Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21918 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Agenzia delle Entrate ;
-intimata – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, n. 980/18/2023, depositata il 23.02.2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTP di Frosinone accoglieva, a seguito di riunione, i ricorsi proposti dalla RAGIONE_SOCIALE, già operante nel settore d ell’estrusione delle leghe di alluminio e della finitura dei profilati, avverso due avvisi
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 19543/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL; EMAIL😉
-ricorrente –
Contro
di accertamento, relativi ad imposte dirette ed IVA, per gli anni d’imposta 2005 e 2006;
la CTR del Lazio, con sentenza n. 5730/39/2014, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate;
proposto ricorso per Cassazione dalla contribuente, questa Corte, con sentenza n. 37210 del 2021, accoglieva il primo, il sesto e il settimo motivo, nei termini di cui in motivazione, e cassava con rinvio la sentenza impugnata;
a seguito del ricorso in riassunzione, proposto dalla contribuente, con la sentenza in epigrafe indicata, la CGT-2 del Lazio, quale giudice di rinvio, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate osservando, per quanto qui ancora rileva e in sintesi, che:
la società aveva evidenziato che la merce di cui l’Ufficio contestava l’esistenza rappresentava il 34,98% di tutto ciò che era stato dalla stessa acquistato nel 2005, che rappresentava il 43,83% del totale di tutti i profilati venduti, per cui era dimostrato che la merce era stata regolarmente acquistata, dato che non era possibile svolgere la stessa quantità di lavorazione con il 40% di acquisti in meno;
-l’Agenzia delle entrate, a sua volta, aveva dimostrato che le operazioni intercorse tra la contribuente e le società fornitrici RAGIONE_SOCIALE (per l’anno d’imposta 2005) e RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE (per l’anno d’imposta 2006) erano fittizie; dal PVC emergeva, infatti, che la RAGIONE_SOCIALE aveva effettuato acquisti fittizi da neocostituite società cartiere che dovevano considerarsi tali perché, oltre a non avere istituito scritture contabili e non avere assolto agli obblighi fiscali, erano prive di sede e/o depositi o magazzini ovvero di strutture commerciali, prive di personale dipendente e di attrezzature o mezzi di trasporto, come era stato confermato anche dai rispettivi legali rappresentanti; da ciò si evinceva che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai
potuto cedere merce (barre di alluminio) alla RAGIONE_SOCIALE, non avendone mai avuto la disponibilità;
-l’Ufficio aveva, inoltre, dimostrato che i documenti di trasporto, relativi alle cessioni effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE, presentavano gravi anomalie, in quanto tutti recavano l’indicazione del medesimo automezzo pesante e la firma del medesimo conducente, con la singolare presenza di numerose giornate in cui erano stati effettuati tre distinti viaggi; si trattava si una situazione chiaramente irrazionale, tenuto conto delle ‘caratteristiche del veicolo (automezzo pesante soggetto a più stringenti limiti rispetto agli altri veicoli), i km da percorrere (oltre 160 tra le sedi delle due società) per ben sei volte (andata e ritorno) ed i relativi tempi di percorrenza, i necessari tempi di carico e scarico delle merci, le necessarie soste fatte dall’autotrasportatore per il soddisfacimento delle proprie necessità fisiologiche. Considerando tutti questi elementi, per poter effettuare un triplice viaggio sarebbe stata necessaria quasi un’intera giornata; situazione questa inverosimile considerando che l’automezzo e il conducente erano sempre gli stessi. Dalla contabilità della RAGIONE_SOCIALE sono emersi lassi di tempo, tra le diverse operazioni di scarico delle merci, realisticamente irrealizzabili’ ;
a questi rilievi la COGNOME non aveva fornito valide giustificazioni, non potendosi ritenere tale l ‘affermazione secondo la quale ‘è semplice scaricare il camion o che molte volte gli scarichi venivano fatti quando non c’era personale della RALOX e quindi le registrazioni degli ingressi venivano fatte il giorno dopo.’ ;
-a seguito dell’esame di alcuni documenti (report di fonderia, rapporti di carica e colata e scritture di magazzino) era emerso, poi, che vi erano difformità tra le forniture realmente effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE.p.a. nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e quanto riportato nelle fatture, posto che in queste ultime risultavano forniture di barre di alluminio,
