Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 27234  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1033/2024 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale  rappresentante  p.t., rappresentata  e  difesa dall’AVV_NOTAIO,  elettivamente domiciliata  presso  il  suo  studio,  sito  in  Roma,  INDIRIZZO  e l’indirizzo PEC: EMAIL;
-ricorrente –
Oggetto: PDA opposta operazioni inesistenti -esternalizzazione costo lavoro – contraddittorio endoprocedimentale
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura RAGIONE_SOCIALE, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 5539/3/23 depositata in data 6 ottobre 2023 e che non risulta notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 18 settembre 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 5539/3/23 veniva rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE, avverso la sentenza della Corte di giustizia Tributaria di primo grado di Roma n. 10322/1/2022 con la quale era stato rigettato il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento con il quale venivano riprese a tassazione imposte Ires, Irap e Iva per l’anno 2015 in dipendenza di operazioni contestate come inesistenti.
Veniva in particolare contestato alla contribuente di aver realizzato operazioni soggettivamente inesistenti ponendo i propri dipendenti solo formalmente in carico alla società RAGIONE_SOCIALE, alle dirette dipendenze dei soggetti clienti, tra cui la RAGIONE_SOCIALE, reale utilizzatrice della manodopera, al fine di consentirle di dedurre il costo del lavoro ai fini IRAP e detrarre lo stesso ai fini IVA, nonché di spostare l’onere della contribuzione previdenziale in capo a RAGIONE_SOCIALE.
Venivano inoltre contestate operazioni oggettivamente inesistenti per la parte residua dei costi, per indicazione nelle fatture di spese relative a prestazioni non eseguite nella realtà, al fine di consentire la riduzione del reddito imponibile ai fini RAGIONE_SOCIALE imposte dirette ed IRAP e di detrarre ai fini IVA costi non sostenuti.
 Il  giudice  di  prime  cure  respingeva  il  ricorso,  ritenendo  che  il contribuente  non  avesse  provato  l’effettiva  sussistenza  dei  rapporti commerciali  contestati  come  fittizi,  senza  che,  tuttavia,  tale  onere potesse  ritenersi  assolto  attraverso  l’esibizione  di  fatture,  ovvero  in ragione della regolarità formale RAGIONE_SOCIALE scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, frequentemente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
Il giudice d’appello riteneva, in via preliminare, che l’atto impositivo fosse sufficientemente motivato per relationem al pvc che, sebbene emesso nei confronti di altro soggetto, la RAGIONE_SOCIALE, risultava allegato all’atto impositivo de quo , notificato unitamente allo stesso alla contribuente. Nel merito, stabiliva che dagli atti di causa emergeva la prova di una fattispecie di frode fiscale posta in essere dal contribuente, il quale aveva stipulato contratti di appalto di servizi fittizi al fine di poter detrarre le spese di acquisto del servizio.
Avverso la sentenza d’appello la  contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi, cui replica l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Il 2.3.2024 la Corte ha proposto la definizione del ricorso ex art.380bis  cod.  proc.  civ.,  proposta  opposta  dal  ricorrente  con  istanza  di decisione del giudizio.
La contribuente deposita memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ..
Considerato che:
In primo luogo, il Collegio prende atto del deposito da parte della contribuente in data 12.9.2025 – in uno con la memoria illustrativa – di copia  della  sentenza  penale  del  Tribunale  di  Roma  n.  10712/2024, depositata  il  16.12.2024,  proc.  pen.  n.  5184/24  R.G.R.N.,  che  ha assolto NOME COGNOME, legale rappresentante della ricorrente.
Il Collegio osserva che la sentenza, estratta dal fascicolo telematico per espressa dichiarazione della parte e non in copia autentica, non è tempestivamente depositata entro i 15 giorni anteriori all’udienza/adunanza di cui all’art. 21 bis, comma 2, del d.lgs. n. 74 del 2000 (termine perentorio e da calcolarsi a ritroso, cfr. Cass. n. 21595/2025). Inoltre, la copia prodotta è priva della necessaria attestazione del passaggio in giudicato. Per tutte le considerazioni svolte non può essere utilmente invocata l’applicazione dell’art. 21-bis, comma 2, d. lgs. n. 74/2000 nella presente fattispecie.
