Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31906 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 31906 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
Sul ricorso n. 28018-2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cf. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio della dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME GorettiRicorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis – controricorrente
Avverso la sentenza n. 208/02/2016 della Commissione tributaria regionale del l’Umbria , depositata il 28 aprile 2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME sentito il P.G., nella persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
IVA -Operazioni. oggettivamente inesistenti
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che l ‘Agenzia delle entrate notificò alla società 6 avvisi d’accertamento, relativi agli anni d’imposta 2005/2010, con i quali contestò l’indetraibilità dell’iva per fatture d’acquisto di servizi forniti da due ditte individuali, la ‘RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME‘ e la ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME Giampiero’, che in realtà mascheravano operazioni oggettivamente inesistenti.
Gli atti, notificati in due momenti diversi, furono impugnati dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Perugia, che con sentenza n. 131/08/2013 rigettò i ricorsi. La Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con sentenza n. 208/02/2016, confermò le statuizioni di primo grado.
Il giudice d’appello ha esaminato tutti gli elementi allegati dall’amministrazione finanziaria, quali le dichiarazioni res e in sede penale dai titolari delle ditte fornitrici, in ordine all ‘ inesistenza delle operazioni fatturate, e dallo stesso amministratore della RAGIONE_SOCIALE nonché gli ulteriori indizi raccolti in sede di verifica a sostegno della oggettiva inesistenza dei servizi fatturati (costi sostenuti dalle imprese fornitrici esigui rispetto alle operazioni economiche fatturate alla odierna ricorrente, dichiarazioni fiscali omesse da parte dei fornitori; incompatibilità delle attività concretamente esercitate dai fornitori con la qualità e complessità dei servizi fatturati alla PSGR; modalità di pagamento delle fatture prive di tracciabilità perché eseguite in contanti; rilevazione della condotta antieconomica della società desumibile dalla elevata percentuale dei costi a fronte dei ricavi conseguiti; assenza di riscontri documentali dei progetti, di elevato livello tecnicoscientifico, a conforto dell ‘ esistenza ed effettività dei servizi professionali resi). Il giudice regionale ha inoltre preso posizione sulle ulteriori ragioni e difese addotte dalla contribuente. Ha dunque concluso per il rigetto dell’appello, che non scalfiva le motivazioni del giudice di primo grado né le prove presuntive raccolte in sede di verifica dall’Agenzia delle entrate.
Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso l’ufficio.
All’esito d ell ‘udienza pubblica del 28 maggio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ha denunciato la «violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3; mancata notifica a uno dei difensori dell’avviso di trattazione dell’udienza; violazione dell’art. 24 della Costituzione; violazione dell’art. 16 D.Lgs . 546 del 31.12.1992».
Con esso si afferma che, nonostante nella iscrizione a ruolo della causa fossero indicati due distinti difensori, l’avviso di trattazione è stato comunicato ad uno solo di essi, e peraltro, per un disguido tecnico, neppure questi avrebbe letto l’avviso, così che la causa era stata trattata in assenza dei difensori.
Il motivo è privo di pregio.
Questa Corte ha chiarito che la nomina di una pluralità di procuratori, ancorché non espressamente prevista nel processo civile, è certamente consentita, non ostandovi alcuna disposizione di legge e fermo restando il carattere unitario della difesa; tuttavia, detta rappresentanza tecnica, indipendentemente dal fatto che sia congiuntiva o disgiuntiva, esplica nel lato passivo i suoi pieni effetti rispetto a ciascuno dei nominati procuratori, mentre l’eventuale carattere congiuntivo del mandato professionale opera soltanto nei rapporti tra la parte ed il singolo procuratore, onerato verso la prima dell’obbligo di informare l’altro o gli altri procuratori. Ne consegue la sufficienza della comunicazione ex art. 377 cod. proc. civ. ad uno solo dei procuratori costituiti (Sez. U, 9 giugno 2014, n. 12924; 21 novembre 2022, n. 34260; Sez. T., 31 agosto 2017, n. 20626).
Quanto alla lamentata mancata lettura dell’avviso di trattazione da parte dell’altro difensore, per un ‘disguido tecnico’, il motivo è privo di specificità e peraltro, per quel che risulta comprensibile (l’essersi trovato il difensore con le ‘pec aperte’ e non essersi avveduto della ‘scadenza processuale’), evidenzia una carenza della propria struttura organizzativa, che non può incidere in alcun modo sulla validità della comunicazione dell’avviso di trattazione della causa.
Con il secondo motivo si denuncia la «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3; violazione dell’art. 132 c.p.c. per carenza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione; insussistenza dei presupposti per l’ammissione di presun zioni semplici ex
art. 2727 c.c. e seg.ti». La sentenza sarebbe errata con riguardo alla valutazione delle prove in generale.
Con il terzo motivo si duole della «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3; violazione dell’art. 132 c.p.c. per carenza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione; insussistenza dei presupposti per l’ammissione di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. e seg.ti». La sentenza sarebbe errata anche con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni dei titolari delle società fornitrici.
