Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25173 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25173 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/09/2025
OGGETTO: IRES IVA -avviso di accertamentoanno di imposta 2010 -operazioni inesistenti – plusvalenza-
ORDINANZA
Sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 15806/2021 e 19151/2022 R.G. proposti da:
Ricorso n. 15086/2021:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentate e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore Notarini COGNOME cancellata dal registro delle imprese in data 10.9.2019, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Avellino giusta procura speciale in atti
-controricorrente –
COGNOME in qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
avverso la sentenza n. 6119/09/2020 della Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno -depositata in data 14.12.2020;
ricorso n. 19151/2022
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentate e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore Notarini COGNOME cancellata dal registro delle imprese in data 10.9.2019, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del foro di Avellino giusta procura speciale in atti
-controricorrente –
NOTARINI COGNOME, in qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE, intimato
avverso la sentenza n. 1097/2022 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 28.1.2022;
udite le relazioni svolte nell’adunanza in camera di consiglio del 17.6.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di accertamento NUMERO_DOCUMENTO relativo all’anno di imposta 2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate accertava ai fini Irap ed Ires, ai sensi dell’art. 39 e dell’art. 41 bis del d.p.r.600/73, nonché dell’art. 5 del decreto legislativo n. 446/1997, l’indebita deduzione di costi
contabilizzati e dedotti per euro 416.702,75 a fronte di fatture ricevute per operazioni soggettivamente (pag. 25) ed oggettivamente (pagina 27) inesistenti, oltre all’omessa contabilizzazione di componenti positivi derivanti dalla cessione di immobili, per euro 922.000,00, come emersione di una plusvalenza di euro 667.600,00. Ai fini Iva, veniva accertata l’indebita detrazione per euro 274.385,93, con rimborso erogato per euro 204.000,00 per carenza di effettività, ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. n. 633/72 e recuperata l’Iva dovuta in relazione alla cessione di immobili per valore imponibile di euro 922.000,0, con aliquota al 10%, oltre a sanzione per infedele dichiarazione e per illegittima detrazione di imposta, rispettivamente ai sensi dell’art. 5, comma 4 e 6, comma 6, del d.p.r. 471/1997, più favorevole al contribuente.
La C.T.P. di Avellino, respinta l’eccezione di decadenza, accoglieva nel merito il ricorso.
La C.T.R. della Campania, sez. distaccata di Salerno, con sentenza n. 6119/09/2020, respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate per assoluta irrilevanza fiscale dei rilievi mossi dalla G.D.F e fatti propri dall’Agenzia delle Entrate.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
5.La società intimata resiste con controricorso.
Notarini COGNOME in qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE, è rimasto intimato.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza n. 6119/09/2020 anche con ricorso per revocazione, che la C.T.R della Campania, con sentenza n. 1097/2022, ha dichiarato inammissibile.
Avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo.
9.La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (cancellata dal registro delle imprese in data 10.9.2019) resiste con controricorso.
10.Notarini NOME, in qualità di ex socio della RAGIONE_SOCIALE, è rimasto intimato.
Per la trattazione di entrambi i ricorsi è stata fissata l’adunanza camerale del 17.6.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere disposta la riunione dei ricorsi per ragioni di connessione soggettiva e parzialmente oggettiva. Infatti, «i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione» (Cass. 22 novembre 2024, n. 30184; Cass. 6 luglio 2022, n. 21315).
In via sempre preliminare, appare opportuno trattare il ricorso n. 19151/2022 R.G., riguardante il giudizio di revocazione.
Deve darsi atto della rituale e tempestiva notifica del ricorso per cassazione alla società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore, posto che essa è intervenuta entro cinque anni dalla cancellazione della predetta società dal registro delle imprese, con conseguente operatività dell’art. 28, co. 4, del D. lgs. 175/2014, che dispone che ‘ ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi’, l’estinzione della società di cui all’art. 2495 c.c. ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal registro delle imprese.
