Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12470 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12470 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 7128/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del rappresentante legale pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del LAZIO, n. 5160/2023, depositata il 14 settembre 2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, definitivamente pronunciando sugli appelli proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 13562/2021 e n. 12986/2021, nonché sull’appello della Media Group s.r.l. avverso la sentenza n. 1380/2022, riguardanti distinti avvisi di accertamento, emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dall’Agenzia delle Entrate, relativi ad Iva ed altro per le annualità 2015, 2016 e 2017, ha così provveduto: « accoglie gli appelli dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale INDIRIZZO di Roma e rigetta quello della RAGIONE_SOCIALE.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che dovevano essere condivise le argomentazioni di cui alla sentenza n. 12986/2021 della Commissione tributaria provinciale di Roma in relazione ai rapporti intercorsi tra la società RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE che aveva valorizzato i plurimi elementi indiziari di chiara portata gravatoria precisati dall’Ufficio e così: -) il fatto che la RAGIONE_SOCIALE fosse risultata priva di una struttura amministrativa e tecnico-logistica e che le due società avevano la stessa sede operativa e condividevano strutture, apparati e linea telefonica; ) non vi era certezza sull’effettività e la collocazione temporale dei contratti di subappalto in quanto gli stessi erano stati affidati a semplici scritture private non registrate; -) l’utilizzo da parte della RAGIONE_SOCIALE per l’espletamento dei servizi per conto della
RAGIONE_SOCIALE di automezzi concessi in comodato d’uso gratuito da quest’ultimo per l’espletamento di servizi per conto di quest’ultima , situazione che non era spiegabile per i lavori che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva in proprio ed, inoltre, dall’esame delle scritture private non risultava che gli automezzi erano stati messi a disposizione dalla Committente; -) i soci lavoratori derivavano tutti dalla RAGIONE_SOCIALE, altra cooperativa riferibile alla famiglia COGNOME e non erano consapevoli del passaggio alla RAGIONE_SOCIALE avendo come referenti soggetti riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE; -) i clienti e i fornitori della RAGIONE_SOCIALE avevano dichiarato che i loro referenti erano soggetti dipendenti della RAGIONE_SOCIALE e che non c’era una chiara distinzione tra le due società; -) le gravi irregolarità e le violazioni fiscali poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE dovevano essere conosciute dalla RAGIONE_SOCIALE stanti gli stretti rapporti interpersonali tra le famiglie cui le società facevano capo.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che, a fronte di tali elementi indiziari, la RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato l ‘effettività dell’attività della RAGIONE_SOCIALE in quanto la regolarità formale della sua attività, verificata dal Ministero delle attività produttive, non era prova sufficiente dell’effettività oggettiva e soggettiva delle operazioni contestate come inesistenti.
Da ultimo, la CGT2 aveva ritenuto che dovevano essere disattese le prospettazioni difensive in tema di Irap, recepite dall’impugnata sentenza n. 1380/2022, in quanto era irrilevante la circostanza che tale ripresa a tassazione non era stata prospettata nel p.v.c. giacché la stessa era stata inserita, per tutte le tre annualità, nell’avviso di accertamento, unico atto con rilevanza esterna; inoltre, i costi relativi alle prestazioni oggetto delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, per tutte e tre le annualità, non potevano essere dedotti ai fini dell’Irap poiché risultavano, in realtà, effettuate da personale sostanzialmente
impiegato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE ma dalla stessa non formalmente assunto a tempo indeterminato.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a un motivo, cui resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Con proposta ex art. 380 bis , comma 1, cod. proc. civ., debitamente comunicata, il consigliere delegato ha concluso per la manifesta inammissibilità del ricorso e il ricorrente ha tempestivamente presentato rituale istanza di decisione del ricorso corredata da nuova procura speciale, ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c.
