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Operazioni inesistenti: onere della prova e frodi IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33911/2024, ha cassato con rinvio una sentenza di merito in tema di operazioni inesistenti. La Corte ha ribadito che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce un quadro indiziario grave, preciso e concordante sulla frode IVA e sulla potenziale consapevolezza del contribuente, l’onere della prova si sposta su quest’ultimo. Il contribuente deve quindi dimostrare di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto. La sentenza impugnata è stata annullata per non aver correttamente applicato questo principio e per non aver valutato gli elementi probatori offerti dal Fisco.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: La Cassazione e l’Onere della Prova nelle Frodi IVA

La Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente su un tema cruciale del diritto tributario: la detrazione dell’IVA in presenza di operazioni inesistenti. Con la recente ordinanza n. 33911 del 2024, i giudici hanno fornito chiarimenti fondamentali sulla ripartizione dell’onere della prova tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente, specialmente nei complessi casi di frodi carosello. Questa pronuncia sottolinea l’importanza della diligenza richiesta all’imprenditore per non cadere, consapevolmente o meno, nelle maglie dell’evasione fiscale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società per l’indebita detrazione di IVA relativa all’anno 2004. L’Amministrazione Finanziaria contestava che le fatture ricevute si riferissero a operazioni soggettivamente inesistenti, ovvero prestazioni effettivamente eseguite, ma da soggetti diversi da quelli che avevano emesso le fatture. Tali operazioni si inserivano in un presunto schema di frode carosello.

La Commissione Tributaria Regionale, chiamata a decidere in sede di rinvio dopo una precedente cassazione, aveva dato ragione al contribuente. Secondo i giudici di merito, il fatto che i lavori fossero stati realmente eseguiti (seppur in subappalto) e regolarmente pagati era sufficiente a escludere la frode. Essi avevano inoltre erroneamente ritenuto che l’onere di provare la consapevolezza della frode in capo al ricevente delle fatture gravasse interamente sull’Ufficio, prova che ritenevano non fornita.

La Ripartizione dell’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

L’Amministrazione Finanziaria ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando che la sentenza regionale avesse travisato i principi consolidati in materia di operazioni inesistenti e onere della prova. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cogliendo l’occasione per riaffermare il proprio orientamento.

Il principio cardine è il seguente: quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche attraverso presunzioni, due elementi:
1. L’esistenza di uno schema fraudolento e la natura fittizia del fornitore (ad esempio, una società ‘cartiera’).
2. Gli elementi oggettivi che suggeriscono che il contribuente fosse a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza.

Una volta che il Fisco ha fornito un quadro probatorio dotato di indizi gravi, precisi e concordanti, l’onere della prova si inverte. Spetta allora al contribuente dimostrare la propria buona fede, ovvero di aver fatto tutto il possibile per verificare la genuinità dell’operazione e di non essere stato in grado, con la massima diligenza richiesta a un operatore accorto, di individuare la frode.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte ha stabilito che la Commissione Tributaria Regionale ha errato nel non applicare correttamente questo schema di ripartizione dell’onere probatorio. I giudici di merito avevano illegittimamente ignorato la mole di elementi indiziari forniti dall’Amministrazione Finanziaria. Tra questi, vi erano:
– La commistione tra i centri decisionali delle società coinvolte.
– Il fatto che le società emittenti le fatture fossero mere ‘cartiere’, prive di sede legale rintracciabile e di struttura operativa.
– Gravi inadempimenti fiscali da parte delle società fornitrici.
– Trasferimenti di quote societarie sospetti.
– La condivisione dello stesso studio di consulenza contabile tra la società contribuente e una delle ‘cartiere’.

Questi elementi, considerati nel loro complesso, avrebbero dovuto indurre il giudice di merito a ritenere assolto l’onere probatorio a carico del Fisco e, di conseguenza, a pretendere dal contribuente la prova contraria della propria buona fede.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sottolineando che la sentenza impugnata aveva commesso un doppio errore. In primo luogo, aveva confuso le operazioni inesistenti di tipo oggettivo con quelle di tipo soggettivo, valorizzando erroneamente il fatto che le opere fossero state materialmente eseguite. Nelle frodi soggettive, infatti, la prestazione esiste, ma è realizzata da un soggetto diverso da quello che la fattura. In secondo luogo, aveva completamente omesso di valutare gli indizi specifici che l’Ufficio aveva prodotto per dimostrare la consapevolezza della frode da parte della società acquirente.
La Cassazione ha chiarito che elementi come la mancanza di una struttura aziendale adeguata da parte del fornitore non sono irrilevanti, ma costituiscono, al contrario, un sintomo idoneo a far sorgere dubbi sulla regolarità dell’operazione. Ignorare tali segnali significa non adempiere a quel dovere di diligenza che è richiesto a ogni imprenditore.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per tutte le imprese. La lotta alle frodi IVA richiede la collaborazione attiva anche degli operatori economici, ai quali è richiesta una diligenza superiore alla media nel selezionare e verificare i propri partner commerciali. Non è sufficiente che una prestazione sia eseguita e pagata per garantire il diritto alla detrazione dell’IVA. È necessario assicurarsi che la controparte sia un soggetto economico reale e affidabile. In caso contrario, di fronte a un accertamento fiscale basato su solidi indizi di frode, il rischio di vedersi negata la detrazione e comminate pesanti sanzioni diventa estremamente concreto.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, su chi ricade l’onere della prova?
L’onere della prova è ripartito: inizialmente spetta all’Amministrazione Finanziaria fornire elementi, anche presuntivi, che dimostrino l’esistenza della frode e la potenziale consapevolezza del contribuente. Una volta assolta questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza e in buona fede.

Cosa deve dimostrare il contribuente per conservare il diritto alla detrazione IVA?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto in un’operazione fraudolenta. Deve cioè provare non solo di ‘non sapere’, ma di ‘non aver potuto sapere’ della frode, nonostante i controlli effettuati.

Quali elementi possono indicare l’esistenza di una frode e la consapevolezza del contribuente?
La sentenza elenca diversi indizi, tra cui: la mancanza di una reale struttura operativa da parte del fornitore (società ‘cartiera’), l’irreperibilità della sede legale, l’omissione di adempimenti fiscali, la commistione tra le compagini sociali delle società coinvolte e altre anomalie nelle relazioni commerciali che un imprenditore diligente dovrebbe notare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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