elementi presuntivi  acquisiti  dall’Ufficio,  che  hanno  consentito  di  dedurre  che l’impresa avesse contabilizzato operazioni mai compiute  elementi che sono stati poi recepiti e posti dai giudici di appello a fondamento
del decisum -, e, in sede di giudizio di merito, ha sempre dedotto di avere ampiamente dimostrato l’effettiva realizzazione dei lavori di costruzione sottesi alle fatture di cui è stata accertata la fittizietà, e, pertanto, non può ritenersi che abbia offerto prova della fittizietà dei relativi ricavi conseguiti, cosicché deve escludersi la violazione sia della norma costituzionale richiamata (art. 53 Cost.), che garantisce la corretta corrispondenza dell’imposta all’imponibile effettivo, sia RAGIONE_SOCIALE ius superveniens invocato.
4.6 Per quanto detto, non sussiste il vizio di omessa pronuncia, in quanto il giudice del gravame avendo accertato, sulla base degli elementi presuntivi offerti dall’Amministrazione finanziaria, che le operazioni di acquisto dei materiali dalla ditta RAGIONE_SOCIALE erano oggettivamente inesistenti e che il contribuente non aveva offerto la prova che le operazioni oggetto di accertamento fossero state realmente eseguite, ha ritenuto, in tal modo, non provato dal contribuente che i ricavi fittizi da espungere fossero «corrispondenti» agli acquisti derivanti dalle operazioni inesistenti.
4.7 Ed invero, in materia di operazioni inesistenti, ove il giudice abbia escluso la deducibilità dei costi a valle dell’accertamento dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni, deve ritenersi che lo stesso non abbia indagato circa il fatto che i costi fossero o meno deducibili in ragione della sussistenza dei requisiti di effettività e inerenza, ma abbia legittimamente tratto il convincimento negativo quale diretta conseguenza dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni che li avrebbero generati (Cass., 8 febbraio 2023, n. 3835).
Il  quinto  mezzo  deduce l’omesso  esame  di  un  fatto  decisivo costituito dalla mancata contestazione, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ.,  dei  pagamenti  eseguiti  in  favore  della  ditta  RAGIONE_SOCIALE,  in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. Il fatto storico il  cui  esame  era  stato  omesso  era  costituito  dalla  prova  offerta  dal contribuente in ordine al pagamento RAGIONE_SOCIALE fatture di acquisto avvenuto,
sia  pure limitatamente ad euro 81.255,66, mediante cinque assegni bancari, e, per la restante parte, in contanti.
5.1 Il motivo è inammissibile.
5.2 Anche questa censura esula dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053).
5.3 Ne deriva che il mancato esame di elementi istruttori non integra di per sé il fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato  comunque  preso  in  considerazione  dal  giudice,  ancorché  la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
5.4 Inoltre, il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza RAGIONE_SOCIALE prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511); né la Corte di cassazione può procedere ad un’autonoma valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze degli atti di causa (Cass., 7 gennaio 2014, n. 91; Cass., Sez. U., 25 ottobre 2013, n. 24148).
5.5 Va anche rilevato che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla  valutazione  di documenti  (cfr.  Cass.,  5  marzo  2020,  n.  6172;
Cass., 15 novembre 2021, n. 35037), ovvero la non contestazione non può riguardare, come nel caso in esame, prima ancora che, comunque inammissibilmente, documenti (cfr. Cass., 21 giugno 2016, n. 12748), una  conclusione  ricostruttiva  concernente,  pertanto,  la  valutazione degli  stessi  (cfr.  anche  Cass.,  21  dicembre  2017,  n.    30744),  che compete esclusivamente al giudice di merito .
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato  al  pagamento  RAGIONE_SOCIALE  spese  processuali,  sostenute  dalla RAGIONE_SOCIALE  controricorrente  e  liquidate  come  in  dispositivo,  nonché  al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e  condanna il ricorrente al pagamento, in favore  della  RAGIONE_SOCIALE  controricorrente,  RAGIONE_SOCIALE  spese  del  giudizio  di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 quater, del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 24 gennaio 2024.