3.1.Questa Corte ha infatti avuto modo di precisare che in tema di cancellazione della società dal registro delle imprese, il differimento quinquennale degli effetti dell’estinzione, previsto dall’art. 28, comma 4, del d.lgs. n. 175 del 2014 -disposizione di natura sostanziale, operante solo nei confronti dell’amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati, con riguardo a tributi o contributi -implica che il liquidatore conservi tutti i poteri di rappresentanza della società sul piano sostanziale e processuale, con la conseguenza che egli è legittimato non soltanto a ricevere le notificazioni degli atti impositivi, ma anche ad opporsi ad essi, conferendo mandato alle liti, mentre sono privi di legittimazione i soci, poiché gli effetti previsti dall’art. 2495, comma 2, c.c. sono posticipati anche ai fini dell’efficacia e validità degli atti del contenzioso. In merito alla rappresentanza processuale dell’ente societario estinto dopo l’entrata in vigore della norma, deve ritenersi, conformemente all’opinione della prevalente dottrina ed ai primi arresti di questa Corte sul punto specifico (Cass. 31/05/2022, n. 17492; Cass. 3/06/2021, n. 15320), che la disposizione non si limiti a prevedere una posticipazione degli effetti dell’estinzione al solo fine di consentire e facilitare la notificazione dell’atto impositivo. Il liquidatore deve necessariamente conservare tutti i poteri di rappresentanza della società, sul piano sostanziale e processuale, nella misura in cui questi rispondano ai fini indicati dall’art. 28, comma 4, che, altrimenti opinando, non potrebbe operare. Pertanto, egli deve poter non soltanto ricevere le notifiche degli atti dagli enti creditori, ma anche opporsi agli stessi e conferire mandato alle liti, come è confermato dalla circostanza che l’estinzione è posticipata anche ai fini della efficacia e validità degli atti del contenzioso. (cfr. Cass. 36892/2022). Questa stessa Corte (cfr. Cass. 2/04/2015, n. 6743) ha altresì avuto modo di precisare, sebbene in una fattispecie alla quale la disposizione non era applicabile ratione temporis , che per
«atti di (…) contenzioso» debbono intendersi gli atti del processo, perché, nell’impreciso lessico della legge delega n. 23 del 2014 (alla cui stregua, come è noto, deve procedersi nell’interpretazione dei decreti legislativi di attuazione), si intende per «contenzioso tributario» il «processo tributario» e la «tutela giurisdizionale» (espressioni usate promiscuamente nella rubrica e nel testo dell’art. 10 della legge di delegazione) e che la norma intende limitare (per il periodo da essa previsto) gli effetti dell’estinzione societaria previsti dal codice civile, mantenendo parzialmente per la società una capacità e una soggettività (anche processuali) altrimenti inesistenti, al «solo» fine di garantire (per il medesimo periodo) l’efficacia dell’attività (sostanziale e processuale) degli enti legittimati a richiedere tributi o contributi.
3.2.Per le stesse ragioni sopra illustrate COGNOME COGNOME in qualità di ex socio, cui il ricorso per cassazione non risulta peraltro essere stato notificato, sarebbe privo di legittimazione a contraddire nel presente giudizio nella predetta qualità, sicchè non viene ordinata la rinnovazione della notifica nei suoi confronti.
4.Con l’unico motivo di doglianza l’Agenzia delle Entrate lamenta « violazione dell’art. 395 comma 1 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.», assumendo esser errata la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di revocazione, avendo la C.T.R. basato la sua decisione sull’erronea percezione di un fatto processuale ovvero il passaggio in giudicato delle sentenze della C.T.P. di Avellino nn. 46/1/2019 e 91/1/2019. Erronea sarebbe altresì la valutazione di non decisività dell’errore, posto che, come si ricava dal testo della sentenza impugnata per revocazione, i giudici del gravame hanno testualmente affermato il rilievo decisivo del passaggio in giudicato delle sentenze sopra citate.
Il motivo è infondato.
4.1.Questa Corte ha da tempo chiarito che l’errore di fatto, previsto come motivo di revocazione dall’art. 395 n.4 cod.proc.civ., è soltanto quello dovuto ad una falsa percezione materiale, che abbia indotto il giudice a ritenere la sussistenza di un fatto che non esiste ovvero la insussistenza di un fatto che viceversa esiste, di modo che non è configurabile tale errore allorché il giudice abbia proceduto ad erronea ed incompleta valutazione delle risultanze processuali, incorrendo in vizi che esorbitano dall’ambito dell’impugnazione revocatoria. Inoltre, l’errore di fatto è rilevante ai fini della revocazione della sentenza se investe un punto decisivo della controversia, sì da influire sulla decisione in concreto adottata. Infine, è stato altresì precisato che l’apprezzamento del giudice di merito, il quale abbia escluso la sussistenza dell’errore di fatto o la decisività dello stesso, non è sindacabile in Cassazione ove sia sorretto da motivazione immune da errori logici o giuridici. (cfr. Cass. n. 988/1966, n. 202/1967, n. 3326/1968 e, tra le più recenti, Cass. n. 25376/2006, Cass. 3935/2009, Cass. n. 24334/2014).