mentre quelle realmente effettuate riguardavano billette di alluminio, dovendosi ritenere oggettivamente inesistenti anche le operazioni che presentano qualsiasi difformità sostanziale anche solo dal punto di vista quantitativo, inclusa l’ipotesi in cui, per effetto di tale difformità, sia indicata in fattura un’imposta in misura superiore a quella dovuta e venga realizzata una sovrafatturazione o risulti un regime IVA diverso;
le fatture contestate dovevano ritenersi riferibili ad operazioni inesistenti sotto il profilo soggettivo, in quanto emesse da società cartiere, e oggettivo in quanto le fatture contabilizzate rappresentavano operazioni mai avvenute;
la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CGT-2 con ricorso per cassazione, affidato ad otto motivi;
-l’Agenzia delle entrate rimaneva intimata.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 111 Cost., 112, 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CGT-2 motivato o per avere comunque motivato in modo apparente, essendosi limitata ad effettuare un’operazione di evidente ‘ copia e incolla ‘ di alcuni brani tratti dal ricorso della società contribuente , dalle controdeduzioni dell’Ufficio e della richiamata ordinanza della Corte di Cassazione n. 37112/2020, senza effettuare le verifiche indicate dalla Corte di Cassazione nel giudizio rescindente, mediante un proprio autonomo convincimento, e senza esaminare le eccezioni proposte dalla contribuente in tutti i propri atti difensivi, compreso il ricorso in riassunzione;
-il motivo è infondato per la ripresa riguardante l’anno d’imposta 2006, mentre è fondato per la ripresa relativa all’anno d’imposta 2005;
occorre premettere che questa Corte ha più volte affermato che nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Cass. Sez. U. n. 642 del 2015; Cass. n. 9334 del 2015);
le Sezioni unite hanno poi precisato che nell’ordinamento non si rinviene alcuna norma «che, con riguardo alla redazione della sentenza, esplicitamente o implicitamente imponga al giudice l’originalità nei contenuti o nelle modalità espositive», essendo previsto, dal complesso delle norme, che essa risulti «funzionale, flessibile, deformalizzata, improntata al contemperamento delle esigenze di effettività della tutela ed efficienza del sistema attraverso la conciliazione, in apparenza difficile, tra una motivazione comprensibile e idonea ad esplicitare il ragionamento decisorio che sia tuttavia concisa, succinta ed in ogni caso tale da giungere in tempi (più) ragionevoli»;
-benché nella sentenza della CGT-2 siano trascritte diverse parti sia del ricorso in riassunzione, proposto dalla contribuente, sia delle controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate, occorre rilevare che, per
quanto riguarda l’anno d’imposta 2006 (relativo alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE.p.a.) risultano rispettate le esigenze di chiarezza sopra indicate;
-in relazione all’anno 2006, infatti , i giudici di appello non si sono limitati a riportare le argomentazioni contenute negli atti processuali delle parti, ma hanno esplicitato in modo comprensivo le ragioni della propria decisione, avendo spiegato sulla base di quali elementi si doveva ritenere che la merce ceduta dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE non fosse quella fatturata (barre di alluminio tonde), ma fosse costituita, in realtà, da billette di alluminio e per quale motivo tale divergenza determinava l’oggettiva inesistenza delle operazioni fatturate;
-diversamente, per l’anno d’imposta 2005, in relazione al quale è stata contestata l’emissione di fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, la decisione della CTR appare confusa e intrinsecamente contraddittoria: da un lato, infatti, dopo avere riportato le deduzioni delle parti, la CTR sembra condividere quelle della società contribuente, laddove afferma che ‘ Per la società è impossibile svolgere la stessa mole di lavorazione con il 40% di acquisti in meno, per cui è dimostrato che la merce è stata regolarmente acquistata’ ; dall’altro lato, invece, dopo avere riportato diverse parti del PVC riguardanti la RAGIONE_SOCIALE, la sentenza precisa che ‘ A tutti questi rilievi la società appellante non ha dato giustificazioni valide, non si può considerare valida la giustificazione che è semplice scaricare il camion o che molte volte gli scarichi venivano fatti quando non c’era personale della RAGIONE_SOCIALE e quindi le registrazioni degli ingressi venivano fatte il giorno dopo’ , aderendo alla tesi dell’Ufficio, senza effettuare, peraltro, tutte le verifiche richieste dalla sentenza della Corte di Cassazione in merito alla circostanza, dedotta dalla società e ritenuta rilevante per il giudizio, circa l’impossibilità per la contribuente di ottenere la stessa