 Preliminarmente,  va  dato  atto dell’eccezione di  inammissibilità formulata dal controricorrente per difetto di autosufficienza, superabile non solo in quanto generica, ma anche perché il ricorso sintetizza in modo adeguato i punti qualificanti in fatto e diritto della fattispecie e censura specificamente determinati capi della sentenza d’appello.
Con il primo motivo di ricorso la società prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per manifesto errore di percezione con riferimento al capo della sentenza impugnata nella parte in cui questa afferma che «Era onere della parte resistente fornire la prova contraria e, cioè, provare la piena autonomia, sia nella parte gestionale che nella compagine societaria, tra le due società appellanti e quelle appaltatrici dei servizi, nonostante tali citati contrari indizi. Nel caso di specie,
invece,  la  contribuente  si  è  limitata  a  qualificare  come  meramente indiziari  gli  elementi  probatori  dedotti dall’RAGIONE_SOCIALE senza  produrre alcuna controprova».
Il motivo è inammissibile, in quanto, dietro lo schermo dell’apparente censura di travisamento della prova, intende ottenere una revisione della valutazione del corredo probatorio operata dal giudice. Il ricorrente, intende, infatti, prospettare come errore percettivo quella che è stata la valutazione che la società contribuente fosse soggetto fittiziamente interposto (di qui, la contestazione ex art. 37 d.P.R. n. 600/1973, non attinta da censura), con lavoratori solo formalmente a proprio carico, come accertato dal giudice in modo conforme nei due gradi del giudizio di merito sulla base della documentazione agli atti.
Anche a voler riqualificare il motivo come censura motivazionale, il mezzo di impugnazione incappa in un ulteriore profilo di inammissibilità, per doppia conforme, con riferimento al paradigma del prospettato vizio motivazionale alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse.
Il secondo motivo della contribuente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione del comma 5-bis dell’art.7, d.lgs. 546/92, in riferimento alla parte della sentenza impugnata in cui, tralasciando le prove addotte dalla contribuente, si afferma che « Dall’esame degli atti di causa emerge che la società cui l’appellante affidava in subappalto l’esecuzione dei servizi aveva le seguenti caratteristiche: a) era amministrata e posseduta da soggetti risultati meri prestanome; b) era priva di sede legale ed idonea struttura economico-aziendale; c) non aveva presentato dichiarazioni IRES, IVA e IRAP per gli anni 2014/2016; d) diversi suoi dipendenti riconoscevano come propri datori di lavoro i vertici dell’attuale ricorrente. Tali elementi rappresentano presunzioni gravi, precise e concordanti ai sensi dell’art. 37 d.P.R. 600/1973».
In disparte dall’inapplicabilità ratione temporis della norma invocata, trattandosi di disposizione destinata a valere solo per i giudizi instaurati successivamente all’entrata in vigore (e, cioè al 16 settembre 2022) per cui opera, in difetto di norme transitorie, la regola generale dell’art. 11  RAGIONE_SOCIALE  preleggi  (cfr.  Cass.  n.  18764/24  e  20816/24),  il  mezzo  di impugnazione è inammissibile per difetto di specificità.
