Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33911 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33911 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2521/2021 proposto da:
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del Curatore, rappresentata, difesa ed assistita dall’avvocato NOME COGNOME in virtù di procura allegata al controricorso (PEC: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della BASILICATA n. 601/1/2019, depositata in data 23 dicembre 2019, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza 7 novembre 2018, n. 28326, ha accolto l’appello proposto dalla società contribuente ( recte : ha rigettato il gravame presentato dall’Agenzia delle Entrate) avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza del 19 marzo 2007, la quale a sua volta aveva accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto un avviso di accertamento relativo al 2004 per maggiore IVA indebitamente portata in detrazione in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti poste in essere nel quadro di frodi carosello.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) dagli atti risultava pacificamente che le società emittenti le fatture avevano personalità giuridica, quindi, non potevano essere considerate inesistenti; che i lavori erano stati regolarmente effettuati se pure attraverso un subappalto e che i pagamenti erano stati regolari.
-) su l punto, l’ U fficio pur riconoscendo l’effettiva esistenza delle società emittenti deduceva che le operazioni dovevano considerarsi oggettivamente inesistenti in quanto dette società non avevano la capacità organizzativa necessaria per la realizzazione delle opere pur dando atto della produzione di contratti di subappalto;
-) potevano considerarsi soggettivamente inesistenti quelle operazioni commerciali che, pur essendo avvenute e per le quali il prezzo era stato regolarmente pagato, vedevano le parti della transazione (acquirente
e venditore/fornitore) diverse da quelle indicate nel documento fiscale (fattura);
-) la mancanza di capacità operativa (non capacità organizzativa) non poteva essere il presupposto per definire soggettivamente inesistente l’operazion e;
-) nella specie, sulla base di un accertamento basato sulla presunzione di operazioni soggettivamente inesistenti, sarebbe stato onere dell’ufficio non dimostrare la mancanza di capacità organizzativa, come fatto, ma dimostrare che il rapporto commerciale era intervenuto tra soggetti diversi da quelli risultanti dal documento fiscale e una tale prova era mancata;
-) in materia di operazioni soggettivamente inesistenti incombeva all’ U fficio dimostrare che il ricevente era ben consapevole dell’intento elusivo che si andava a porre in esser facendo fatturare le operazioni a soggetto diverso da quello che nella realtà le aveva eseguite;
-) una tale prova era necessaria dal momento che non si contestava alla contribuente che l’operazione era stata eseguita da soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture e cosa diversa era la materiale esecuzione delle opere edili (costruzione di un opificio industriale) che ben potevano avvenire mediante affidamento da parte della società che aveva acquisito il contratto di fornitura a mezzo di ditte subappaltatrici specializzate rimanendo l’operazione commercialmente corretta nel momento in cui, come avvenuto nel caso in esame, le società che avevano acquisito il contratto di esecuzione delle opere risultavano le medesime che avevano emesso le fatture.
L ‘Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La Curatela del Fallimento resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce, in relazione a ll’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 8 del decreto legge n. 74 del 2000 . La Commissione tributaria regionale aveva travisato la motivazione dell’avviso di accertamento avendo erroneamente osservato che l’Ufficio aveva sostenuto che le operazioni dovevano considerarsi oggettivamente inesistenti, in quanto le società non avevano la capacità organizzativa necessaria per la realizzazione delle opere, discostandosi in ciò da un punto non controverso quale era l’impianto motivazionale dell’accertamento fondato sull’inesistenza soggettiva delle operazioni descritte in fattura. Nel caso in esame, la natura fittizia delle operazioni si ricavava sulla scorta di plurimi elementi, da ritenersi gravi, precisi e concordanti, quali la sostanziale identità delle compagini tra le società che avevano rilasciato le fatture e la società ricorrente, il mancato rinvenimento delle sedi legali delle società RAGIONE_SOCIALE malgrado ripetuti tentativi di accesso, l’omissione di adempimenti fiscali, quali l’o messa presentazione di dichiarazioni ed omessi versamenti dell’Iva, e l’assenza di strumenti e maestranze in grado di realizzare gli opifici fatturati.
