Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9631 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9631 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7576/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
CORIV2
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA CAMPANIA n. 508/2023 depositata il 16/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania ( hinc: CGT), con sentenza n. 508/2023 depositata in data 16/01/2023, ha rigettato gli appelli proposti da:
RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza n. 1724/2021, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2015, con il quale era s tata determinata una maggiore imposta di Euro 6.600 ai fini IVA, di Euro 480,00 a fini I.R.E.S., oltre a Euro 8.250,00 più interessi e addizionali per sanzioni. L’atto impositivo costituiva l’esito di una verifica eseguita nei confronti di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dalla quale era emerso che la società RAGIONE_SOCIALE nell’anno d’imposta 2015, aveva usato una fattura per un’operazione inesistente emessa dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per l’importo di Euro 30.000, con riferimento a lavori eseguiti presso il cantiere sito in Vairano Patenora (CE). Ad avviso dell’ufficio si trattava di operazione inesistente, in quanto RAGIONE_SOCIALE non aveva un numero adeguato di personale tale da poter eseguire autonomamente i lavori edili fatturati nel corso degli anni ai propri clienti. Difatti, proprio nel 2015, a seguito di ripetute assunzioni e licenziamenti, aveva avuto una media stabile di circa uno o due dipendenti a fronte di un volume d’affari di Euro 1.820.460;
NOME COGNOME contro la sentenza n. 1991/2021, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento, con il quale veniva rideterminato il reddito imponibile pari a Euro 25.279 (di cui Euro 7.458 per reddito di capitali ed Euro 17.821,00 per reddito di pensione), oltre a Euro 1.697,00 per sanzioni . Con l’avviso di accertamento impugnato era stato determinato nei confronti del sig. COGNOME -in relazione alla quota di capitale, pari al 50%,
posseduta in RAGIONE_SOCIALE – un reddito di capitale pari a Euro 7.458,99 ai fini IRPEF per l’esercizio 2015, in conseguenza del maggior reddito di impresa di Euro 30.000 determinato a carico della società (v. supra, sub 1);
3) NOME COGNOME contro la sentenza n. 1992/2021 , con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta aveva respinto il ricorso proposto dal contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale veniva determinato un reddito imponibile pari a Euro 21.524 (di cui Euro 7.458 per reddito di capitale ed Euro 17.821 per reddito di pensione), con la contestuale irrogazione di sanzioni per Euro 1.063,87. Con l ‘avviso di accertamento impugnato l’Agenzia delle Entrate aveva determinato nei confronti del sig. COGNOME un reddito di capitale di Euro 7.458,99 ai fini IRPEF, per l’esercizio 2015, in relazione alla quota di capitale del 50% posseduta nella società RAGIONE_SOCIALE con riferimento all’avviso di accertamento emesso nei confronti di quest’ultima, indicato, supra , sub 1.
2. La CGT ha ritenuto fondati i motivi di appello proposti dalla società, evidenziando come l’opera cui si riferiva la fattura contestata dall’amministrazione finanziaria – riguardava un lavoro di ristrutturazione del Centro di Riabilitazione e Terapia Fisica della società RAGIONE_SOCIALE ed era stata correttamente fatturata dalla RAGIONE_SOCIALE alla committente, con inserimento nelle scritture contabili e relativi pagamenti. Una piccola quota di lavori era stata, tuttavia, subappaltata alla società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Il giudice di secondo grado rileva che dalla documentazione prodotta alla società -e in particolare dal contratto di subappalto -risultava che i lavori subappaltati alla RAGIONE_SOCIALE -pari all’imponibile complessivo di Euro 30.000 -erano di rilievo esiguo e, pertanto, sopportabili dalla subappaltatrice, nonostante l’esiguo numero di personale.
Una volta annullato l’atto presupposto i.e. l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società in relazione all’anno d’imposta 2015 dovevano essere riformate anche le sentenze di primo grado emesse nei confronti dei soci e, conseguentemente, dovevano essere annullati anche gli avvisi di accertamento emessi nei confronti di questi ultimi.
La sentenza è stata notificata all’Agenzia delle Entrate in data 19/01/2023.
Con atto notificato a mezzo pec in data 20/03/2023 è l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi. 6. La parte intimata non si è costituita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 c.p.c., in relazione anche al l’art. art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. 31/12/1992, n. 546.
1.1. La ricorrente censura la motivazione della sentenza impugnata, evidenziando che la decisione si fonda su una motivazione meramente apparente, non avendo i giudici di secondo grado esaminato, neppure sommariamente, gli elementi addotti dall’ufficio ai fini dell’assolvimento al proprio onere probatorio e non avendo spiegato l’iter logico giudico seguito per addivenire alla propria decisione. Le succinte affermazioni contenute nella motivazione della sentenza non spiegano le ragioni in base alle quali i giudici di secondo grado hanno ritenuto di ‘superare’ gli analitici rilievi evidenziati dall’Ufficio nelle proprie difese, con conseguente nullità della decisione.
1.2. Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza,
denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da tale vizio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello perché tardivo, senza indicare la documentazione esaminata e la valenza probatoria della stessa ai fini della decisione assunta). » (Cass., 23/05/2019, n. 13977).
La motivazione apparente deve essere distinta dalla motivazione sintetica, dal momento che nel primo caso, a differenza del secondo, resta totalmente oscuro e impenetrabile l’iter argomentativo che ha condotto il giudice a un determinato risultato decisorio. A tal fine non basta che la decisione e le argomentazioni poste a suo fondamento non siano condivise dalla parte soccombente, essendo sufficiente che il giudice indichi le ragioni e gli elementi ritenuti dirimenti -sul piano probatorio e in esito a una valutazione comparativa delle prove portate dalle parti -ai fini della decisione.
