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Operazioni inesistenti: onere della prova e frode

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8914/2024, ha chiarito l’onere della prova in casi di operazioni soggettivamente inesistenti. La Corte ha stabilito che la semplice regolarità contabile non basta a dimostrare la buona fede dell’acquirente in una frode carosello. L’Amministrazione finanziaria può utilizzare prove presuntive, come la gestione di fatto comune tra le società coinvolte, per dimostrare la consapevolezza della frode. La sentenza impugnata è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: Onere della Prova e Frode IVA

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema delle operazioni soggettivamente inesistenti e della ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente. La decisione chiarisce che, nell’ambito di una frode carosello, la mera regolarità formale della contabilità non è sufficiente per il contribuente a dimostrare la propria buona fede e il diritto alla detrazione dell’IVA. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi espressi dai giudici.

I Fatti del Caso

Il caso nasce da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una società operante nel commercio di metalli preziosi. L’Amministrazione finanziaria contestava la detrazione dell’IVA relativa a costi per acquisti ritenuti parte di una complessa frode carosello. Secondo la ricostruzione del Fisco, la società contribuente agiva come “società filtro”, interponendosi fittiziamente in una catena di compravendite.

In sostanza, la merce proveniva da fornitori esteri, veniva fatturata da una società italiana (la “cartiera”) alla società contribuente, che a sua volta la rivendeva a un cliente finale. Tuttavia, le indagini avevano rivelato che sia la società contribuente sia la sua fornitrice erano di fatto gestite dalle medesime persone, un padre e un figlio, che agivano da un’unica “cabina di regia”. Questa circostanza, secondo l’Agenzia, dimostrava la mancanza di un’autonoma struttura operativa della società contribuente e la sua piena consapevolezza del meccanismo fraudolento.

La Commissione Tributaria Regionale aveva annullato l’accertamento, ritenendo che l’Agenzia non avesse fornito prove sufficienti del ruolo di “cartiera” della contribuente e che, di fronte alla regolarità formale delle scritture contabili, l’onere della prova non fosse stato assolto.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando due vizi principali:
1. Omesso esame di un fatto decisivo: la Commissione Tributaria Regionale non avrebbe considerato un elemento cruciale emerso dalle indagini, ovvero la comune gestione di fatto della società contribuente e della sua fornitrice da parte degli stessi soggetti.
2. Violazione delle norme sull’onere della prova: la CTR avrebbe errato nell’attribuire valore decisivo alla regolarità formale delle registrazioni contabili, ignorando i principi consolidati in materia di operazioni soggettivamente inesistenti.

La Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame.

Le implicazioni sull’onere della prova per operazioni soggettivamente inesistenti

I giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale: in tema di IVA e frodi, l’onere della prova è ripartito. Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche tramite presunzioni, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario della fattura di essere parte di un’evasione. Elementi come la gestione comune di più società della filiera costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti.

L’insufficienza della regolarità contabile

Una volta che l’Ufficio ha fornito tali elementi presuntivi, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo non può limitarsi a provare la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti. Deve, invece, dimostrare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto nell’operazione fraudolenta. La semplice esibizione del registro acquisti IVA, come avvenuto nel caso di specie, è del tutto insufficiente a tal fine.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto che il giudice di secondo grado avesse commesso un duplice errore. In primo luogo, ha ignorato un fatto storico controverso e decisivo: la comune amministrazione di fatto delle due società, che rappresentava un forte indice presuntivo della mancanza di autonomia operativa della società contribuente e, di conseguenza, della sua consapevolezza di agire come mero filtro. Questo elemento, se correttamente esaminato, avrebbe potuto condurre a una decisione diversa.

In secondo luogo, la CTR ha applicato in modo errato le regole sulla prova. Ha invertito l’onere probatorio, ritenendo assolto quello del contribuente sulla base della sola produzione del registro acquisti, senza considerare che, di fronte agli indizi forniti dall’Agenzia, la prova della buona fede richiede un quid pluris. La giurisprudenza, sia nazionale che unionale, è costante nell’affermare che la lotta alle frodi IVA impone al contribuente un dovere di diligenza che va oltre la mera apparenza formale.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida l’orientamento della Cassazione in materia di frodi carosello e operazioni soggettivamente inesistenti. Per le imprese, il messaggio è chiaro: non basta assicurarsi che le fatture siano formalmente corrette e che i pagamenti avvengano tramite canali tracciabili. È necessario adottare una diligenza rafforzata nella scelta dei propri partner commerciali, verificandone l’affidabilità e la struttura operativa. In caso di contestazione da parte del Fisco, la prova della propria estraneità al meccanismo fraudolento deve essere concreta e sostanziale, poiché la sola apparenza di regolarità non sarà sufficiente a vincere le presunzioni dell’Amministrazione finanziaria.

Cosa sono le operazioni soggettivamente inesistenti?
Sono transazioni commerciali realmente avvenute, ma in cui i soggetti indicati nelle fatture (generalmente il venditore) sono diversi da quelli che hanno effettivamente realizzato l’operazione. Questo schema viene tipicamente usato nelle frodi fiscali.

Come può l’Agenzia delle Entrate provare il coinvolgimento di un’azienda in una frode carosello?
L’Agenzia può utilizzare prove presuntive, basate su elementi oggettivi e specifici. La sentenza evidenzia che la dimostrazione di una gestione di fatto comune tra la società acquirente e quella fornitrice è un forte indizio della consapevolezza di partecipare alla frode.

È sufficiente avere la contabilità in ordine per dimostrare la propria buona fede in caso di accertamento per frode IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la mera regolarità della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente. Il contribuente deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza possibile per un operatore accorto per assicurarsi di non essere coinvolto in un’operazione fraudolenta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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