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 36 , comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale, nella motivazione, non aveva fatto alcun cenno agli elementi gravi, precisi e concordanti rappresentati dall’Ufficio nell’avviso di accertamento e negli atti processuali, venendo meno alle indicazioni dettate dalla Suprema Corte nell’ipotesi di operazioni inesistenti. Inoltre, i giudici di secondo grado avevano affermato erroneamente che l’Ufficio doveva dare la prova della consapevolezza del ricevente dell’intento elusivo in sede di
fatturazione delle operazioni a soggetto diverso da quello che in realtà le aveva eseguite, dovendo, piuttosto, essere data la prova della «mera connivenza», ovvero della complicità anche senza esservi parte attiva. Era onere della società contribuente, invece, dimostrare non solo di «non sapere», ma di «non potere sapere». La Commissione tributaria regionale, dunque, non aveva operato alcun riscontro sul puntuale adempimento dell’onere probatorio gravante sull’Ufficio e aveva omesso di valutare le prove fornite dalla società ricorrente sul proprio stato di consapevolezza di prendere parte ad una frode e sull’impiego della massima esigenza esigibile per sottrarsi a tale eventualità. Il Giudice regionale aveva omesso di esaminare le circostanze di fatto indi cate dall’Ufficio circa la commistione tra i centri decisionali della società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE e gli esiti emersi nel corso dell’attività istruttoria riportati nel processo verbale n. 103 del 2006 (la società RAGIONE_SOCIALE aveva emesso nel 2004 fatture per un imponibile di euro 11.375.600,00 senza effettuare versamenti Iva e senza presentare la comunicazione dei dati annuali ai fini Iva e il modello Unico per l’anno 2004; aveva la sede in un fabbricato che ospitava solo civili abitazioni; era partecipata da due persone fisiche e uno dei due soci (COGNOME Vittorio) risultava titolare, direttamente o per mezzo della società RAGIONE_SOCIALE unipersonale, del 75% delle azioni della società RAGIONE_SOCIALE; la società RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito più volte la sede legale da Melfi (PZ) in altre località dove risultava irreperibile non essendo state mai comunicate all’Amministrazione finanziaria le variazioni; vi erano stati trasferimenti di quote indicativi delle relazioni esistenti tra la società emittente e la società ricorrente; i soci erano COGNOME NOME e COGNOME NOME ai quali le quote erano pervenute da COGNOME COGNOME, legale rappresentante della società; il depositario delle scritture contabili era lo stesso studio della società ricorrente e dell’altra società emittente RAGIONE_SOCIALE.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente perchè connessi, sono fondati.
2.2 Deve premettersi che questa Corte, nella sentenza di rinvio n. 28326 del 7 novembre 2018, ha ritenuto fondato il primo motivo formulato della società RAGIONE_SOCIALE (con il quale è stata censurata « la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, n. 4) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione agli artt. 3, comma 1, 17, comma 1, 18, comma 1, 19, comma 1, del d.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, degli artt. 1655 e 1656, cod. civ., dell’art. 1, comma 1, lett. a) del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, nonché per insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio ») per contraddittorietà della motivazione sul punto decisivo della controversia relativo alla sussistenza di operazioni soggettivamente inesistenti, come contestate con l’atto impugnato, in quanto il giudice di appello « ha chiaramente osservato che le operazioni sarebbero state effettivamente realizzate, sebbene mediante subappalto, ed avendo, piuttosto, ritenuto esistente una sovrafatturazione rispetto a quanto commissionato dalla RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE ». In particolare questa Corte ha ritenuto che alcuni passaggi della sentenza impugnata (specificamente indicati alle pagine 8 e 9 della sentenza di rinvio) riguardavano la materia delle operazioni oggettivamente inesistenti: « l’ipotizzarsi di una sovrafatturazione, infatti (con il conseguente regime probatorio che da essa ne deriva) implica l’indicazione in fattura di un importo superiore a quello effettivamente corrisposto, ma, in quanto tale, la stessa rivela un’operazione solo parzialmente inesistente, cioè limitata alla parte eccedente rispetto a quella effettiva. Questo profilo, quindi, unito anche alla considerazione di cui alla sentenza in ordine al regime probatorio in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, si pone in termini di contraddittorietà con l’affermazione iniziale della sussistenza, nel caso di specie, di una operazione soggettivamente inesistente e, soprattutto, con la ragione
di contestazione contenuta nell’atto di accertamento impugnato, considerato che, nell’argomentare in ordine all’appello incidentale condizionato (relativo all’asserito vizio di motivazione dell’atto impugnato), la pronuncia censurata considera valido l’iter logico giuridico seguito dall’Ufficio nell’adozione dell’atto impugnato che, tuttavia, per come sopra precisato, si fondava sulla ritenuta esistenza di una illegittima detrazione IVA per operazioni soggettivamente inesistenti » (cfr. pagine 8, 9 e 10 della sentenza di questa Corte n. 28326 del 7 novembre 2018).
2.3 Ciò posto, la sentenza è stata cassata per motivazione contraddittoria sia con la considerazione spesa nella stessa sentenza dell’esistenza di operazioni soggettivamente inesistenti, sia con la motivazione dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate sul medesimo presupposto della sussistenza una volta di operazioni soggettivamente inesistenti; tenuto conto, dunque, del petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, rispetto al quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto, deve rilevarsi che il giudice di rinvio non si è uniformato al principio di diritto da essa enunciato; è evidente, infatti, che la Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, doveva accertare la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato, avente ad oggetto operazioni soggettivamente inesistenti, tenuto conto di tutti gli elementi documentali offerti dalle parti nel giudizio e nel rispetto dei principi dettati in tema di ripartizione dell’onere della prova , accertamento che è stato pienamente deferito al giudice di rinvio e che, come correttamente rilevato dall’Agenzia ricorrente , non ha ottemperato al compito devolutogli.