produzione senza l’acquisto della materia prima ritenuta dall’Ufficio come inesistente;
con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 63 del d.lgs. n. 546/1992 e 384, comma 2 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la CGT-2 colmato le lacune decisionali rilevate dalla sentenza della Corte di cassazione n. 37210/2021, non avendo effettuato le verifiche indicate dalla Corte di Cassazione; in particolare, non ha esaminato: -gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio a sostegno della tesi della ‘inesistenza’ delle operazioni; -la circostanza documentata, rilevante per il giudizio, della impossibilità di ottenere la medesima produzione senza l’acquisto della materia prima ritenuta dall’Ufficio ‘inesistente’, soprattutto per il 2005; se la Società fosse ‘consapevole’ dell’esistenza di una eventuale frode perpetrata ‘a monte’ dei propri danti causa (la RAGIONE_SOCIALE per il 2005 e la RER per il 2006); aggiunge che l’affermazione conclusiva, secondo la quale le fatture contabilizzate rappresentavano operazioni oggettivamente inesistenti, risulta in contrasto con le risultanze del ciclo di produzione della società contribuente;
-il motivo rimane assorbito, limitatamente all’anno d’imposta 2005, con riferimento alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, in ragione di quanto è stato detto in relazione alla prima censura e a seguito del parziale accoglimento della stessa;
il motivo è invece infondato per quanto riguarda l’anno d’imposta 2006 per le fatture emesse dalla RER;
al riguardo occorre premettere che è principio consolidato di questa Corte che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché
conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass., 27 ottobre 2023, n. 29879; Cass., 14 gennaio 2020, n. 448) e che la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (Cass., 20 dicembre 2022, n. 37200; Cass., 8 novembre 2013, n. 25244);
occorre rilevare, inoltre, che nel giudizio di rinvio – il quale, come già detto, è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata – non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., 10 agosto 2023, n. 24357);
parimenti consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e per l’altra ragione: nella prima ipotesi, il giudice di rinvio è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al
processo; nella seconda ipotesi, il giudice non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata, tenendo conto, peraltro, delle preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza ipotesi, la “potestas iudicandi” del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione “ex novo” dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (ex plurimis, Cass. n. 17240 del 15/06/2023);
– nel giudizio di rinvio, inoltre, è precluso qualsiasi esame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione, non solo in ordine ai pretesi errores in iudicando commessi dal giudice a quo , relativi al diritto sostanziale, ma anche con riferimento alle violazioni di norme processuali che si assumono poste in essere dal giudice di merito, tutte le volte in cui il principio di diritto sia stato enunciato rispetto a un fatto con valenza processuale (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 29 settembre 2014, n. 20474; Cass., Sez. U., 3 luglio 2009, n. 15602);
– la modifica, nel giudizio di rinvio, in senso riduttivo dell’originaria impostazione difensiva, tale da renderla incompatibile con la contestazione di fatti o requisiti posti a fondamento della pretesa della controparte, ovvero la mancata riproposizione della contestazione sulla sussistenza di tali requisiti, sollevata nei precedenti gradi del giudizio ed in essi disattesa o dichiarata inammissibile, rende inammissibile l’esame d’ufficio di tali questioni, in quanto ormai espunte dal dibattito processuale (Cass., 9 giugno 2023, n. 16450);
– a tali principi si aggiunge quello secondo cui, « In tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto » (Cass., 19 febbraio 2018, n. 3955). E difatti, « la denuncia del mancato rispetto da parte del giudice di rinvio del “decisum” della sentenza di cassazione concreta denuncia di “error in procedendo” per aver operato il giudice stesso in ambito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri di decisione, per la cui verifica la Corte di cassazione ha tutti i poteri del giudice del fatto in relazione alla ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata all’interpretazione delle norme giuridiche » (Cass., 5 marzo 2019, n. 6344);
