Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1796 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1796 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10906/2016 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 9882/2015 depositata il 06/11/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa individuale, ha proposto ricorso per cassazione della sentenza della CTR della Campania che ha parzialmente accolto l’appello della contribuente
contro
la sentenza della CTP di Avellino che aveva respinto il suo ricorso contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate recante, tra l’altro, maggiore IVA per il 2008.
La CTR ha confermato il recupero di IVA in relazione alle operazioni soggettivamente inesistenti contestate dall’Ufficio, relative a fatture emesse dalla ditta COGNOME Domenico e dalla RAGIONE_SOCIALE ha rilevato che la prima risultava cessata per fine attività al 31.12.2007 e non aveva mai presentato dichiarazione dei redditi, mentre la seconda fornitrice era in liquidazione, aveva sede fittizia ed era amministrata dallo stesso COGNOME, risultato irreperibile.
Il ricorso è fondato su due motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 7 comma 1 della l. n. 212/2000 e dell’art. 43 del d.P.R. n. 633/2972, in quanto l’Agenzia ha motivato l’atto impositivo per relationem , su accertamenti effettuati nei confronti di terzi, senza allegarli né richiamarli nei termini essenziali.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. La censura aggredisce non una statuizione del giudice di merito ma l’operato dell’Agenzia e, soprattutto, non rispetta il principio di autosufficienza, secondo cui nel ricorso devono essere presenti tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 2007). Invero, la disposizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, impone di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, « gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda
mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione » (Cass. n. 1142 del 2014).
1.3. Si osservi che l’eccezione della ricorrente, secondo quanto precisato in ricorso, « non riguardava, genericamente, le informazioni trasfuse nell’avviso di accertamento, bensì la specifica mancata allegazione delle risultanze dei controlli effettuati dagli Uffici laziali che hanno avuto rilievo decisivo per le determinazioni dell’Ufficio irpino ». Va tenuto presente, però, che secondo consolidato orientamento di questa Corte, l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari per relationem , può essere assolto tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019, n. 4176; Cass., n. 29968 del 2019); inoltre, gli oneri di allegazione riguardano essenzialmente gli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza (Cass. n. 15327 del 2014), escludendosi quelli che si possano presumere, solo iuris tantum , conosciuti dal destinatario dell’accertamento (Cass. n. 26527 del 2014; Cass. n. 24254 del 2015; Cass. n. 27628 del 2018) ovvero siano agevolmente conoscibili (Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 32127 del 2018; Cass. n. 28060 del 2017; Cass. n. 14275 del 2018).
1.4. In disparte il fatto che gran parte degli elementi indiziari risultano da pubblici registri (registro delle imprese) o dall’anagrafe tributaria, il motivo non consente di valutare l’essenzialità della motivazione per relationem dell’avviso perché si limita a trascrivere
un breve stralcio che fa riferimento ai controlli richiesti alla Direzione Provinciale di Roma e Frosinone sulla RAGIONE_SOCIALE e sulla ditta COGNOME Domenico le cui risposte, secondo l’accertamento, confermavano « i dubbi dell’Ufficio di Avellino circa l’esistenza (meglio inesistenza e/o irreperibilità) delle medesime »; la trascrizione appare insufficiente perché non consente una esaustiva cognizione dell’intero contenuto dell’avviso. Del resto, la sentenza ha motivato sulla base di elementi specifici, desunti da quelle informative, di cui però non vi è traccia nello stralcio riportato e ciò conferma che la motivazione dell’avviso doveva essere assai più ampia. La ricorrente, quindi, non ha assolto all’onere di autosufficienza in termini puntuali come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui « Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante ‘per relationem’ ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento» (Cass- n. 9536 del 2013; Cass. n.16147 del 2017).
2. Il secondo motivo si compone di due distinte censure: a) in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., si deduce violazione dell’art. 21 comma 7 del d.P.R. n. 633/1972, del principio di buona fede, delle regole sul riparto dell’onere probatorio, non avendo la CTR valutato l’elemento psicologico in capo al cessionario; b) in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., si deduce violazione dell’art. 113 c.p.c., nullità della sentenza per omessa motivazione sull’elemento soggettivo, non avendo la CTR reso alcuna statuizione sulla questione. A cui si aggiunge, in via subordinata, formale istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE in ordine alla compatibilità con il diritto unionale di una normativa e di una prassi nazionali che disconoscano il diritto alla detrazione IVA « presumendo ‘a priori’ la mala fede del cessionario dalla mera, a sua volta presunta, inesistenza soggettiva delle operazioni contestate ».
2.1 Le due censure possono essere esaminate unitariamente, essendo strettamente connesse, e sono infondate.
2.2. Con apprezzamento insindacabile nel giudizio di legittimità, il giudice di merito, senza distinguere didascalicamente tra elemento oggettivo e soggettivo, ha fondato la ricorrenza della fattispecie su indizi come la cessazione della ditta Tufano al 31.12.2007 (in data anteriore, quindi, alla emissione delle fatture contestate), lo stato di liquidazione della fornitrice RAGIONE_SOCIALE e la fittizietà della sede di questa. Si tratta di elementi oggettivi, in parte conoscibili attraverso pubblici registri (si noti che, secondo la sentenza della CTP, il COGNOME risultava addirittura sconosciuto presso la Camera di commercio, v. pag. 16 del ricorso), che sono in grado di valere in un duplice senso: possono dimostrare la ricorrenza della frode ma sono anche idonei a mettere un cessionario mediamente diligente sull’avviso circa la ricorrenza di anomalie.
2.3. Quella motivazione, pur nella sua sinteticità, attinge il cd. ‘minimo costituzionale’ rendendo chiaramente intelligibile il percorso logico -giuridico seguito. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica
della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass., n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento).
2.4. La CTR ha fatto buon governo dei principi in materia di operazioni soggettivamente inesistenti. Invero secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, laddove si contesti al soggetto passivo IVA il compimento di operazioni soggettivamente inesistenti e si neghi il diritto alla detrazione dell’IVA assolta in rivalsa, come ben chiarito da questa Corte (Cass., n. 9851 del
2018), l’Amministrazione finanziaria deve provare, anche in via indiziaria, non solo che il fornitore era fittizio, ma anche che il destinatario era in grado, in presenza di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto, di rendersi conto che l’operazione era finalizzata all’evasione dell’imposta, essendo sostanzialmente inesistente il contraente; incombe, invece, sul contribuente la prova contraria di aver agito nell’assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (v. anche Cass. n. 2471 del 2022; Cass. n. 11873 del 2018; Cass. n. 27555 del 2018; Cass. n. 27566 del 2018; Cass. n. 5873 del 2019; Cass. n. 15369 del 2020). Deve pure escludersi, quindi, che ricorrano i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
2.5. Né vale lamentare la violazione delle regole sul riparto dell’onere della prova. Va osservato, in proposito, che « La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. » (Cass., n. 17313 del 2020).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 09/10/2024.