4.2.La C.T.R., nella sentenza di appello impugnata per revocazione, ha respinto il motivo di gravame riguardante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti con la seguente motivazione: « Anche l’elemento caratterizzante delle fatturazioni per operazioni inesistenti quale la omissione dei versamenti iva da parte delle società emittenti le fatture non appartiene a questa fattispecie, in quanto tutta l’Iva esposta nelle fatture risulta essere stata integralmente e regolarmente versata, né è stato oggetto di rilievi da parte della G.D.F. prima e dell’Agenzia poi. Ma ciò che risulta decisivo ai fini della complessiva valutazione e decisione sono le sentenze n. 46/19, 92/2019 e 175/2019 della C.T.P di Avellino relative agli anni di imposta rispettivamente 2008, 2009 e 2011, scaturenti dallo stesso P.V.C. della G.D.F. con le medesime motivazioni. Tali sentenze hanno accolto i ricorsi della società. Non
solo, ma le sentenze n. 46 e 92/2019 risultano munite dell’attestazione di passaggio in giudicato ».
4.3 . La C.T.R. nella sentenza qui impugnata, nell’escludere la decisività dell’errore, così motiva: ‘ In ogni caso manca il presupposto dell’effettiva incidenza del dedotto errore sulla decisione della sentenza oggetto di revocazione (l’art. 395, n. 4 c.p.c. infatti stabilisce che la sentenza debba essere effetto dell’errore, nel senso che va accertato se l’errore abbia avuto effetto decisivo sulla pronuncia. Il che non è nella specie laddove la sentenza impugnata motiva nel merito il rigetto dell’appello sulla base di altri motivi, proprio concernenti il merito dell’appello, mentre il richiamo alle due sentenze dichiarate come passate in giudicato è fatto solo a sostegno delle principali motivazioni che sono altre e solo per richiamare il fatto che le ragioni dell’Agenzia non erano state accolte anche in altre annualità; in altri termini, il riferimento alle due sentenze non aggiunge nulla di sostanziale e decisivo alla sentenza impugnata per revocazione; ed infatti, va ribadito, nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l’errore di fatto ( sostanziale o processuale) esposto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 c.p.c., deve valutare la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa (Cass. ord. 8051/2020); giudizio di resistenza che nel caso di specie deve ritenersi aver esito positivo, per le ragioni sopra dette. ‘
4.4. La valutazione della C.T.R. circa la non decisività dell’errore, quand’anche revocatorio e non di mero diritto, appare congruamente motivata ed immune da vizi logici e pertanto non è sindacabile in questa sede.
5.Il ricorso va pertanto respinto.
Venendo ora ad esaminare il ricorso proposto avverso la sentenza della C.T.R. della Campania n. 6119/09/2020, esso, come detto, è affidato a quattro motivi.
Anche in questo caso deve darsi atto della rituale e tempestiva instaurazione del contraddittorio, per gli stessi motivi illustrati al punto 3 della presente ordinanza.
Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate lamenta « motivazione apparente in violazione degli articoli 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 118 disp att. c.p.c., art. 11, comma 6 Cost. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.» assumendo che la C.T.R. non ha espresso alcuna argomentazione in ordine alle circostanze dedotte in appello a sostegno della pretesa erariale, né in merito alla denunciata inefficienza della controprova allegata dalla società. Non vi erano riferimenti di fatto relativi alla complessa vicenda, né alla relazione del C.T.U, nominato dalla Procura di Cagliari, che aveva fornito seri elementi indiziari. La motivazione si palesava illogica nella parte in cui ribadiva che il subappalto era lecito in quanto di natura privatistica, argomentazione del tutto avulsa dalla fattispecie concreta e su questione mai sollevata dalle parti, essendo desumibile dall’avviso di accertamento e dalle difese svolte in giudizio che la violazione del contratto di appalto originario era stata evidenziata onde sottolineare la manipolazione della vicenda ad opera del sig. NOME COGNOME con la complicità dell’amministratore del condominio, e la predisposizione di un piano criminoso finalizzato all’emissione di fatture per operazioni inesistenti o parzialmente tali. In definitiva, tutto il complesso di elementi indiziari offerti dall’Ufficio che si sarebbero dovuti esaminare globalmente, come richiede la Suprema Corte (Cass. n. 5374/2017) è stato pretermesso da parte della C.T.R. che ha valorizzato solo alcuni elementi del tutto generici ed irrilevanti.
