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Operazioni inesistenti: onere della prova e firma

Una società impugna un avviso di accertamento per l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La Corte di Cassazione ha respinto la maggior parte dei motivi relativi all’onere della prova e alla qualifica del fornitore come ‘società cartiera’. Tuttavia, ha accolto il ricorso per l’omessa pronuncia del giudice di merito sull’eccezione relativa alla mancanza di firma sull’avviso di accertamento, cassando la sentenza con rinvio per un nuovo esame su questo specifico punto.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione tra Prova e Vizi Formali

La lotta all’evasione fiscale basata sull’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti rappresenta una delle sfide costanti per l’Amministrazione Finanziaria. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7966 del 25 marzo 2024, offre un’analisi dettagliata dei principi che governano questa materia, evidenziando come, accanto alle questioni di merito sulla prova della frode, i vizi formali dell’atto impositivo possano assumere un’importanza decisiva. Il caso riguarda una società che si è vista recapitare un avviso di accertamento per costi e IVA indetraibili, derivanti da fatture emesse da un fornitore ritenuto una ‘società cartiera’.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore energetico si vedeva notificare un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2012. L’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi ai fini IRES e IRAP e la detrazione dell’IVA relativa a 17 fatture emesse da un’altra società. Secondo l’Ufficio, tali fatture documentavano operazioni oggettivamente inesistenti, in quanto il fornitore era una mera ‘cartiera’, una società fittizia creata al solo scopo di emettere documenti fiscali falsi.

Il contenzioso, dopo un primo grado che aveva solo ridotto le sanzioni, approdava in Commissione Tributaria Regionale, la quale respingeva l’appello principale della società. Quest’ultima decideva quindi di ricorrere per Cassazione, affidando le proprie ragioni a ben venticinque motivi di ricorso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato dettagliatamente i numerosi motivi di doglianza, rigettandone la quasi totalità ma accogliendone uno, risultato poi decisivo per le sorti del giudizio.

L’Onere della Prova nelle Operazioni Inesistenti

La Corte ha ribadito il consolidato orientamento in materia di onere della prova. Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti (quali la mancanza di una sede operativa, l’assenza di utenze, dati finanziari palesemente anomali, fornitori a loro volta evasori totali) per dimostrare che il soggetto emittente le fatture è una ‘cartiera’, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Sarà quest’ultimo a dover dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non essendo sufficiente la sola esibizione della fattura. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che gli elementi portati dall’Agenzia fossero più che sufficienti a qualificare il fornitore come società fittizia e che la società contribuente non avesse fornito prove adeguate a superare tale presunzione.

Il Principio del Ne Bis in Idem e il Diritto di Difesa

Il ricorrente aveva sollevato questioni sulla natura penale delle sanzioni tributarie e sulla presunta violazione del principio del ne bis in idem (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto). La Cassazione ha respinto tali argomentazioni, confermando la natura amministrativa delle sanzioni fiscali e l’inapplicabilità del principio in assenza della prova di un parallelo procedimento penale. Allo stesso modo, è stata rigettata la censura sulla violazione del diritto di difesa per mancato accesso agli atti di verifica compiuti nei confronti della società fornitrice. La Corte, richiamando la giurisprudenza europea, ha sottolineato che tale diritto non è assoluto e che il contribuente deve dimostrare quale concreto pregiudizio abbia subito dalla mancata conoscenza di tali atti.

L’Omessa Pronuncia sul Difetto di Firma: il Vizio Decisivo

Nonostante il rigetto di quasi tutti i motivi, la Corte ha accolto il ventunesimo motivo di ricorso. La società aveva eccepito, sia in primo che in secondo grado, il difetto di firma sull’avviso di accertamento. La Commissione Tributaria Regionale, nella sua sentenza, aveva completamente ignorato tale eccezione, non pronunciandosi in alcun modo su di essa. Questo comportamento integra il vizio di ‘omessa pronuncia’ (violazione dell’art. 112 c.p.c.), che si verifica quando il giudice non si esprime su una domanda o un’eccezione ritualmente proposta. Tale vizio procedurale è stato ritenuto talmente grave da comportare la cassazione della sentenza.

le motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte riaffermano principi cardine del diritto tributario. In primo luogo, viene consolidato il meccanismo di ripartizione dell’onere probatorio nelle controversie su operazioni fittizie. In secondo luogo, si chiariscono i confini del diritto di difesa del contribuente, che non può pretendere un accesso indiscriminato a tutti gli atti dell’amministrazione senza dimostrare un pregiudizio concreto. Infine, e con impatto decisivo sul caso, la Corte sottolinea l’inderogabile dovere del giudice di pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate dalle parti. L’omissione su un punto, anche se di natura formale come la firma dell’atto, costituisce un errore procedurale che inficia la validità dell’intera decisione di merito.

le conclusioni

La sentenza dimostra in modo emblematico come, in un contenzioso tributario, la vittoria o la sconfitta possano dipendere non solo dalla solidità delle prove sul merito della pretesa fiscale, ma anche dalla correttezza procedurale. Per le imprese, ciò significa che la difesa contro un avviso di accertamento deve essere a 360 gradi, analizzando con attenzione non solo la fondatezza delle accuse di evasione, ma anche ogni potenziale vizio formale dell’atto impositivo e del successivo processo. Un’eccezione procedurale, se correttamente sollevata e, purtroppo per il contribuente in appello, ignorata dal giudice, può rivelarsi l’arma vincente in Cassazione.

In caso di contestazione di operazioni inesistenti, su chi grava l’onere della prova?
Inizialmente, l’Amministrazione Finanziaria deve fornire indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscano la natura fittizia delle operazioni. Una volta fornito questo quadro probatorio, l’onere della prova si inverte e passa al contribuente, il quale deve dimostrare l’effettiva esistenza e la realtà economica delle transazioni contestate.

Un avviso di accertamento può essere annullato per un vizio formale anche se l’evasione fiscale è sostanzialmente provata?
Sì. Questa sentenza dimostra che un vizio procedurale, come l’omessa pronuncia da parte del giudice di merito su un’eccezione ritualmente sollevata (in questo caso, il difetto di firma dell’atto), può portare alla cassazione della sentenza, a prescindere dalla fondatezza nel merito della pretesa fiscale. Il caso verrà quindi rinviato a un altro giudice per decidere sul punto omesso.

Le sanzioni tributarie sono considerate di natura penale secondo la Cassazione in questa sentenza?
No. La Corte ribadisce che le sanzioni tributarie hanno natura formalmente e sostanzialmente amministrativa. Di conseguenza, non si applicano i principi tipici del diritto penale, come il divieto di ne bis in idem, a meno che non venga provata l’esistenza di un altro procedimento sanzionatorio (ad esempio, penale) per lo stesso fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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