Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22695 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22695 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3468/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, n. 1260/2020, depositata il 25 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Uditi l’avvocato dello Stato NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -L ‘Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Brescia notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. T9H06A303586/2016 con cui contestava IVA pari a euro 500.301,75 relativa all’anno 2014 e ritenuta indebitamente detratta in quanto afferente a fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti.
La contestazione discendeva dal processo verbale di constatazione redatto in data 18 marzo 2015 dalla Guardia di Finanza -Nucleo di Polizia tributaria di Roma, a sua volta originato da una verifica fiscale effettuata nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE Quest’ultima era inserita in una rete di società che acquistavano e vendevano reciprocamente ingenti quantità di energia elettrica sul mercato telematico, realizzando in tal modo un meccanismo circolare in forza del quale la quantità di energia comprata era pari a quella venduta e i corrispettivi, pagati da ciascuna società per gli acquisti, erano pari a quelli incassati per vendite alle altre società inserite nella rete.
Più in particolare, a carico della RAGIONE_SOCIALE era emerso che il nome di questa società, priva di dipendenti, di strutture e di mezzi, con l’indicazione esatta dei quantitativi di energia elettrica comprati e venduti in transazioni intervenute con la suddetta RAGIONE_SOCIALE,
e dei relativi corrispettivi, figurava nei prospetti delle indicate operazioni ‘a somma zero’ con le diverse società che operavano in rapporto con la RAGIONE_SOCIALE, reperito dai verificatori nell’accesso presso quest’ultima. Anche le operazioni di acquisto e vendita effettuate nei diversi anni tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si erano tutte chiuse a saldo ‘zero’, vale a dire senza alcuna differenza né positiva né negativa tra le quantità di energia acquistate e quelle vendute, né tra i corrispettivi incassati e quelli pagati. Infine, il Gestore del mercato elettrico, interpellato dai verificatori, aveva riferito che nessuna delle operazioni indicate nel suddetto prospetto, apparentemente intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e le sue controparti, trovava riscontro nelle transazioni registrate nella Borsa elettrica.
La contribuente impugnava l’avviso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brescia sostenendo che le operazioni contestate consistevano in comuni e tipiche operazioni ‘back to back’, in cui due operatori acquistano e vendono reciprocamente l’energia, calcolando il saldo del dare e dell’avere solo al termine di tali negoziazioni.
La Commissione tributaria provinciale adita, con sentenza n. 759/01/2017 depositata in data 12 dicembre 2017, accoglieva il ricorso, ritenendo che l’Ufficio non avesse assolto l’onere della prova a proprio carico.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio proponeva atto di appello.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1260/2020 emessa in data 11 febbraio 2020 e depositata il 25 giugno 2020, respingeva l’appello e conseguentemente confermava la sentenza di primo grado.
-Avverso tale pronuncia l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Si è costituta la contribuente con controricorso.
La Procura generale ha depositato una requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente va disattesa la richiesta di riunione, essendovi trattazione nella medesima udienza dei procedimenti per cui è stata avanzata l’istanza, giacché le controversie sono relative ad atti di accertamento diversi.
Nel giudizio di cassazione, le finalità di economia processuale e di uniformità delle decisioni relative a casi identici, cui è ispirato l’obbligo della riunione previsto dall’art. 151 disp. att. c.p.c., come sostituito dall’art. 19, lett. f), del d.lgs. n. 40 del 2006, possono utilmente essere perseguite, in mancanza di un espresso riferimento della predetta disposizione al giudizio di legittimità, anche attraverso la trattazione di più cause riunibili nella medesima udienza e davanti allo stesso giudice, verificandosi in tale evenienza una situazione sostanzialmente assimilabile a quella del simultaneus processus in senso tecnico (Cass. n. 25288/2023).
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 comma 2 n.4 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 4 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale reso una pronuncia affetta da motivazione apparente in relazione al fatto decisivo avente ad oggetto la natura reale o fittizia delle operazioni sottese alle fatture contestate.
2.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art.
111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 4166/2024; Cass. n. 7090/2022).
Nel caso di specie una motivazione, sia pur essenziale, è presente, per cui non può dirsi leso il «minimo costituzionale», potendosi comprendere, dalla lettura della pronuncia, il ragionamento logico-giuridico seguito per giungere ad escludere il carattere fittizio delle operazioni contestate.
3. -Con il secondo motivo si prospetta, in subordine, la nullità della sentenza per violazione per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c., 19, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, 63, 168, 203, 273 Direttiva 2006/112/CE, 8, comma 2, d.l. 16/2012 conv. in l. n. 44/2012, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto che le operazioni di cessione e di acquisto di energia fossero da considerarsi reali, in quanto nel mercato dell’energia elettrica non vi è obbligo di registrare le operazioni e non è possibile la consegna fisica dell’energia elettrica, nonché perché gli elementi forniti dall’Ufficio non risultano integrare indizi gravi, precisi e concordanti.