2.4 Ancora una volta va ribadito, infatti, che l’avviso di accertamento era stato emesso sul presupposto che la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE dovevano essere considerate società soggettivamente simulate e che le fatture erano state emesse per
operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente indetraibilità dell ‘I VA.
2.5 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questo Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
2.6 Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
2.7 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
2.8 E’ utile, in ultimo, precisare che l’operazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione
(Cass., 13 novembre 2009, n. 23987 del 2009; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719).
2.9 In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, «in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., 13 marzo 2013, n. 6229) » (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369 e, più di recente, cfr. anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea , 1 dicembre 2022, in C-512/21, paragrafi 26 -33).
2.10 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata;
con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza. Né in campo tributario sono previste limitazioni di efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, a vantaggio o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese.
2.11 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale non ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, non avendo operato alcun riscontro sul puntuale adempimento dell’onere probatorio gravante sull’Ufficio e avendo omesso di valutare le prove fornite dalla società ricorrente sul proprio stato di consapevolezza di prendere parte ad una frode e sull’impieg o della massima esigenza esigibile per sottrarsi a tale eventualità.
2.12 Ed invero, dalla lettura del ricorso per cassazione, che, sul punto, rispetta il principio di autosufficienza, in quanto in parte trascrive e in parte riporta il contenuto dell’avviso di accertamento in esame e del processo verbale n. 103 del 2006, emerge che l’Ufficio aveva fondato il recupero delle imposte, relativamente alle operazioni soggettivamente inesistenti su una serie di circostanze di fatto riguardanti la commistione tra i centri decisionali della società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE; in particolare, la società RAGIONE_SOCIALE aveva emesso nel 2004 fatture per un imponibile di euro 11.375.600,00 senza effettuare versamenti Iva e senza presentare la comunicazione dei dati annuali ai fini Iva e il modello Unico per l’anno 2004; aveva la sede i n un fabbricato che ospitava solo civili abitazioni; era partecipata da due persone fisiche e uno dei due soci (COGNOME Vittorio) risultava titolare, direttamente o per mezzo della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE unipersonale, del 75% delle azioni della società RAGIONE_SOCIALE; la società RAGIONE_SOCIALE aveva trasferito più volte la sede legale da Melfi (PZ) in altre località dove risultava irreperibile non essendo state mai comunicate all’Amministrazione finanziaria le variazioni; vi erano stati trasferimenti di quote indicativi delle relazioni esistenti tra la società emittente e la società ricorrente; i soci erano COGNOME NOME e COGNOME NOME ai quali le quote erano pervenute da COGNOME COGNOME legale rappresentante della società; il depositario delle scritture contabili era lo stesso studio della società ricorrente e dell’altra società emittente RAGIONE_SOCIALE
2.13 Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile: questi elementi, invece, sono stati
(illegittimamente) trascurati dalla Commissione tributaria regionale che, piuttosto, ha ritenuto esistenti le società emittente le fatture sulla base del solo presupposto che le stesse avessero personalità giuridica e del fatto comunque i lavori fossero stati eseguiti anche se in subappalto e regolarmente pagati; ancora una volta ha affermato (errando e disattendendo il decisum di questa Corte) che l’Ufficio avesse posto a fondamento dell’accertamento impugnato la sussistenza di operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto la mancanza di capacita operativa (e non organizzativa) non poteva essere il presupposto per definire soggettivamente inesistente l’operazione; in ultimo, che l’Ufficio non aveva fornito la prova che il rapporto commerciale fosse intervenuto tra soggetti diversi, disattendendo, tuttavia, gli elementi presuntivi pure dedotti dall’Ufficio nell’avviso di accertamento impugnato, nonché della consapevolezza dell’intento elusivo in capo alla società RAGIONE_SOCIALE. I giudici di secondo grado, nella sostanza, non hanno fatto corretto applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, omettendo di considerare una ulteriore varietà di elementi, introdotti dall’Agenzia in sede di accertamento e riproposti nella sede giudiziaria, sopra indicati, e tali, dunque, da comportare un evidente dubbio sulla regolarità delle operazioni oggetto delle fatture in contestazione; per contro, la sentenza ha valorizzato elementi privi di rilievo, quali la capacità operativa delle società emittenti le fatture e la sussistenza di contratti di subappalto con altre società subappaltatrici che avevano eseguito effettivamente le opere edili (nella specie la costruzione di un opificio industriale) e che avevano emesso le fatture, non considerando la circostanza che possono essere ritenute operazioni soggettivamente inesistenti anche quelle operazioni commerciali che sono state realizzate e regolarmente pagate e che, tuttavia, vedono come parti della transazione commerciale soggetti diversi (appaltatore sub appaltante e sub
appaltatore) rispetto a quelli indicati nelle fatture (committente e appaltatore).
2.14 È certo, in ogni caso, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode, in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito , che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981) e che il procedimento logico-valutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale non è, dunque, coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 4 dicembre 2024.