Il deficit motivazionale che assiste la tecnica del rinvio per relationem alla motivazione di altre sentenze tra le medesime parti
sarebbe particolarmente evidente laddove la C.T.R. richiama sentenze relative ad anni di imposta diversi sol perché gli avvisi di accertamento derivavano dallo ‘stesso p.v.c. con medesime motivazioni’.
Il motivo è infondato.
8.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U. 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
8.2. Ciò posto, nel caso in esame la pronuncia soddisfa il minimo costituzionale, posto che, dalla pur sintetica motivazione, si evince che il ragionamento del giudice di seconde cure è stato nel senso
che non era configurabile alcuna evasione o elusione di imposta, dato che tutta l’Iva esposta nelle fatture era stata integralmente e regolarmente versata, né era stato oggetto di rilievi da parte della Guardia di Finanza o dell’Agenzia delle Entrate. La C.T.R. ha poi sottolineato che per gli anni di imposta 2008, 2009 e 2011 i ricorsi della società erano stati accolti e che due delle sentenze erano passate in giudicato. Quanto alla contestata plusvalenza, ha evidenziato che era stata scontata successivamente ad opera della conferitaria agli stessi valori rilevanti fiscalmente. Infine, circa il contestato ricorso al subappalto, ha ribadito che non erano applicabili i limiti previsti dalla legge per gli appalti pubblici, trattandosi di lavori privati.
La motivazione non può pertanto ritenersi apparente o illogica.
9.Con il secondo motivo, rubricato « violazione dell’art. 39 del d.p.r. n. 600/73, degli articoli 2697 e 2729 c.c. e degli articoli 19, 21 del d.p.r. 633/72 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c ., l’Ufficio osserva, in sintesi, che l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto ai rilievi sulla base di numerosi elementi presuntivi di rilevante gravità, a seguito delle indagini della G.D.F., che avevano accertato una condotta senza scrupoli, volta non solo a truffare i condomini, ma anche lo Stato per mezzo dell’enorme evasione fiscale attuata mediante emissione di fatture false, che avevano legittimato il recupero fiscale per operazioni oggettivamente e/o soggettivamente inesistenti, mentre controparte non aveva fornito alcuna prova di segno contrario. Riprodotto il p.v.c. integralmente e per riassunto, l’Ufficio evidenzia che, a fronte di discordanze che palesavano la sostanziale inattendibilità dell’impianto di rendicontazione del cantiere e l’emissione da parte dell’appaltatrice di fatture per lavori non effettuati o per valori sensibilmente superiori a quelli effettivi e degli ulteriori elementi indiziari forniti, relativi ai rapporti tra la società contribuente, la ditta appaltatrice,
le ditte subappaltatrici e l’amministratore del condominio, la C.T.R. non li aveva in alcun modo esaminati.
Il motivo è fondato.
9.1 . Si ricava all’avviso di accertamento trascritto nel ricorso che l’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 39 e dell’art. 41 bis del d.p.r. n. 600/73, nonché dell’art. 5 del decreto legislativo n. 446/1997, aveva contestato l’indebita deduzione di costi contabilizzati e dedotti per euro 416.702,75, a fronte delle fatture ricevute per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti; accertava inoltre l’omessa contabilizzazione di componenti positivi derivanti dalla cessione di immobili per euro 922.000,00 con emersione di una plusvalenza di euro 667.600,00; ai fini Iva, rilevava l’indebita detrazione di euro 274.385,93, con rimborso erogato di euro 204.000,00 per carenza del requisito di effettività, ai sensi dell’art. 19 del d.p.r. n. 633/1972; veniva inoltre recuperata l’Iva dovuta in relazione alla cessione di immobili per il valore imponibile di euro 922.000,00, con aliquota al 10% per euro 92.200,00. L’accertamento conseguiva alle indagini riguardanti i lavori di ristrutturazione del complesso edilizio denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sorto inizialmente come struttura alberghiera e successivamente, a seguito di cessione dei miniappartamenti, divenuto un unico condominio, comprensivo della parte dedicata all’attività alberghiera, acquisita nell’anno 2007 dalla società oggetto di controllo fiscale.