-tanto premesso, il caso in esame ricade nella ‘terza ipotesi’ prima indicata, in cui al giudice di rinvio è demandato il compito non solo di applicare il principio di diritto, ma anche di valutare “ex novo” i fatti già acquisiti ed eventualmente altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse. Avendo la Corte di Cassazione accolto il ricorso sia per violazione di legge, in cui sarebbe incorsa la CTR, con riferimento ai diversi principi applicabili in materia di operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti , all’oggetto della prova e alla ripartizione dei relativi oneri , nonché con riguardo alla natura presuntiva dell’accertamento, sia per
vizio di motivazione, al giudice di rinvio è stato demandato, alla luce di quanto statuito nella sentenza di cassazione, di riesaminare la fondatezza del gravame, tenuto conto del fatto che ‘ la CTR non ha in alcun modo esaminato gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio, né ha esaminato la circostanza, rilevante per il giudizio, dedotta dalla società circa l’impossibilità di ottenere la stessa produzione senza l’acquisto della materia prima ritenta dall’ufficio come inesistente ‘ e non aveva in alcun modo accennato ‘ agli elementi da cui si sarebbe tratta la consapevolezza della contribuente della partecipazione a una operazione soggettivamente inesistente ‘;
-per quanto riguarda l’anno 2006, in relazione alle fatture emesse dalla RER, la CGT-2, quale giudice di rinvio, si è attenuta alle direttive impartite dalla sentenza della Corte di Cassazione, avendo esaminato sia gli elementi presuntivi offerti dall’ Ufficio sia quelli dedotti dalla contribuente e concludendo che le fatture contestate, emesse dalla RER (di cui non era stata contestata l’operatività), erano riferibili ad operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto riguardavano billette di alluminio e non barre di alluminio, come riportato nelle fatture, dovendosi ricondurre alla nozione di operazione oggettivamente inesistente anche la divergenza tra l’operazione descritta in fattura e quella realmente effettuata, inclusa anche l’ipotesi in cui, per effetto di tale difformità, venga indicata in fattura un’imposta in misura superiore a quella dovuta; nella specie, le fatture indicavano formalmente operazioni soggette a IVA (cessioni di barre di alluminio, che soggiacciono al regime IVA ordinario), mentre era stato accertato che le operazioni effettivamente compiute riguardavano cessioni di billette di alluminio (soggette ad un diverso regime IVA, ossia al cd. reverse charge ); poiché le operazioni riguardavano la cessione di beni diversi da quelli formalmente indicati in fattura, implicanti l’applicazione di un diverso regime di imposta, essendo stata
indebitamente detratta l’IVA sulle fatture indicanti la fittizia cessione di barre di alluminio, tali operazioni dovevano essere considerata oggettivamente inesistenti;
-occorre ribadire, invero, che nelle operazioni oggettivamente inesistenti l’Ufficio è tenuto a dimostrare, anche sulla base di elementi presuntivi, solo la mancanza dell’operazione; una volta soddisfatto tale onere, è il contribuente a dover fornire la prova contraria, atta a dimostrare che l’operazione, come descritta in fattura, è effettiva e realmente avvenuta, anche se, in ipotesi, tra soggetti diversi da quelli indicati nel documento (Cass. n. 28628 del 2021);
-qualora l’Amministrazione contesti, come nel caso delle fatture emesse dalla RER, che le operazioni sono oggettivamente inesistenti, una volta dimostrata dall’Ufficio tale inesistenza oggettiva, graverà sul contribuente l’onere di dimostrare che le operazioni erano effettivamente quelle riportate nelle fatture;
con il terzo motivo si denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., per non aver la CGT-2 tenuto conto della elaborazione del ciclo produttivo prodotta dalla società contribuente con il ricorso introduttivo, dalla quale si evinceva che le operazioni non potevano reputarsi inesistenti;
-il motivo rimane assorbito, limitatamente all’anno d’imposta 2005, dal parziale accoglimento della prima censura;
il motivo è, invece, inammissibile in relazione alle fatture emesse dalla RER nell’anno 2006:
va precisato, in proposito, che alla fattispecie in esame si applica l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. nel testo novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Con detta novella è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); – si tratta di censura che, tuttavia, impone a chi la denunci di indicare, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; – resta fermo che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato , Cass. Sez. U.