CONSIDERATO CHE
Il primo ed unico mezzo deduce, ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, all’art. art. 19 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 e agli artt. 5 e 25 d.lgs. n. 546 del 1992. Si eccepisce il vizio di motivazione della sentenza impugnata per aver erratamente/falsamente applicato la normativa sulla detraibilità Iva, deducibilità dei costi e ripartizione dell’onere della prova, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti. La società contribuente aveva fornito numerosi elementi finalizzati a dimostrare non solo l’ «esistenza» (effettiva e non meramente cartolare) della Service, ma anche la sua capacità di agire autonomamente, avuto riguardo alla condivisione della sede operativa e della linea telefonica, alla autonomia ed indipendenza della RAGIONE_SOCIALE, alla assenza di veicoli intestati alla Service, ai rapporti tra le parti basati su contratti di subappalto, formalizzati tramite scritture private non registrate (allegato n. 7 al P.V.C), alle dichiarazioni di alcuni soci lavoratori secondo cui non vi era distinzione tra le due società a livello gestionale. La conferma della valenza probatoria di tutti i sopra elencati
elementi addotti e, di converso, della precarietà degli indizi raccolti dall’Ufficio, la si ritrova va nelle sentenze n. 1380/2022 (anno 2016) e n. 13562/2021 (anno 2015) nelle quali, i rispettivi Collegi avevano affermato che l’Ufficio non aveva assolto l’onere probatorio a proprio carico, facendo così venir meno la legittimità degli avvisi di accertamento, « in quanto gli elementi probatori valorizzati non rappresentano degli indizi gravi, precisi e concordanti in grado di avvalorare la tesi dell’inesistenza di fatto della RAGIONE_SOCIALE » (cfr. sentenza n. 1380/2022) Inoltre, particolare rilievo doveva essere riconosciuto alle revisioni ministeriali biennali superate con successo dalla RAGIONE_SOCIALE, in quanto la verifica condotta dai revisori del Ministero non era limitata al controllo dei documenti contabili o al mero adempimento degli obblighi fiscali. Orbene, la tesi dell’Agenzia Entrate , secondo cui vi era una sostanziale identità tra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE ed, in particolare, che quest’ultima venisse, di fatto, gestita come una normale società di capitali , si scontrava con l’attestazione da parte del revisore del Ministero del rispetto dei principi mutualistici. Con riferimento ai rilievi Irap, anche volendo accogliere la tesi dell’Ufficio secondo cui i costi contestati andavano riclassificati come costi del personale anziché come costi per servizi, la deducibilità IRAP sarebbe stata comunque assicurata dal fatto che tutti i lavoratori della Service (che secondo la tesi dell’Ufficio erano stati impiegati dalla RAGIONE_SOCIALE) erano stati tutti assunti a tempo indeterminato. Pertanto, se la RAGIONE_SOCIALE avesse sopportato il costo di tale personale dipendente, avrebbe avuto diritto anche alle corrispondenti deduzioni di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997. Le circostanze evidenziate nel PVC della Finanza e riprese in accertamento non potevano, dunque, essere considerate prove, o meglio indizi gravi precisi e concordanti idonei a far ritenere assolto l’onere della prova gravante, in prima battuta,
sull’Agenzia Entrate , mentre la società ricorrente aveva ampiamente assolto l’onere a proprio carico e dimostrato altresì la propria buona fede, anche oltrepassando il limite di 250.000 euro annui, oltre i quali si configurava reato ai sensi del d.lgs. n. 74 del 2000.
1.1 Il motivo è inammissibile in quanto si tratta, all’evidenza, di una doglianza diretta a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
Inoltre, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., 19 luglio 2021, n. 20553).