3.1. -Il motivo è fondato.
In tema di IVA, l’onere della prova relativa alla presenza di operazioni oggettivamente inesistenti è a carico dell’Amministrazione finanziaria e può essere assolto mediante presunzioni semplici, come l’assenza di una idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), mentre spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni
contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 9723/2024).
Quanto al governo delle regole su cui si fonda la prova presuntiva, anche in riferimento alla distribuzione dell’onere della prova, compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione nomofilattica, il controllo della corretta applicazione dei principi contenuti nell’art. 2729, c.c., alla fattispecie concreta, poiché se è devoluta al giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729 c.c., per valorizzare gli elementi di fatto quale fonte di presunzione, tale giudizio è soggetto al controllo di legittimità se risulti che, nel violare i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice non abbia fatto buon uso del materiale indiziario disponibile, negando o attribuendo valore a singoli elementi, senza una valutazione di sintesi (Cass. n. 29802/2022; Cass. n. 10973/2017).
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), anche se preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perché è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e a un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (Cass. n. 9059/2018; Cass. n. 12002/2017).
Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente di fornire la prova contraria.
Nel caso di specie, nessuno di tali passaggi risulta correttamente svolto, incentrandosi la motivazione sul funzionamento sistema della borsa elettrica nazionale. Invero, l’Ufficio aveva valorizzato plurimi elementi indiziari che non risultano in alcun modo considerati, se non con un rinvio del tutto generico e apodittico alla prevalenza delle contestazioni della contribuente, incorrendo in tal modo la pronuncia in un vizio di sussunzione della fattispecie nella previsione normativa.
L’Agenzia delle entrate aveva evidenziato come tutte le società della rete facente capo a ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ dipendevano dai medesimi soggetti, ed erano in sostanza amministrate in modo promiscuo dal medesimo studio commerciale. Tali società non disponevano di alcuna struttura operativa né di personale. La corrispondenza rinvenuta nella verifica provava che le operazioni di scambio di energia tra le società venivano predeterminate, fissandone gli importi in anticipo. Nel periodo dal 2009 al 2013, inoltre, tutte le compravendite intercorse tra le società erano state ‘circolari’, nel senso che l’energia venduta dal primo cedente veniva infine retrocessa a quest’ultimo, e che tali compravendite per ciascuna delle società coinvolte avvenissero sempre ‘alla pari’, nel senso che l’energia acquistata, e i corrispetti vi pagati per tali acquisti, sistematicamente corrispondevano all’energia venduta e ai corrispettivi incassati per tali vendite, con un sistematico saldo ‘zero’, che escludeva qualsiasi profitto o intento speculativo. Tali elementi evidenziavano una cessione apparente di energia. In
questo modo, sfruttando le modalità operative del mercato telematico dell’energia elettrica, si escludeva la necessità di consegnare l’energia elettrica risultante dal saldo attivo tra energia acquistata ed energia venduta, posto che acquisti e vendite si compensavano integralmente.
La pronuncia impugnata non ha dunque rispettato il riparto dell’onere della prova (artt. 2697, 2729 c.c.), avendo l’amministrazione finanziaria dedotto presunzioni tali da dimostrare l’inesistenza delle operazioni, mentre sarebbe spettato al la contribuente la prova contraria. In tale contesto, non assume valore dirimente la descrizione del mercato dell’energia elettrica attraverso il sistema della borsa nazionale. Peraltro, l’Ufficio ha dedotto che nessuna delle operazioni, apparentemente intercorse tra RAGIONE_SOCIALE e le sue controparti, trovava riscontro nelle transazioni registrate nella Borsa elettrica. Al riguardo, in vicenda in cui si discorreva del meccanismo circolare di vendita dei medesimi quantitativi di energia agli stessi prezzi, tra società appartenenti al medesimo gruppo ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ , la Corte di giustizia dell’Unione europea (8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle entrate , causa C-712/17, cui ha fatto seguito la pronuncia di questa Corte: Cass. n. 29278/2023) ha specificato che, in una situazione in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relati va al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta,
anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
-L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del terzo, con cui si deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 19, comma 1, d.P.R. n. 633/1972, 63, 168, 203, 273 Direttiva 2006/112/CE, in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale ritenuto la detraibilità dell’Iva in contrasto con l’interpretazione delle disposizioni in rubrica fornita dalla Corte di giustizia nella sentenza 8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE C-712/17.
-La sentenza va dunque cassata impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria territorialmente competente anche per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, sezione staccata di Brescia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione