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Operazioni inesistenti: onere della prova e IVA

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della curatela fallimentare di una società vinicola, confermando la legittimità di un avviso di accertamento per IVA indebitamente detratta. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato operazioni per oltre 760.000 euro, ritenendole oggettivamente inesistenti e provenienti da società “cartiere”. La Corte ha ribadito che spetta all’Amministrazione provare, anche tramite presunzioni, l’inesistenza delle operazioni. Una volta fornita tale prova, l’onere si sposta sul contribuente, che non può limitarsi a esibire le fatture o la contabilità formale, ma deve dimostrare l’effettività delle transazioni. La Corte ha ritenuto sufficienti gli indizi forniti dall’Agenzia e ha respinto le eccezioni procedurali del ricorrente.

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Pubblicato il 25 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova tra Fisco e Contribuente

La lotta all’evasione fiscale, in particolare quella legata alle frodi IVA, passa spesso per l’accertamento di operazioni inesistenti. Si tratta di un fenomeno complesso in cui società, spesso definite ‘cartiere’, emettono fatture per beni o servizi mai scambiati, al fine di permettere ad altre imprese di detrarre indebitamente l’IVA e dedurre costi fittizi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale di queste controversie: la ripartizione dell’onere della prova tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente. Analizziamo il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I Fatti di Causa: una Frode IVA nel Settore Vinicolo

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un’azienda vinicola. L’atto impositivo recuperava a tassazione un’IVA di oltre 760.000 euro, che l’azienda aveva detratto in relazione a fatture di acquisto di mosto. Secondo il Fisco, tali operazioni erano oggettivamente inesistenti.

Le indagini, condotte dalla Guardia di Finanza nell’ambito di un più ampio procedimento penale, avevano rivelato che le società fornitrici erano in realtà delle ‘cartiere’ o ‘missing traders’. Si trattava di soggetti economici privi di qualsiasi struttura operativa e organizzativa, la cui unica attività consisteva nell’emettere fatture false per agevolare frodi fiscali da parte di terzi.

L’azienda vinicola ha impugnato l’atto, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto le sue ragioni. Nel frattempo, l’azienda è stata dichiarata fallita e la causa è stata portata avanti dalla curatela fallimentare, che ha infine proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sulla Prova delle Operazioni Inesistenti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della curatela, confermando la validità dell’accertamento fiscale. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di onere della prova nelle controversie su operazioni inesistenti e sulla corretta applicazione delle garanzie procedurali previste per il contribuente.

I giudici hanno esaminato tre motivi di ricorso presentati dalla curatela:
1. La presunta violazione del termine dilatorio di 60 giorni tra la conclusione della verifica e l’emissione dell’avviso di accertamento.
2. L’errata applicazione delle norme sull’onere della prova e la mancata valutazione della documentazione prodotta.
3. Il vizio di ‘motivazione apparente’ della sentenza di appello.

La Corte ha ritenuto infondati tutti e tre i motivi, fornendo importanti chiarimenti su ciascun punto.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha articolato la sua decisione sulla base di una solida giurisprudenza in materia.

Sulla violazione del termine dilatorio di 60 giorni

Il ricorrente lamentava che l’avviso di accertamento fosse stato emesso prima dello scadere del termine di 60 giorni previsto dallo Statuto del Contribuente. La Corte ha ricordato che questo termine può essere derogato in presenza di ‘particolari e motivate ragioni di urgenza’. In questo caso, l’Agenzia aveva giustificato l’urgenza non solo con l’imminente scadenza dei termini di accertamento, ma anche con la ‘particolare gravità dei comportamenti’ della società e dei suoi amministratori, che avevano portato a un sequestro preventivo, e con la ‘pericolosità fiscale’ della società, che aveva ottenuto ingenti rimborsi IVA basati su fatture fittizie. Queste ragioni sono state ritenute valide per giustificare l’emissione anticipata dell’atto.

Sull’onere della prova nelle operazioni inesistenti

Questo è il cuore della decisione. La Corte ha ribadito il seguente principio: spetta all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare, anche attraverso presunzioni semplici, gravi, precise e concordanti, che le operazioni contestate sono inesistenti. Elementi presuntivi validi includono, ad esempio, l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale) da parte del fornitore.

Una volta che il Fisco ha fornito questa prova, l’onere si inverte e passa al contribuente. Quest’ultimo, per poter detrarre l’IVA, deve dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni. A tal fine, non è sufficiente esibire la fattura o dimostrare la regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti. Questi elementi, infatti, sono spesso creati ad arte proprio per far apparire reale un’operazione fittizia. Il contribuente deve fornire prove concrete che la transazione commerciale sia realmente avvenuta.

Sulla motivazione della sentenza d’appello

Infine, la Corte ha respinto la censura secondo cui la sentenza d’appello avesse una motivazione solo apparente. I giudici di legittimità hanno chiarito che la decisione impugnata, sebbene sintetica, lasciava cogliere chiaramente la sua ratio decidendi: la curatela non aveva fornito elementi sufficienti a dimostrare di essere stata inconsapevolmente coinvolta in un meccanismo fraudolento, contrastando efficacemente gli elementi probatori presentati dall’Agenzia.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale in materia di frodi IVA. La decisione sottolinea che, di fronte a un quadro indiziario solido fornito dall’Amministrazione Finanziaria che suggerisce l’esistenza di operazioni inesistenti, il contribuente non può trincerarsi dietro la formalità dei documenti. La regolarità contabile, da sola, non basta a vincere la presunzione di fittizietà. È necessario un ‘quid pluris’, una prova concreta e sostanziale della realtà dell’operazione economica, per legittimare la detrazione dell’IVA e la deduzione dei costi. Questa pronuncia serve da monito per le imprese sull’importanza di verificare l’affidabilità e la reale operatività dei propri partner commerciali, al fine di non rimanere coinvolti, anche involontariamente, in complesse frodi fiscali.

Chi deve provare che un’operazione commerciale è finta ai fini IVA?
Inizialmente, l’onere della prova è a carico dell’Amministrazione Finanziaria. Essa deve fornire elementi, anche presuntivi (come l’assenza di una struttura operativa del fornitore), che siano gravi, precisi e concordanti per dimostrare l’inesistenza dell’operazione.

La semplice presentazione della fattura è sufficiente per dimostrare che un’operazione è reale?
No. Secondo la Corte, l’esibizione della fattura o la prova della regolarità formale delle scritture contabili e dei pagamenti non sono sufficienti a dimostrare l’effettività dell’operazione, poiché questi strumenti vengono di solito utilizzati proprio per far apparire reale un’operazione fittizia. L’onere di provare la realtà della transazione, una volta che il Fisco ha sollevato dubbi fondati, ricade sul contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria può emettere un avviso di accertamento prima che scadano i 60 giorni dalla fine della verifica?
Sì, ma solo in presenza di ‘particolari e motivate ragioni di urgenza’. In questo caso, la gravità dei fatti contestati, l’esistenza di procedimenti penali e la ‘pericolosità fiscale’ della società sono state considerate ragioni sufficienti a giustificare la deroga al termine dilatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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