Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21498 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21498 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32795/2019 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA ROMAGNA n. 1775/2018 depositata il 27/06/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Ravenna dell’Agenzia delle Entrate notificava all’ Azienda RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento “parziale” n. THQ063I01470/2012, relativo all’anno di imposta 2009 con cui recuperava a tassazione Iva pari ad € 1.467.573,29 indebitamente detratta poiché afferente ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti.
In particolare, l’atto impositivo prendeva le mosse dalla verifica pluriennale effettuata dalla Guardia di Finanza di Ravenna nei riguardi della contribuente e confluita nel processo verbale di constatazione del 22 giugno 2012. A propria volta, la verifica scaturiva dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di San Severo (FG) su delega della Procura della Repubblica c/o il Tribunale – D.D.A. di Bari nell’ambito del procedimento penale n. 14219/09.
Più dettagliatamente, la verifica aveva consentito di rilevare che, nel corso di svariati anni, l’Azienda RAGIONE_SOCIALE aveva registrato in contabilità acquisti di mosto provenienti da imprese che, in relazione alle loro caratteristiche ed ai dati rilevati sul conto delle stesse, si configuravano quali “cartiere” o “missing traders”, ossia soggetti economici privi di struttura operativa ed organizzativa, la cui attività consiste esclusivamente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di agevolare la commissioni di frodi fiscali da parte di terzi che, in tal modo,
fruiscono dell’indebita deduzione di costi e di indebita detrazione della relativa IVA.
La contribuente impugnava l’atto dinanzi alla CTP di Ravenna che, con sentenza n. 256/02/2013 del 4/12/2013, respingeva il ricorso.
Avverso tale sentenza la contribuente proponeva appello dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia -Romagna.
Nelle more del giudizio, il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 43/2016 dichiarava il fallimento dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE e il processo interrotto dinanzi alla CTR veniva riassunto dalla curatela fallimentare.
La CTR adita, con sentenza n. 1775/2017 dell’11/12/2017 depositata il 27/06/2018 non notificata, respingeva l’appello e condannava la contribuente al pagamento delle spese dell’intero giudizio liquidate in euro 6.000,00.
Avverso tale sentenza la curatela propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste l’Ufficio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 D.P.R. 633/1972, 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., per aver la CTR violato i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di detrazione Iva, i criteri di riparto dell’onere della prova in tema di operazioni inesistenti, nonché omesso di valutare la documentazione prodotta in giudizio dalla società idonea a dimostrare la piena operatività delle fornitrici erroneamente considerate cartiere dall’Ufficio.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 111 Cost., 132 comma 2 n. 4 cod. proc. civ., 36 comma 2 n. 4 D.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., per aver la CTR reso una pronuncia affetta da vizio di
motivazione apparente, in quanto fondata su affermazioni apodittiche dalle quali non emergono le ragioni per le quali l’avviso di accertamento, a fronte della mancata prova della fittizietà delle operazioni sottese, sia stato considerato privo profili di illegittimità.
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso.
Esso mira ad una più appagante ricostruzione del merito della controversia, puntando a valorizzare i seguenti aspetti: il compimento di operazioni nell’anno di riferimento che hanno prodotto cospicui ricavi; la tenuta dei libri e registri obbligatori; la sussistenza di documentazione fiscale passiva afferente gli acquisti di mosto; la regolarità formale dei pagamenti effettuati; la contabilizzazione dei pagamenti medesimi.
Orbene, quanto al primo aspetto, giova evidenziare che l’effettuazione di operazioni di cessione di beni nel periodo di riferimento non vale ad escludere che altre operazioni che hanno registrato il coinvolgimento della contribuente siano state contrassegnate da un attributo di fittizietà.
Quanto al secondo aspetto, questa Corte ha, tuttavia, evidenziato che ‘ In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia’ (Cass. n. 9723 del 2024; Cass. n. 28628 del 2021).
Con riferimento al complesso dei profili dedotti a contrasto della statuizione adottata in grado d’appello, giova ad ogni buon conto porre in risalto che il motivo che li contempla si sgretola anche al cospetto del principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità, che esclude in punto di ammissibilità la censura che attinga la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di appello (Cass., 1 giugno 2021, n. 15276). Nella specie, la doglianza con ogni evidenza è inammissibilmente diretta a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; in tal guisa essa s’infrange nel principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile 2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
Il vizio dedotto non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 23 maggio 2014, n. 11511). La sentenza impugnata ha, infatti, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete
circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Il secondo motivo è infondato.
La sentenza ben lascia cogliere la propria ratio decidendi , coincidente con l’omessa prova, da parte del contribuente, di elementi utili a dimostrare di aver ignorato di essere coinvolto in operazioni fraudolente, efficacemente contrastando gli elementi valorizzati dall’Agenzia ab initio e condivisi dalla CTR.
In tal senso, la sentenza si è posta nel crinale nomofilattico, alla cui stregua ogni qualvolta l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, essa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Più in particolare, la dimostrazione a carico dell’amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti validi elementi che, alla stregua dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, possono anche assumere la consistenza di attendibili indizi, per affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto la inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati ovvero la inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione. Infatti,
nell’ordinamento tributario, gli elementi indiziari, ove rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza, danno luogo a presunzioni semplici le quali, proprio a mente degli univoci precetti dettati dalle sopra indicate previsioni normative, sono idonee, di per sé sole considerate, a fondare il convincimento del giudice. Assolto in tal guisa l’onere della prova incombente sull’amministrazione finanziaria, grava poi sul contribuente la dimostrazione dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628). In particolare, in tema di IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628, in motivazione, citata; Cass., 5 luglio 2018, n. 17619). Al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata
realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9851).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/04/2025.