Ed invero, il giudizio di merito non può essere ulteriormente revisionato in questa sede, tenuto conto del principio di diritto secondo cui « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica,
l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
1.2 Ciò posto, nel caso in esame, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha affermato che i plurimi elementi indiziari posti a fondamento dell’Ufficio degli avvisi di accertamento riguardanti gli anni d’imposta 2015, 2016 e 2017, avevano una « chiara portata gravatoria» ( 1) il fatto che la RAGIONE_SOCIALE fosse risultata priva di una struttura amministrativa e tecnico-logistica e che le due Società avessero la stessa sede operativa e condividessero strutture, apparati e linea telefonica (apparendo priva di pregio la giustificazione data dall’Amministratore della RAGIONE_SOCIALE, di cui si è dato conto sopra e recepita dalla C.T.P. nell’impugnata sentenza n. 1380/2022, giacché essa non valeva a spiegare una così diffusa commistione per un lungo periodo, situazione che era al di fuori di ogni ordinario canone di gestione commerciale, anche volendo considerare gli asseriti stretti i rapporti con la famiglia proprietaria della RAGIONE_SOCIALE); 2) la circostanza che i contratti di subappalto fossero stati affidati a semplici scritture private non registrate, che non davano alcuna certezza sulla loro effettività e sulla loro collocazione temporale; 3) l’utilizzo, da parte della RAGIONE_SOCIALE per l’espletamento dei servizi per conto della RAGIONE_SOCIALE, di automezzi concessi in comodato d’uso gratuito da quest’ ultima, situazione non spiegabile per i lavori che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva in proprio, a meno di volerla considerare il portato di una mera, quanto immotivata, liberalità da parte della RAGIONE_SOCIALE, dato il forte impatto economico di una siffatta scelta; 4) dall’esame della prima delle due scritture private non si ricavava che gli automezzi da utilizzare per i trasporti sarebbero stati messi a disposizione dalla Committente (anzi, taluni passaggi della relativa scrittura privata – quali la previsione di mettere «a disposizione presso il magazzino indicatogli dal Committente … il numero di automezzi adeguato …» e di «eseguire le prestazioni oggetto del presente contratto con automezzi in buono stato di efficienza meccanica e in regola con tutte le vigenti normative in tema di circolazione stradale, di autotrasporto e in generale di trasporto di cose» – inducevano a ritenere che il subappaltatore avrebbe dovuto utilizzare mezzi propri); 5) il fatto che, nella maggior parte dei casi, gli stessi soci lavoratori derivavano tutti dalla Media
RAGIONE_SOCIALE, altra cooperativa riferibile alla famiglia COGNOME (e non risultavano consapevoli del passaggio alla RAGIONE_SOCIALE, avendo come referenti sempre soggetti che all’esito dell’indagine sono risultati riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE); 6) le dichiarazioni dei clienti e fornitori della RAGIONE_SOCIALE in ordine alla circostanza che i loro referenti erano sempre stati soggetti dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (in particolare, NOME COGNOME, già rappresentante legale della Società e figlio dell’Amministratore unico della stessa, NOME COGNOME) e che non vi era una chiara distinzione tra le due Società, come comprovato anche dalla significativa email del 15 marzo 2017 menzionata dall’Ufficio nei sui appelli ; 7) le gravi irregolarità e violazioni fiscali poste in essere dalla RAGIONE_SOCIALE nel triennio 2015-2017 (mancato versamento dell’I.V.A. per un importo complessivo di euro 543.235,00 e imposte non versate per oltre 1,5 milioni di euro), che era difficile considerare ignote alla RAGIONE_SOCIALE, stanti gli stretti rapporti interpersonali tra le famiglie cui le Società facevano capo ) e che, a fronte degli elementi indiziari a carico, la società RAGIONE_SOCIALE non aveva dimostrato l’effettività dell’attività della RAGIONE_SOCIALE né rivestiva portata liberatoria l’esito d ella verifica effettuata dal Ministero delle Attività produttive nei primi mesi del 2017 sul biennio 2015-2016, in quanto detta ispezione si era incentrata su profili di mera regolarità formale dell’attività della RAGIONE_SOCIALE e, quindi, ad essa non poteva essere riconosciuta quella granitica valenza di prova contraria della fittizia interposizione rilevata dall’Ufficio . Da ultimo, i giudici di secondo grado hanno confermato pure i rilievi in materia di I.R.A.P., ritenendo, per quel che rileva in questa sede, che si era in presenza di una contestazione che si basava sulla circostanza che per le tre annualità in esame le fittizie prestazioni lavorative oggetto delle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE erano state, in realtà, effettuate da personale sostanzialmente impiegato alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE ma dalla stessa non formalmente assunto a tempo indeterminato e, dunque, i relativi costi non potevano essere dedotti ai fini dell’I.R.A.P., trattandosi di costi da lavoro non rientranti nelle eccezioni di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997.
1.3 I giudici di secondo grado, dunque, hanno fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in tema di operazioni soggettivamente inesistenti sia ai fini delle imposte dirette, che ai fini IVA, e di criteri di ripartizione dell’onere della prova ad esso correlati.