9.2. Questa Corte, in materia di prova per presunzioni, ha più volte statuito che il giudice, posto che deve esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli
intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012, Cass. n. 5374/2017).
9.3. Con riguardo in particolare alle operazioni oggettivamente inesistenti a fini Iva, secondo il costante orientamento di questa Corte, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia’ (cfr. Cassazione, pronunce nn. 3488/2024, Cass. n. 28628/2021 e 27554/2018).
9.4. In ipotesi di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 21192/2025), va ribadito che in tale ipotesi l’IVA non è, in linea di principio, detraibile, perché è stata versata ad un
soggetto non legittimato alla rivalsa e non assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto la fattura è emessa da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass. 30.10.2013, n. 24426); poiché il diniego del diritto di detrazione costituisce un’eccezione al principio di neutralità dell’IVA che tale diritto costituisce, incombe sull’Amministrazione finanziaria provare, anche sulla base di presunzioni, che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione (e segnatamente: che il soggetto emittente non era il reale cedente e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta), mentre spetterà al contribuente, una volta raggiunta questa prova, fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass. 20.04.2018, n. 9851); – per quanto riguarda la consapevolezza del cessionario, invece, occorre rilevare che, se a quest’ultimo non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale, tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione (Cass. 2.12.2015, n. 24490); – con riferimento al tipo di prova incombente sull’Amministrazione, è stato poi condivisibilmente affermato che può trattarsi sia di prova logica (o indiretta) sia di prova storica (o diretta), consistente anche in indizi integranti una presunzione semplice (Cass. n. 28246 del 2020), potendo essere valorizzati, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione dell’operazione da parte del fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti fra cedente/prestatore
fatturante interposto e cessionario/committente, la conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020); – anche di recente è stato ribadito che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era consapevole, disponendo di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 24471 del 2022); – il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi sia direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso) sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rapporto commerciale con l’emittente (Cass. n. 28165 del 2022). 9.5. Il giudice del gravame non ha applicato i principi sopra degli nell’atto enunciati, non avendo considerato il valore sintomatico elementi indicati dall’Amministrazione finanziaria impositivo (e richiamati, in ossequio al principio di autosufficienza, nel testo del ricorso per cassazione). La C.T.R. ha, di contro, valorizzato elementi irrilevanti, quali la mancata prova della
collusione tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, alterando le regole di ripartizione dell’onere probatorio gravanti sulle parti, in quanto si tratta di circostanza priva di rilievo, essendo sufficiente dimostrare la mancata diligenza dell’operatore.
10.Con il terzo motivo la difesa erariale denuncia « violazione art. 2909 c.c., 116 e 324 c.p.c., 124 disp. att. c.p.c., artt. 6 e 11 del D.L. 119/2018 e dell’art. 83 del d.l. 18/2020, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto decisivo il passaggio in giudicato delle sentenze n. 46 e n. 92 del 2019 della C.T.P. di Avellino, che in realtà non erano divenute definitive, in virtù della sospensione dei termini prevista dal D.L. n. 119/2018 e dalla normativa emergenziale COVID 19, basandosi sulle errate attestazioni rilasciate dalla segreteria, in violazione delle disposizioni sopra richiamate in tema di sospensione dei termini per proporre impugnazione. Inoltre, la C.T.R. aveva ritenuto decisivi e quindi vincolanti accertamenti che, quand’anche passati in giudicato, erano relativi ad anni di imposta diversi e non disponevano pertanto di efficacia riflessa.
Il motivo è fondato.
10.1. La C.T.R., nel ritenere passate in giudicato le sentenze della C.T.P. di Avellino n. 46 e 92, non ha tenuto conto della sospensione di nove mesi di cui all’art. 6, comma 141 del D.L. 119/2018 e dell’ulteriore sospensione dei termini di cui all’art. 83 del D.L. n. 83/2020, in virtù delle quali il termine per proporre appello, di fatto proposto, scadeva in data 12.5.2020 (Cass. n. 22502/2024), compiendo pertanto un errore di diritto.