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso conto di tutte le risultanze probatorie ( ex plurimis 07/04/2014 n. 8053);
la ricorrente non si è attenuta alle suddette prescrizioni, ma ha formulato un motivo generico che mira, peraltro, ad attingere il giudizio di fatto operato dal giudice di appello con riferimento alla valutazione delle prove;
con il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per omessa pronuncia in ordine a tutte le doglianze specifiche prospettate dalla contribuente nel proprio ricorso in riassunzione (infondatezza degli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio a sostegno della tesi della inesistenza delle operazioni; violazione dell’art. 14, comma 4 -bis, del d.l. n. 537/1993 nella nuova versione modificata, con effetti retroattivi, dall’art. 8 del d.l. n. 16/2012, con riferimento all’anno 2005; mancata dimostrazione della consapevolezza della società; violazione della disciplina che regola i
‘motivi aggiunti’ e il deposito di ‘nuova documentazione’ non allegata al PVC/accertamento, ma depositata dall’Ufficio nel corso del giudizio di primo grado; violazione del regime sanzionatorio previsto per il regime del reverse charge nella versione vigente ratione temporis );
-anche questo motivo rimane assorbito per l’anno d’imposta 2005, in relazione alle fatture emesse dalla Ragmetal, per le ragioni già prima esposte;
per l’anno d’imposta 2006, invece, il quarto motivo è fondato limitatamente all’ omessa pronuncia sull’ applicazione del più favorevole regime sanzionatorio in materia di reverge charge , in quanto su quest’ ultimo rilievo, ritenuto assorbito dalla sentenza rescindente, la CGT-2 non si è effettivamente pronunciata nel giudizio di rinvio;
il motivo è infondato, sempre per quanto riguarda l’anno 2006, in ordine agli altri rilievi sui quali la CGT-2 si è implicitamente pronunciata, avendo ritenuto oggettivamente inesistenti le operazioni contestate in relazione alle fatture emesse dalla RER;
per completezza va ribadito che, nel caso di inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, la consapevolezza di tale inesistenza è desumibile dalla stessa divergenza riscontrata tra la merce consegnata e quella documentata nelle fatture, a prescindere dal fatto che le fatture siano state emesse da società non operative o cartiere, posto che l’Amministrazione finanziaria, nel caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è stata mai posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in via indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha
effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo ( ex multis , Cass. n. 28628 del 2021);
con riferimento specifico alla lamentata violazione della disciplina che regola la formulazione dei ‘motivi aggiunti’, poi, il quarto motivo , sempre per quanto riguarda l’anno 2006, è anche inammissibile per difetto di specificità ed autosufficienza, non avendo la contribuente riprodotto il testo del precedente ricorso per cassazione, al fine di verificare se e come il motivo sia stato formulato anche in tale sede, non essendo ciò evincibile dalla sentenza rescindente;
con il quinto motivo, deduce la violazione de ll’a rt. 14, comma 4-bis d.l. n. 537/1993 nella nuova versione modificata, con effetti retroattivi, dall’art. 8 d.l. n. 16/2012, con riferimento all’anno 2005, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , non avendo la CGT-2 considerato la retroattività della sopravvenuta modifica normativa che ha fatto venir meno il presupposto alla base della indeducibilità dei costi ai fini IRES e IRAP;
il motivo rimane assorbito a seguito del parziale accoglimento del primo motivo, per le ragioni prima indicate;
con il sesto motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 d.P.R. n. 633/1972 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per essersi la CGT-2 appiattita sulla tesi erariale, senza tenere conto delle confutazioni della contribuente, omettendo di indicare gli elementi obbiettivi da cui era possibile evincere l’inesistenza delle operazioni e la consapevolezza della contribuente di partecipare ad un’evasione fiscale, come richiesto nella sentenza della Corte di Cassazione;