1.4 In proposito, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
Dunque, questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, ha affermato che incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate
fossero effettivamente rifornite dalla società cedente e che l’onere probatorio incombente sul destinatario può essere articolato su una pluralità di livelli e può investire sia l’asserito carattere di anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività conoscitiva preventiva eventualmente posta in essere da cui emergeva, in ordine all’effettività ed operatività dell’impresa interposta, un esito tranquillizzante, mentre non potevano essere esperibili, né tantomeno esigibili, accertamenti più incisivi, essendo priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture, quanto sulle evidenze contabili dei pagamenti quanto, infine, sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio perché i prezzi di vendita erano conformi o superiori alla media di mercato, perché si tratta di circostanze, le prime, già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente (e relative a dati e documenti facilmente falsificabili), e, l’ultima, perché riferita ad un dato di fatto esterno alla fattispecie tipica ed inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, citata).
1.5 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa
rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione e, di recente, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 1 dicembre 2022, in C -512/21, paragrafi 26 -33). 1.6 Ciò posto, il giudice tributario di merito, investito della controversia avente ad oggetto l’atto impositivo, deve previamente valutare, con giudizio di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza degli indizi motivanti l’atto medesimo, esaminandoli sia singolarmente sia nel loro complesso, ed esponendo adeguatamente l’esito di tale giudizio nella motivazione della sentenza. Quando egli ritiene, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità (non necessariamente di certezza), che detti indizi sono sufficienti a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, con riguardo, nel caso delle frodi carosello, all’esistenza dell’organizzazione fraudolenta, alla partecipazione ad essa del contribuente o, quanto meno, alla consapevolezza da parte sua di avvantaggiarsi della frode con danno dell’erario, la domanda dell’amministrazione deve ritenersi provata; con la conseguenza che si sposta a carico del contribuente, secondo la regola generale ricavabile dall’art. 2727 cod. civ. e ss., e dall’art. 2697, comma secondo, cod. civ., l’onere di provare eventuali fatti a suo favore; la mancata deduzione di idonea prova contraria, fin dall’atto introduttivo del giudizio, o l’insuccesso di essa, comportano l’accoglimento della pretesa del fisco fondata su valide presunzioni. In tale contesto, le dichiarazioni rilasciate da terzi; le risultanze delle indagini condotte nei confronti di altre società; gli atti trasmessi dalla guardia di finanza, risultanti dall’attività di polizia giudiziaria, senza esclusione di altri atti, se contenuti negli atti (come il processo verbale di constatazione) allegati all’avviso di rettifica notificato o trascritti essenzialmente nella motivazione dello stesso, costituiscono parte integrante del materiale
indiziario e probatorio, che il giudice tributario di merito è tenuto a valutare dandone adeguato conto nella motivazione della sentenza. Né in campo tributario sono previste limitazioni di efficacia degli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria per il fatto, in particolare, che il difensore del contribuente non abbia partecipato alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso; il contenuto di tale atto, d’altronde, costituisce semplice indizio nel processo tributario, ed il giudicante di merito è tenuto a prenderlo in considerazione, a vantaggio o contro il fisco, nel quadro delle complessive acquisizioni processuali, con piena facoltà d’intervento delle difese.
1.7 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali, valorizzando elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimostrare ch e «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile; non sussiste, pertanto, l’ errore di diritto, così come dedotto dalla società ricorrente, avendo la sentenza valorizzato elementi aventi rilievo indiziario e rilevanti ai fini della configurabilità della sussistenza delle operazioni soggettivamente inesistenti contestate. È certo, in ogni caso, e salvo la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode , in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito , che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981) e che il procedimento logico-
valutativo seguito dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado o coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
Per quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della società ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di lite, liquidate come da dispositivo; inoltre, per effetto di quanto previsto dal novellato art. 380 bis, comma 3, c.p.c., stante la conformità tra la proposta (opposta) e la presente decisione, la società ricorrente va condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, di un ulteriore importo, ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. e in favore della cassa delle ammende, di un ulteriore importo, ai sensi dell’art. 96, c omma 4, c.p.c. (cfr. anche Cass., Sez. U, 27 settembre 2023, n. n. 27433).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente , al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 8.200,00 per compenso professionale, oltre le spese prenotate a debito e dell’ulteriore importo di euro 4.100,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della cassa delle ammende, dell’importo di euro 2.050,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.