11.Con il quarto ed ultimo motivo L’Agenzia delle Entrate deduce « violazione dell’art. 86 del d.p.r. 917/86 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. », per avere la C.T .R. ritenuto irrilevante la circostanza che le parti avessero considerato la cessione del ramo
di azienda fiscalmente neutrale laddove invece si trattava di vendita di appartamenti a prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato. Ai sensi dell’art. 2, comma 9 del Tuir, in caso di conferimenti o apporti in società, si considera corrispettivo il valore normale dei beni e dei crediti conferiti, con conseguente tassazione in capo alla conferente RAGIONE_SOCIALE del componente positivo di reddito di impresa costituente plusvalenza. L’A.F. era legittimata a dedurre la simulazione assoluta o relativa dei contratti o la loro nullità per frode alla legge tributaria, anche mediante presunzioni semplici.
Il motivo è fondato.
11.1.Con l’atto di gravame l’Agenzia delle Entrate ribadiva infatti che in data 14.7.20210 era stato stipulato un atto di conferimento del ramo di azienda relativo all’attività di costruzione, nel quale NOME interveniva quale amministratore unico e legale rappresentante sia della RAGIONE_SOCIALE (cedente) che della RAGIONE_SOCIALE (cessionaria); che secondo l’art. 9, comma 2 del T.U.I.R., in caso di conferimenti o apporti in società o in altri enti si considera corrispettivo conseguito il valore normale dei beni e dei crediti conferiti; che per tale principio ed in assenza di norme derogatorie espresse, il conferimento del complesso aziendale costituiva componente positivo di reddito di impresa costituente plusvalenza. In sintesi, i militari verbalizzanti avevano accertato, mediante le indagini espressamente menzionate nel PVC e richiamate nell’avviso di accertamento, che il valore attribuito agli appartamenti era notevolmente inferiore al prezzo di mercato e, considerato che la RAGIONE_SOCIALE non esercitava l’attività di costruzione di immobili, che gli appartamenti erano praticamente ultimati, che la cedente si accollava il costo dei lavori condominiali e che dopo pochi mesi dal conferimento del ramo di azienda la cessionaria li aveva venduti a privati, hanno ritenuto che l’operazione, apparentemente costituente cessione di ramo
d’azienda, esente da Iva ed in regime di neutralità fiscale ai fini delle imposte dirette, dissimulasse piuttosto una compravendita di appartamenti, con realizzazione di plusvalenza ed assoggettamento ad Iva.
11.2.La C.T.R., nell’esaminare l’appello dell’ufficio, riportato per autosufficienza nel presente ricorso (pagine da 29 a 31), ha omesso di valutare gli indizi offerti dagli accertatori, tratti dalle risultanze del P.V.C. redatto dalla Guardia di Finanza ed ha ritenuto decisiva una circostanza irrilevante (la plusvalenza è stata scontata successivamente dalla conferitaria RAGIONE_SOCIALE in occasione della vendita degli appartamenti), violando anche in questo caso i principi enunciati da questa Corte in materia di prova presuntiva, di cui al punto 9.2. della presente ordinanza.
12 . La sentenza va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla C.G.T.2 della Campania, sez. distaccata di Salerno, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo e motivato esame, applicando i richiamati principi di diritto, oltre che a liquidare le spese del giudizio di legittimità.
Nel contesto di una valutazione complessiva delle risultanze della più ampia vicenda processuale tra le parti, possono essere compensate le spese del giudizio n. 19151/2022 R.G. e poiché risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1 -quater, d.P.R., 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dispone la riunione dei giudizi n. 15806/2021 e n. 19151/2022;
rigetta il ricorso iscritto al n. RG 19151/2022 e compensa le spese processuali di detto giudizio;
accoglie il secondo, terzo e quarto motivo del ricorso n. 15806/2021, rigettato il primo; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza n. 6119/2020, depositata in data 14.12.2020 e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, per un nuovo e motivato esame, oltre che per liquidare le spese del giudizio di legittimità RG 15806/2021.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 17.6.2025.