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Operazioni inesistenti: onere della prova e frode IVA

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33505/2024, interviene sul tema delle operazioni inesistenti a livello soggettivo. L’Agenzia delle Entrate aveva contestato a una società l’indebita emissione di fatture in esenzione IVA. La Corte ha stabilito che, una volta che l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti sulla partecipazione del contribuente a una frode, l’onere della prova si sposta su quest’ultimo. Il contribuente deve quindi dimostrare di aver adottato la massima diligenza per non essere coinvolto. La Corte ha anche ribadito che un’archiviazione penale non è vincolante per il giudice tributario.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti e Onere della Prova: La Cassazione Fa Chiarezza

L’ordinanza n. 33505 del 2024 della Corte di Cassazione torna su un tema cruciale del diritto tributario: le operazioni inesistenti e la ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione ribadisce principi consolidati, anche a livello europeo, fornendo indicazioni preziose per le imprese che vogliono operare nel rispetto della legalità ed evitare di essere coinvolte, anche inconsapevolmente, in complesse frodi IVA.

I Fatti del Caso

Una società si vedeva recapitare un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2010. L’Agenzia delle Entrate contestava l’emissione di fatture per operazioni considerate soggettivamente inesistenti. In pratica, secondo l’Amministrazione, le transazioni erano state effettuate a favore di soggetti privi di una reale struttura organizzativa, configurando così un’indebita esenzione dall’imposta. Il contenzioso, dopo vari gradi di giudizio, giungeva in Cassazione. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado aveva dato ragione al contribuente, ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito prove sufficienti a sostegno della propria tesi. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere probatorio.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

Il cuore della questione giuridica riguarda chi deve provare cosa quando si parla di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte Suprema, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, chiarisce in modo netto la dinamica probatoria:
1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: In prima battuta, spetta all’Ufficio dimostrare, anche tramite presunzioni, non solo l’esistenza di una frode, ma anche la consapevolezza o la colpevole negligenza del contribuente. L’Agenzia deve fornire elementi concreti (indizi gravi, precisi e concordanti) che suggeriscano che l’operatore economico sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un meccanismo di evasione dell’IVA.
2. Onere del Contribuente: Una volta che l’Amministrazione ha assolto al suo onere, la palla passa al contribuente. A questo punto, è suo compito fornire la cosiddetta ‘prova contraria’. Egli deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza richiesta a un operatore economico accorto e di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che la transazione non facesse parte di una frode.

L’Irrilevanza del Decreto di Archiviazione Penale

Un altro punto fondamentale toccato dall’ordinanza è il rapporto tra processo tributario e processo penale. La Corte di secondo grado aveva dato un peso eccessivo a un decreto di archiviazione emesso in sede penale a favore del contribuente. La Cassazione ribadisce il consolidato principio del doppio binario: i due processi sono autonomi e seguono regole probatorie differenti. Pertanto, un’archiviazione in sede penale non vincola il giudice tributario, il quale deve valutare autonomamente tutti gli elementi probatori disponibili, compreso il decreto stesso, ma senza considerarlo risolutivo.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso dell’Agenzia, evidenziando come il giudice del rinvio non si sia attenuto ai principi di diritto stabiliti in precedenza dalla stessa Corte. In particolare, il giudice di merito ha errato nel ritenere che l’Ufficio non avesse assolto al proprio onere probatorio, ignorando i molteplici elementi indiziari forniti dall’Amministrazione a sostegno della tesi della frode. Il giudizio di rinvio, secondo gli Ermellini, avrebbe dovuto concentrarsi sulla valutazione della prova contraria offerta (o non offerta) dal contribuente.
La Corte ha richiamato un’ampia giurisprudenza, sia nazionale che della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (casi Kittel, Bonik, Litdana, etc.), che uniformemente stabilisce standard rigorosi di diligenza per gli operatori economici. Un soggetto passivo IVA deve adottare tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere per assicurarsi che la propria operazione non lo conduca a partecipare a un’evasione d’imposta.

Le Conclusioni

La sentenza è stata cassata con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Questa ordinanza rafforza un messaggio chiaro per le imprese: la lotta alle frodi IVA richiede un ruolo attivo da parte di tutti gli operatori della catena economica. Non è sufficiente agire in buona fede; è necessario dimostrare di aver adottato tutte le cautele possibili per verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali. La semplice presenza di un’archiviazione penale non costituisce uno scudo sufficiente nel contenzioso tributario, dove valgono regole e standard probatori differenti e autonomi.

In caso di operazioni soggettivamente inesistenti, chi deve provare la frode?
Inizialmente, l’onere spetta all’Amministrazione Finanziaria, che deve fornire elementi, anche presuntivi, sulla consapevolezza del contribuente di partecipare a un’evasione IVA. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza.

Cosa deve fare il contribuente per difendersi dall’accusa di aver partecipato a una frode IVA?
Il contribuente deve fornire la prova contraria, dimostrando di aver adoperato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto. Deve provare di aver adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non si inserisse in uno schema evasivo, secondo criteri di proporzionalità.

Un decreto di archiviazione in sede penale ha valore nel processo tributario?
No, non ha un valore vincolante. In base al principio del ‘doppio binario’, il processo penale e quello tributario sono autonomi. Il decreto di archiviazione è solo uno dei tanti elementi di valutazione a disposizione del giudice tributario, ma non decide automaticamente l’esito della causa fiscale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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