La ricorrente si limita a prospettare un gravoso onere della prova ex art. 7, comma 5-bis d. lgs. n. 546/1992 (come, peraltro, accertato dal giudice di appello) ‘in modo circostanziato e puntuale’, senza offrire indicazioni specifiche al fine di dimostrare che il giudice di appello non si sarebbe attenuto alla norma (in tesi) applicabile al caso di specie. Inoltre, attraverso il motivo si chiede anche un’irrituale rivalutazione degli accertamenti in fatto e del merito probatorio.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta anche, in relazione all’art. 360,  primo  comma,  n.3,  cod.  proc.  civ.,  la violazione e falsa
applicazione dell’art. 7, L. 212/2020 da parte della sentenza impugnata laddove questa afferma che: «Sul punto, va rilevato come l’avviso di accertamento  appaia  sufficientemente  motivato,  anche  attraverso  il richiamo  al  citato  PVC  che,  sebbene  emesso  nei  confronti  di  altro soggetto (RAGIONE_SOCIALE) risulta allegato all’atto impositivo de quo , notificato unitamente allo stesso alla contribuente».
Il motivo è inammissibile, per più concorrenti profili.
8.1. Innanzitutto, perché, come eccepito in controricorso, la doglianza impinge nel merito e la revisione dell’apprezzamento della prova non solo è preclusa alla Corte di cassazione, ma anche, a voler riqualificare il mezzo di impugnazione come censure motivazionale, dalla pronuncia doppia conforme resa dal giudice in primo e secondo grado, secondo quanto già argomentato con riferimento al primo motivo.
8.2. Inoltre, è anche manifestamente infondato nella parte in cui deduce la violazione dell’obbligo di motivazione degli atti impositivi in quanto atti amministrativi. La motivazione per relationem con rinvio alle conclusioni contenute nel PVC non è illegittima (ancorché per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti), significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio ( ex multis , Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32957). Nel caso di specie vi è il rinvio ad un atto istruttorio che, in quanto allegato al PVC, il giudie accerta è conosciuto dal contribuente, come si legge a pag.3 della sentenza: «PVC che, sebbene emesso nei confronti di altro soggetto (RAGIONE_SOCIALE) risulta allegato all’atto impositivo de quo, notificato unitamente allo stesso alla contribuente».
8.3. Il motivo è inoltre inammissibile nella parte in cui prospetta il diritto del contribuente alla conoscenza della documentazione istruttoria nella sua integralità, posto che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa. Questo può dirsi violato ove il contribuente illustri come e in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (v. Cass., Sez. 5, 15 dicembre 2022, n. 36852). La stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia richiamata dal ricorrente afferma che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, soprattutto in ambito tributario (CGUE, Glencore , citata dal ricorrente, punti 43, 55; CGUE, 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas , punto 35). Nel caso in esame, la contribuente non ha indicato né in ricorso né nell’istanza per la decisione della causa ex art.380-bis, comma 2, cod. proc. civ., quale sarebbe la documentazione che non sarebbe stata messa a disposizione del contribuente, la cui mancata ostensione avrebbe comportato la compromissione del giudizio di difesa.
 In  conclusione,  il  ricorso dev’essere rigettato  e  le  spese  di  lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il giudizio viene definito in conformità alla proposta, va inoltre disposta la condanna della parte istante a norma dell’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ..
L’art. 380bis cod. proc. civ. (cfr. Cass. S.U. 13.10.2023, n. 28540) configura uno  strumento  di  agevolazione  della definizione RAGIONE_SOCIALE pendenze  in  sede  di  legittimit à ,  anche  tramite l’individuazione di
strumenti dissuasivi di condotte rivelatesi ex post prive di giustificazione e, quindi, idonee a concretare, secondo una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato (d.lgs. n. 149 del 2022), un’ipotesi di abuso del diritto di difesa.
Richiamando, per i casi di conformit à tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacch é non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilit à aggravata (v. Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195, anche per quanto riguarda la disciplina intertemporale).
Pertanto,  la  parte  ricorrente  va  condannata,  nei  confronti  della controparte, al pagamento della somma determinata di euro 5.300,00 oltre  al  pagamento dell’ulteriore somma di  euro  2.600,00  in  favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di lite, liquidate in euro 10.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
condanna altresì parte ricorrente al pagamento della somma di euro 5.300,00 in favore della controricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.600,00 a favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende;
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME