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Operazioni inesistenti: onere della prova e indizi

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di operazioni inesistenti contestate a una società di commercio autoveicoli. La Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ignorato i numerosi indizi presentati dall’Agenzia delle Entrate per dimostrare la natura fittizia del fornitore. Il provvedimento ribadisce che la prova della frode può essere fornita anche tramite presunzioni gravi, precise e concordate, e che il giudice deve valutarle attentamente.

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Pubblicato il 13 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Fatture false e operazioni inesistenti: la Cassazione stabilisce il valore degli indizi

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia fiscale: per dimostrare l’esistenza di operazioni inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria può basarsi su un quadro di indizi gravi, precisi e concordati. Il giudice di merito non può ignorare tale quadro probatorio, limitandosi a considerare sufficienti i documenti formali prodotti dal contribuente. Vediamo nel dettaglio la vicenda.

I Fatti di Causa

Una società operante nel commercio di autoveicoli e i suoi soci impugnavano alcuni avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava, per l’anno d’imposta 2007, l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Secondo l’Agenzia, la società aveva simulato acquisti da un fornitore che era in realtà un soggetto fittizio, una ‘cartiera’ interposta in operazioni con soggetti esteri.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva solo parzialmente il ricorso, mentre la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, dando piena ragione alla società e ritenendo sufficienti gli elementi da essa prodotti (assegni, prezzi di acquisto e vendita). L’Agenzia delle Entrate, ritenendo la decisione errata, proponeva ricorso per Cassazione.

La prova delle operazioni inesistenti tramite presunzioni

L’Agenzia delle Entrate basava il suo ricorso su tre motivi, lamentando la violazione di norme tributarie e del codice civile in materia di prova. In sostanza, sosteneva che la Corte Regionale avesse erroneamente ritenuto sufficienti le prove documentali della società, ignorando il solido impianto presuntivo che dimostrava la natura fittizia del fornitore.

Tra gli indizi presentati dal Fisco vi erano:
* L’assenza di una sede operativa e di un magazzino del fornitore.
* La coincidenza tra la sede della ditta e il domicilio personale del titolare.
* La connotazione del fornitore come soggetto ‘nullatenente’, privo dei mezzi economici per sostenere tali operazioni commerciali.
* L’assenza di una minima organizzazione aziendale e di collaboratori.
* Il fatto che i pagamenti venissero regolati direttamente dalla società acquirente ai fornitori esteri.

Secondo l’Agenzia, la Corte Regionale aveva errato nel definire questi elementi come ‘soltanto indiziari’, senza soppesarli e valutarli nel loro complesso, rendendo così una motivazione apodittica e insufficiente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia, ritenendo fondato il primo motivo e assorbiti gli altri. La Suprema Corte ha censurato la decisione della CTR per essersi limitata ad affermare in modo assiomatico la regolarità delle operazioni sulla base della documentazione prodotta dalla contribuente (assegni, prezzi, ecc.), senza minimamente considerare il quadro indiziario fornito dall’Ufficio.

I giudici di legittimità hanno ricordato il consolidato principio secondo cui, in tema di operazioni inesistenti (in questo caso, soggettivamente), l’Amministrazione finanziaria può assolvere al proprio onere probatorio anche attraverso presunzioni. Spetta al Fisco dimostrare l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario della fattura di essere parte di un’evasione, basandosi su elementi oggettivi e specifici.

La motivazione della CTR, secondo la Cassazione, si è posta ‘in urto frontale’ con questi principi, sorvolando deliberatamente su tutti i profili presuntivi che l’Agenzia aveva allegato per dimostrare la natura di ‘cartiera’ del fornitore. Il compendio degli elementi indiziari non è stato ‘in alcun modo vagliato e soppesato’.

Conclusioni

La Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Sicilia per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi al principio di diritto secondo cui il giudice è tenuto a valutare l’intero complesso di indizi forniti dall’Amministrazione Finanziaria per provare l’esistenza di una frode fiscale. Non è sufficiente fermarsi alla regolarità formale dei documenti contabili quando sono presenti plurimi e concordanti elementi che ne smentiscono la veridicità sostanziale.

In caso di operazioni inesistenti, come può l’Amministrazione finanziaria provare la frode?
L’Amministrazione finanziaria può provare la frode e la consapevolezza del contribuente anche in via presuntiva, cioè sulla base di elementi oggettivi e specifici (indizi) che, nel loro complesso, siano gravi, precisi e concordati e dimostrino la natura fittizia dell’operazione o dei soggetti coinvolti.

Cosa significa che la motivazione di una sentenza è ‘apodittica’?
Significa che la motivazione è assertiva e dogmatica, presenta una conclusione come se fosse auto-evidente, senza però fornire un’adeguata analisi delle prove e un percorso logico-giuridico che spieghi come si è giunti a tale decisione. È considerata un vizio della sentenza.

Qual è il valore degli indizi nel provare l’esistenza di operazioni inesistenti?
Secondo la Cassazione, un quadro completo di indizi gravi, precisi e concordati ha pieno valore probatorio. Il giudice di merito non può ignorarli o sminuirli, ma ha l’obbligo di valutarli e soppesarli attentamente nel loro insieme per accertare la realtà sostanziale delle operazioni contestate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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