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Operazioni inesistenti: onere della prova e motivazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30028/2025, ha rigettato il ricorso di una società del settore abbigliamento, confermando gli avvisi di accertamento per operazioni inesistenti. La Corte ha ribadito che l’Amministrazione finanziaria può provare la fittizietà delle operazioni tramite presunzioni semplici, e spetta poi al contribuente fornire la prova contraria dell’effettività delle transazioni, non essendo sufficiente la sola esibizione delle fatture. È stato inoltre chiarito che l’avviso di accertamento è validamente motivato anche se non allega atti esterni, purché contenga elementi sufficienti a far comprendere le ragioni della pretesa.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione sull’Onere della Prova e la Motivazione degli Atti

In materia fiscale, la contestazione di operazioni inesistenti rappresenta una delle sfide più complesse per i contribuenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti su due aspetti cruciali: la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente e i requisiti di validità della motivazione degli avvisi di accertamento. La decisione conferma un orientamento consolidato, sottolineando come la prova dell’Amministrazione finanziaria possa basarsi su presunzioni, mentre al contribuente spetta dimostrare l’effettiva realtà delle transazioni.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata, operante nel settore della vendita al dettaglio di abbigliamento, accessori e calzature. L’Agenzia delle Entrate aveva emesso due avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2014 e 2015, contestando l’indebita detrazione di IVA e deduzione di costi relativi a fatture per acquisti di merce, ritenute documentare operazioni inesistenti.

Secondo l’Amministrazione finanziaria, i fornitori della società presentavano le caratteristiche tipiche delle cosiddette ‘cartiere’, ovvero società create al solo scopo di emettere fatture false. Tra gli indizi raccolti figuravano: la breve durata della loro attività, l’elevato volume d’affari realizzato in pochissimo tempo, l’assenza di una reale struttura operativa (immobili, dipendenti, automezzi) e l’omissione degli obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte.

La società contribuente ha impugnato gli atti, ma sia in primo che in secondo grado i giudici tributari hanno dato ragione al Fisco. La Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha evidenziato che, a fronte di un quadro indiziario ‘ampio, preciso e concordante’ fornito dall’Ufficio, la società non aveva offerto alcuna prova ‘adeguata e convincente’ dell’effettività delle operazioni contestate. Di qui il ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso della società, condannandola al pagamento delle spese processuali. La decisione si fonda sull’analisi di due motivi di ricorso, entrambi ritenuti infondati.

Il primo motivo riguardava un presunto vizio di motivazione degli avvisi di accertamento. La società sosteneva che l’Agenzia avesse omesso di allegare agli atti impositivi i documenti in essi richiamati, in particolare una segnalazione proveniente da un’altra Direzione Provinciale. Il secondo motivo, invece, contestava la violazione delle regole sull’onere della prova, asserendo che l’Amministrazione non avesse adeguatamente dimostrato i fatti posti a fondamento della propria pretesa.

Analisi delle Motivazioni

La Corte ha smontato entrambe le argomentazioni della ricorrente con un ragionamento lineare e conforme alla giurisprudenza consolidata.

La Validità della Motivazione dell’Atto Impositivo

Sul primo punto, i giudici hanno chiarito che l’accertamento non si basava esclusivamente sulla segnalazione esterna, ma su una serie di elementi autonomamente raccolti e valutati dall’Ufficio, come i dati reperiti dall’applicativo ‘spesometro’ e dall’anagrafe tributaria. Questi elementi, espressamente elencati negli avvisi, erano di per sé sufficienti a sostenere la pretesa fiscale. La Cassazione ha quindi ribadito un principio fondamentale: nel processo tributario, ai fini della validità dell’avviso, non è determinante l’omessa allegazione di un documento se la motivazione, anche se ‘per relationem’ (cioè per rinvio ad altro atto), è comunque sufficiente a permettere al contribuente di comprendere le ragioni dell’accertamento e di esercitare il proprio diritto di difesa. Si deve distinguere il piano della motivazione dell’atto da quello della prova della pretesa.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha ripercorso le regole che governano la ripartizione dell’onere probatorio. In caso di contestazione di operazioni inesistenti, spetta all’Amministrazione finanziaria fornire la prova della fittizietà delle transazioni. Tuttavia, tale prova può essere assolta anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.

Una volta che il Fisco ha fornito questo quadro indiziario (come nel caso di specie, dimostrando la natura di ‘cartiere’ dei fornitori), l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni, e non può farlo limitandosi a esibire le fatture o i mezzi di pagamento. Infatti, la Corte sottolinea che questi documenti formali sono tipicamente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Il contribuente deve quindi fornire prove concrete e sostanziali, come documenti di trasporto, prova della consegna della merce, corrispondenza commerciale, e qualsiasi altro elemento idoneo a dimostrare che la transazione è realmente avvenuta.

La Corte ha anche precisato che la recente modifica normativa (art. 7, comma 5-bis, del d.lgs. 546/92) non ha mutato queste regole, confermando che il ricorso alle presunzioni semplici rimane uno strumento legittimo per l’accertamento fiscale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida due principi cardine del diritto tributario in materia di accertamento. In primo luogo, la motivazione di un avviso è salva se, pur rinviando ad atti esterni non allegati, fornisce al contribuente tutti gli elementi necessari per difendersi. In secondo luogo, e con maggiore impatto pratico, viene confermata la dinamica probatoria nelle controversie su operazioni inesistenti: il Fisco può basarsi su un solido castello di indizi, mentre il contribuente ha il gravoso compito di fornire la prova positiva e sostanziale della realtà degli scambi commerciali contestati. Questa decisione serve da monito per le imprese sull’importanza di mantenere una documentazione completa e robusta a supporto di ogni singola operazione commerciale, specialmente quando si intrattengono rapporti con fornitori nuovi o poco conosciuti.

Chi deve provare l’esistenza di operazioni commerciali se l’Agenzia delle Entrate le contesta come inesistenti?
Inizialmente, spetta all’Amministrazione finanziaria fornire la prova, anche tramite presunzioni semplici, che le operazioni sono inesistenti. Una volta fornita questa prova indiziaria, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni.

È sufficiente esibire fatture e mezzi di pagamento per dimostrare che un’operazione contestata è reale?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura o la prova della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non sono sufficienti, poiché questi elementi vengono di regola utilizzati proprio per mascherare l’operazione fittizia. Il contribuente deve fornire prove concrete dell’effettività della transazione.

Un avviso di accertamento è valido se richiama un altro atto non allegato?
Sì, può essere valido. La Corte ha stabilito che l’omessa allegazione di un documento richiamato non invalida l’avviso di accertamento se la motivazione, nel suo complesso, è comunque sufficiente a far comprendere al contribuente le ragioni della pretesa fiscale e a consentirgli di esercitare il proprio diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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