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Operazioni inesistenti: onere della prova e presunzioni

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 17235/2025, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo i principi sull’onere della prova in caso di operazioni inesistenti. L’Amministrazione finanziaria può basarsi su presunzioni, come la mancanza di una struttura aziendale del fornitore, per contestare la deducibilità dei costi e la detraibilità dell’IVA. Spetta poi al contribuente fornire una prova concreta dell’effettiva esecuzione delle prestazioni, non essendo sufficiente la sola esibizione delle fatture o la regolarità formale delle scritture contabili. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva erroneamente ritenuto sufficiente la documentazione formale, rinviando il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 6 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova e il Valore delle Presunzioni

La gestione fiscale di un’azienda richiede massima attenzione, specialmente per quanto riguarda la deducibilità dei costi e la detrazione dell’IVA. Un tema cruciale è quello delle operazioni inesistenti, una pratica fraudolenta che il Fisco contrasta con determinazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un aspetto fondamentale: come si distribuisce l’onere della prova tra Fisco e contribuente e quale valore hanno le presunzioni per dimostrare la fittizietà di una prestazione.

I Fatti di Causa

Una società di servizi si vedeva recapitare due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito imponibile e l’IVA per due annualità. La contestazione era grave: l’Ufficio riteneva che la società avesse indebitamente dedotto costi e detratto l’IVA relativi a fatture emesse da due ditte fornitrici per operazioni oggettivamente inesistenti. Secondo l’ente erariale, queste ditte non avevano la struttura organizzativa (personale, mezzi, locali) per eseguire le prestazioni fatturate.

La Commissione Tributaria di primo grado accoglieva il ricorso della società. Anche la Commissione Tributaria di secondo grado confermava la decisione, respingendo l’appello dell’Agenzia. I giudici di merito ritenevano che l’effettività delle operazioni fosse provata dal fatto che i lavori, oggetto di un contratto di appalto con enti pubblici, erano stati eseguiti e che la contribuente aveva prodotto le fatture di ricarico emesse verso tali enti.

I Motivi del Ricorso dell’Agenzia delle Entrate

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il proprio ricorso su due motivi principali:

1. Violazione di legge sull’onere della prova (Error in iudicando): L’Ufficio lamentava che i giudici di merito avessero sbagliato nel non riconoscere che la prova di operazioni inesistenti potesse essere fornita tramite presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa dei fornitori. Di conseguenza, sarebbe spettato al contribuente fornire una prova contraria rigorosa, non limitata alla mera esibizione di fatture.

2. Nullità della sentenza per omissione di pronuncia (Error in procedendo): L’Agenzia sosteneva che la sentenza d’appello fosse nulla perché i giudici non si erano pronunciati sulla specifica censura relativa all’inesistenza delle operazioni intercorse con una delle due ditte fornitrici.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondati entrambi i motivi, cassando la sentenza impugnata e chiarendo principi fondamentali in materia di prova delle operazioni inesistenti.

L’onere della prova nelle operazioni inesistenti

La Cassazione ribadisce un principio consolidato: in tema di IVA e imposte dirette, l’onere di provare l’esistenza di operazioni oggettivamente inesistenti grava sull’Amministrazione finanziaria. Tuttavia, questa prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. L’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale) del presunto fornitore è un elemento presuntivo chiave che può far ritenere fittizia l’operazione.

Una volta che l’Ufficio ha fornito tali elementi, la palla passa al contribuente. Quest’ultimo ha l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. La Corte chiarisce che, per assolvere a tale onere, non è sufficiente:

* Esibire la fattura.
* Dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili.
* Provare l’avvenuto pagamento.

Questi elementi, infatti, sono spesso utilizzati proprio per creare un’apparenza di realtà in un’operazione fittizia. I giudici di legittimità hanno criticato l’argomentazione della corte territoriale, secondo cui la prova derivava dal fatto che gli enti pubblici committenti avessero certamente verificato i lavori prima di pagare. Questo, secondo la Cassazione, non prova che le prestazioni subappaltate siano state effettivamente eseguite dalle ditte contestate, che risultavano prive di qualsiasi organizzazione.

L’Omissione di Pronuncia

La Corte ha inoltre accolto il secondo motivo, confermando che la mancanza di motivazione su uno specifico punto dell’appello costituisce una violazione delle norme procedurali. La sentenza è nulla quando omette completamente di valutare una censura sollevata da una delle parti, come nel caso delle operazioni relative alla seconda ditta fornitrice. Questa anomalia procedurale, definita “mancanza assoluta di motivi”, impone l’annullamento della decisione.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un importante monito per le imprese. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e ha rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame, che dovrà attenersi ai principi enunciati. Le implicazioni pratiche sono chiare: per poter legittimamente dedurre un costo e detrarre la relativa IVA, non basta avere in mano una fattura formalmente corretta. È indispensabile essere in grado di dimostrare, con prove concrete e sostanziali, che la prestazione è stata effettivamente eseguita dal soggetto che ha emesso il documento. Questo implica una maggiore attenzione nella scelta e nel controllo dei propri fornitori e la necessità di conservare documentazione idonea a provare la realtà delle transazioni commerciali.

Come può l’Agenzia delle Entrate provare che le operazioni commerciali sono inesistenti?
L’Agenzia delle Entrate può utilizzare presunzioni semplici, come dimostrare che il fornitore manca di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze) per eseguire le prestazioni fatturate. Questo elemento è sufficiente per invertire l’onere della prova sul contribuente.

È sufficiente presentare la fattura e la prova del pagamento per dimostrare che un’operazione è avvenuta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la sola esibizione della fattura, la regolarità formale delle scritture contabili o la prova dei pagamenti non sono sufficienti a dimostrare l’effettività dell’operazione, poiché questi elementi vengono di regola utilizzati proprio per mascherare operazioni fittizie. Il contribuente deve fornire prove concrete e sostanziali dell’avvenuta esecuzione della prestazione.

Cosa succede se un giudice non si pronuncia su uno dei motivi di appello?
Se un giudice omette di valutare e decidere su uno specifico motivo di ricorso sollevato da una parte, la sentenza è affetta dal vizio di ‘omissione di pronuncia’. Tale vizio ne determina la nullità, come stabilito dall’art. 360, primo comma, n. 4, del codice di procedura civile, e la causa deve essere riesaminata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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