Con il quarto motivo lamenta «violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3; violazione dell’art. 132 c.p.c. per carenza delle ragioni di fatto e di diritto poste a base della decisione; insussistenza dei presupposti per l’amm issione di presunzioni semplici ex art. 2727 c.c. e seg.ti». La Commissione regionale avrebbe erroneamente valutato le varie prove esaminate.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, perché connessi. Essi si rivolgono all’attività di valutazione e ponderazione delle allegazioni probatorie confluite nel processo.
Premesso che dal contenuto della decisione emerge senza equivoci interpretativi che l’Amministrazione finanziaria abbia contestato il compimento di operazioni oggettivamente inesistenti, sul tema la giurisprudenza ha ritenuto che l’ufficio, che contesti al contribuente l’indebita detrazione, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo.
Una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, offrire la controprova dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione di fatture, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati
proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia ( ex multis , Cass., 13 marzo 2013, n. 6229; 14 settembre 2016, n. 18118; 18 ottobre 2021, n. 28628).
Quanto alla denuncia di malgoverno delle prove presuntive, sulle modalità del loro utilizzo ed in particolare sulla valorizzazione del quadro indiziario, deve innanzitutto ribadirsi che compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729 cod. civ. alla fattispecie concreta, poiché se è devoluto al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ. per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass., 26 gennaio 2007, n. 1715; 5 maggio 2017, n. 10973; 15 novembre 2021, n. 34248; cfr. anche, 13 ottobre 2005, n. 19984). Peraltro, ai fin i dell’utilizzo degli indizi, mentre la gravità, precisione e concordanza degli stessi permette di acquisire una prova presuntiva, che, anche sola, è sufficiente nel processo tributario a sostenere i fatti fiscalmente rilevanti accertati dalla amministrazione (Cass., 8 aprile 2009, n. 8484; 15 gennaio 2014, n. 656; 26 settembre 2018, n. 23153; 28 aprile 2021, n. 11162), quando manca tale convergenza qualificante è necessario disporre di ulteriori elementi per la costituzione della prova.
La giurisprudenza di legittimità ha comunque tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorché preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento ( ex multis , cfr. Cass., 16 maggio 2017, n. 12002; 12 aprile 2018, n. 9059; 25 ottobre 2019, n. 27410). Ciò
che pertanto rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità,
non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.
Nel caso di specie il giudice regionale, dopo aver apprezzato e condiviso le argomentazioni logiche utilizzate dal giudice di primo grado nella valutazione del materiale probatorio allegato al processo, ha esso stesso proceduto ad una dettagliata analisi del medesimo.
Nello svolgimento di tale attività valutativa ed interpretativa ha analiticamente riportato tutti gli elementi indiziari, su cui era stata fondata la verifica dell’oggettiva inesistenza delle prestazioni fatturate, ossia le dichiarazioni raccolte dai soggetti emittenti le fatture, dalle quali risultava la inesistenza dei lavori descritti nei suddetti documenti, le dichiarazioni rese dallo stesso amministratore della società ricorrente, ed in particolare le sue ammissioni di falsità della documentazione fiscale, così come raccolte in sede penale, le incongruità emerse tra le attività fatturate e la capacità degli esecutori delle prestazioni fatturate ad eseguire le prestazioni medesime, le modalità di pagamento delle prestazioni, sempre in contanti, e altro ancora.
Ebbene, a fronte della dettagliata valutazione operata dalla Commissione regionale, le critiche mosse dalla ricorrente alla sentenza impingono nel merito, traducendosi dunque nel tentativo di riesaminare nel merito il materiale probatorio, ciò che si rivela del tutto inammissibile in sede di legittimità. Né, per quanto evidenziato, la sentenza può essere attaccata per errori materiali, o per incongruenze logiche del tessuto argomentativo.
Il giudice dunque, al contrario di quanto prospettato dalla difesa della società, nello sviluppo del procedimento logico-argomentativo ha rispettato i principi di diritto che questa Corte ha elaborato in materia, così che i motivi vanno rigettati.
Con il quinto motivo si denuncia la «violazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione del diritto di difesa, ex art. 24 Costituzione per il fatto oggettivo, conosciuto dalla P.A., dell’indisponibilità (per intervenuto sequestro penale) della documentazione contabile con cui poter svolgere una difesa contro le pretese impositive dell’Amministrazione finanziaria» .
Anche questo motivo va disatteso, poiché, per quanto già detto, esso si infrange nella considerazione e nella constatazione che il giudice d’appello
RGN 28018/2016 Consigliere est. NOME
ha ampiamente esaminato tutto il materiale probatorio, di per sé più che esaustivo per la valutazione dei fatti e delle questioni sottoposte al suo vaglio.
Il ricorso va in conclusione rigettato e all’esito del giudizio segue la soccombenza della ricorrente nelle spese di causa, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 20.000,00 per competenze, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 28 maggio 2024