Con il secondo motivo è stata censurata la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonché dell’art. 2697 cc. Illegittima deduzione di costi per operazioni oggettivamente inesistenti. Sufficienza degli elementi posti dall’Ufficio a base della rettifica, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
2.2. La parte ricorrente rileva come l’art. 2697 c.c. trovi applicazione anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, in relazione alle quali ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 18/10/2021, n. 28628). Ha quindi evidenziato che se, da un
lato, grava sull’Amministrazione finanziaria che contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA la prova dell’inesistenza dell’operazione (che può essere fornita anche mediante presunzioni semplici), una volta fornita tale prova è il cessionario o committente ad essere onerato della prova circa l’effettiva esistenza delle operazioni contestate.
2.3. Ha quindi richiamato gli elementi valorizzati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della prova dell’oggettiva inesistenza delle operazioni e, in particolare:
mancanza di una struttura commerciale e di una effettiva organizzazione aziendale del cedente o prestatore (ad es., in termini di disponibilità di uffici, personale dipendente o collaboratori, utenze);
mancanza di locali idonei al commercio o al deposito dei beni (ad es., in termini di disponibilità di magazzini);
mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti fisici della merce;
mancanza di contratti o documentazione scritta relativamente ai rapporti commerciali tra cedente o prestatore e cessionario o committente;
anomale modalità dei rapporti di acquisto e di pagamento;
emissione delle fatture da parte del cedente o prestatore, che risulta tuttavia cessato in data anteriore;
acquisto e rivendita della merce a prezzi nettamente più bassi di quelli di mercato;
genericità rilevata nella descrizione nella fattura dei beni ceduti e delle prestazioni di servizi rese (specie nelle ipotesi di generiche ‘consulenze’) e nella determinazione dei relativi importi;
assenza di documentazione attestante l’effettiva esecuzione dei servizi.
Ha poi richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all’interpretazione dell’art. 2729 c.c.
2.4. Con riferimento al caso in esame ha evidenziato che, dalle indagini svolte, era emerso che RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato, per l’anno d’imposta 2015, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse da RAGIONE_SOCIALE, società risultata priva di adeguato personale in grado di eseguire autonomamente i lavori edili fatturati ai propri clienti nel corso degli anni. In particolare, nel 2015, a seguito di ripetute assunzioni e licenziamenti, aveva fatturato l’importo di Euro 1.820.460, 00. A tal fine è del tutto inconferente l’affermazione dei giudici d’appe llo secondo cui: « …risulta altresì dalla documentazione prodotta dal ricorrente in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE, pari all’imponibile complessivo di € 30.000,00 ed I.V.A. al 22 per cento per € 6.600,00 erano di rilievo esiguo », perché in ogni caso è stata accertata l’inesistenza oggettiva delle operazioni compiute dalla RAGIONE_SOCIALE (l’accertamento notificato alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è, infatti, divenuto definitivo). Oltre alla mancanza di personale, sono poi stati evidenziati ulteriori elementi atti a comprovare l’inesistenza delle operazioni, quali: la generica indicazione nelle fatture delle indicazioni relative alle prestazioni, la mancanza di un contratto tra la contribuente e la società emittente la fattura nonché di altri documenti comprovanti l’effettuazione della prestazione e la mancata predeterminazione dei compensi.
In virtù di tali elementi deve ritenersi che l’ufficio abbia adempiuto correttamente al proprio onere probatorio, con conseguente spostamento sul contribuente dell’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate negli atti impositivi.
2.5. Il motivo di ricorso è inammissibile, sia perché non si confronta con la ratio della sentenza impugnata, sia perché la sua
illustrazione è carente in punto di specificità (art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c.).
Sotto il primo profilo nella sentenza impugnata si legge che: « Risulta altresì dalla documentazione prodotta dal ricorrente in giudizio (vedi in particolare il contratto ed il subappalto) che i lavori subappaltati (‘lavori eseguiti presso vs. cantiere sito in Vairano Patenora (CE) ala INDIRIZZO) alla RAGIONE_SOCIALE, pari all’imponibile complessivo di € 30.000,00 ed I.V.A. al 22 per cento per € 6.600,00 erano di rilievo esiguo e, pertanto, ben sopportabili dalla società pur co n il verificato ‘numero (non) adeguato di personale’. »
In primo luogo, la sentenza impugnata fa riferimento alla documentazione inerente al subappalto, con la conseguenza che non risulterebbe solamente la fattura a documentare l’esecuzione, ma anche un contratto inerente l’esecuzione delle opere.
In secondo luogo, il giudice di secondo grado ha fatto riferimento all’ammontare esiguo dell’importo dei lavori (Euro 30.000,00) rilevando che potevano essere eseguiti anche con poche unità di personale.
Il motivo è, poi, carente nell’illustrazione, dal momento che in relazione all’avviso di accertamento diventato definitivo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE non indica se la ripresa nei confronti di quest’ultima abbia (o meno) compreso anche la fattura emessa nei confronti dell’odierna parte ricorrente. Non viene neppure precisato se tale avviso sia diventato definitivo per omessa impugnazione da parte della società subappaltatrice o se sia svolto un giudizio avente per oggetto l’impugnazione dell’atto imposit ivo emesso nei suoi confronti. L’avviso di accertamento è solamente evocato e non riportato neppure all’interno dell’illustrazione del secondo motivo di ricorso.
In ogni caso si tratta di accertamenti di fatto rimesso al giudice di merito.
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato, senza alcuna statuizione sulle spese di lite, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.