-il motivo rimane assorbito, per quanto riguarda l’anno d’imposta 2005 per le fatture emesse dalla Ragmetal, a seguito del parziale accoglimento del primo motivo;
il motivo è infondato, in relazione alle fatture emesse nell’ano 2006 dalla RER per le ragioni già indicate con riferimento al quarto motivo, e in ogni caso inammissibile, laddove mira, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito e ad un nuovo esame delle prove (Cass. Sez. U. 27.12.2019, n. 34476);
-con il settimo motivo, deduce la violazione dell’art. 24, comma 2 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., concernente la disciplina della presentazione di ‘motivi aggiunti’ e la produzione di ‘nuova documentazione’ non allegata al PVC/accertamento, ma depositata dall’Ufficio solo nel corso del giudizio di primo grado; lamenta che la CGT-2 non ha considerato che l’Ufficio aveva prodotto solo in giudizio documenti (verbali della GdF di Napoli ed Isernia), relativi a fatti e rapporti di soggetti terzi, non conosciuti dalla contribuente e non allegati né al PVC né all’avviso di accertamento, e aveva introdotto nelle controdeduzioni in primo grado e nell’atto di appello argomentazioni nuove (cessione di rottame e cascame ferroso e pani, invece di barre di alluminio), non contenute nella motivazione dell’avviso di accertamento e del PVC ;
-il motivo rimane assorbito per le fatture emesse nell’anno 2005 dalla RAGIONE_SOCIALE per le ragioni già indicate con riguardo al primo motivo;
il motivo è, invece, inammissibile per quanto concerne le fatture emesse nell’anno 2006 dalla RER per le ragioni già indicate con riferimento al quarto motivo di ricorso;
-con l’ottavo motivo denuncia la violazione dell’art. 6, comma 9 bis d.lgs. n. 471/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per non avere la CG-2 esaminato, con riferimento all’accertamento relativo all’anno d’imposta 2006, la censura , ritenuta assorbita dalla Corte di Cassazione, sulla violazione del regime
sanzionatorio previsto in materia di reverse charge, nella versione vigente ratione temporis , qualora si volesse ritenere che la RER avesse ceduto alla contribuente billette di alluminio, fatturando falsamente barre di alluminio con applicazione dell’IVA ordinaria, in quanto il rilievo erariale (consistente nella indetraibilità dell’IVA e nell’applicazione della sanzione pari al 100% della stessa IVA) sarebbe in contrasto con il nuovo, più favorevole regime sanzionatorio introdotto dalla legge finanziaria 2008;
-il motivo è assorbito nell’accoglimento parziale del quarto motivo di ricorso;
in conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, limitatamente all’anno d’imposta 2005, assorbiti tutti gli altri motivi con riguardo all’anno 2005 ; va accolto anche il quarto motivo di ricorso, limitatamente all’anno d’imposta 2006 in relazione all’omessa pronuncia sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 9 -bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, rigettate le restanti censure relative all’anno 2006 ; l’impugnata sentenza va cassata, in relazione ai motivi accolti nei termini di cui in motivazione, e la causa va rinviata, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso , limitatamente all’anno d’imposta 2005, assorbiti tutti gli altri motivi con riguardo all’anno 2005, nonchè il quarto motivo di ricorso, limitatamente all’anno d’imposta 2006 in relazione all’omessa pronuncia sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 9 -bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, rigettat e le restanti censure relative all’anno 2006 ; cassa l’impugnata sentenza, in relazione ai motivi accolti nei termini di cui in motivazione, e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di
Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 14 maggio 2025