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Operazioni inesistenti: onere della prova e Cassazione

Una società di servizi ha visto respinto il suo ricorso contro un accertamento fiscale per operazioni inesistenti, relative a un fittizio schema di esternalizzazione del costo del lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato le decisioni dei giudici di merito, ritenendo i motivi di ricorso inammissibili. In particolare, ha ribadito che, di fronte a gravi indizi di frode, spetta al contribuente dimostrare la realtà delle operazioni contestate e ha confermato la validità della motivazione dell’atto fiscale che rinvia a un verbale di constatazione allegato, non ledendo il diritto di difesa.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Operazioni Inesistenti: la Cassazione Conferma la Linea Dura sulla Prova

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di operazioni inesistenti legate a un complesso schema di esternalizzazione del costo del lavoro, ribadendo principi fondamentali in materia di onere della prova e motivazione degli atti impositivi. La decisione offre spunti cruciali per le imprese sulla necessità di garantire la sostanza, e non solo la forma, delle proprie operazioni commerciali, specialmente quando queste hanno un impatto fiscale significativo.

I Fatti di Causa

Una società di servizi si è vista notificare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava la deducibilità di costi e la detraibilità dell’IVA per l’anno d’imposta 2015. L’accusa era grave: aver realizzato operazioni inesistenti sotto il profilo soggettivo. In pratica, l’azienda avrebbe fittiziamente posto i propri dipendenti alle dipendenze di un’altra società, una mera “cartiera”, al solo scopo di figurare come committente di un appalto di servizi. Questo schema le avrebbe permesso di dedurre il costo del lavoro ai fini IRAP, detrarre l’IVA corrispondente e spostare gli oneri previdenziali sull’altra entità. Le contestazioni riguardavano anche operazioni oggettivamente inesistenti per altri costi.

Sia il giudice di primo grado che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avevano respinto le ragioni della contribuente, confermando la legittimità dell’operato dell’Amministrazione Finanziaria. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione, basandosi su tre motivi principali.

L’Analisi della Corte di Cassazione e le operazioni inesistenti

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, analizzando e respingendo ciascun motivo sollevato dalla società.

Primo Motivo: Il Travisamento della Prova e la “Doppia Conforme”

La ricorrente lamentava un errore di percezione della prova da parte dei giudici di merito. La Cassazione ha prontamente rigettato questa censura, qualificandola come un tentativo mascherato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Inoltre, i giudici hanno applicato il principio della “doppia conforme”: poiché le sentenze di primo e secondo grado erano giunte alla stessa conclusione basandosi sulla medesima ricostruzione fattuale, il ricorso per vizio di motivazione era inammissibile.

Secondo Motivo: L’Onere della Prova nelle operazioni inesistenti

La società contestava la violazione delle norme sull’onere della prova. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. In primo luogo, la norma invocata non era applicabile al caso specifico per ragioni temporali. In secondo luogo, la Corte ha ritenuto la doglianza troppo generica e, ancora una volta, finalizzata a una rivalutazione del merito probatorio, non consentita in Cassazione.

Terzo Motivo: La Legittimità della Motivazione “per relationem”

Il punto più interessante riguardava la presunta violazione dell’obbligo di motivazione dell’atto impositivo. L’accertamento, infatti, basava le sue ragioni rinviando a un Processo Verbale di Constatazione (PVC) emesso nei confronti dell’altra società coinvolta nello schema fraudolento. La Corte ha ritenuto infondato anche questo motivo, affermando che la motivazione per relationem è pienamente legittima quando, come nel caso di specie, il documento richiamato è allegato all’atto e quindi pienamente conosciuto dal contribuente. Tale prassi non arreca alcun pregiudizio al diritto di difesa, in quanto permette al destinatario di comprendere appieno le ragioni della pretesa fiscale.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su principi consolidati. Di fronte a un quadro probatorio presentato dall’Agenzia delle Entrate che delinei, con elementi gravi, precisi e concordanti, l’esistenza di uno schema fraudolento, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Quest’ultimo non può limitarsi a esibire la documentazione formale (fatture, contratti, pagamenti), ma deve fornire la prova concreta e sostanziale che le operazioni contestate sono reali, genuine e intercorse tra i soggetti dichiarati. La regolarità formale delle scritture contabili, in contesti di frode, è spesso uno strumento per mascherare la realtà e non è di per sé sufficiente a superare gli indizi raccolti dall’amministrazione.

Inoltre, la Corte conferma che la motivazione di un atto fiscale può legittimamente rinviare a conclusioni contenute in altri atti, come un PVC, a condizione che questi siano portati a conoscenza del contribuente, garantendone così il pieno esercizio del diritto di difesa.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame rafforza la posizione dell’Amministrazione Finanziaria nel contrasto alle frodi fiscali basate su operazioni inesistenti. Per le imprese, il messaggio è chiaro: la sostanza economica prevale sulla forma giuridica. Non basta creare un’architettura contrattuale formalmente ineccepibile se questa non corrisponde alla realtà dei fatti. Il Fisco e i giudici tributari sono legittimati a “guardare oltre il velo” della forma per colpire i fenomeni elusivi e fraudolenti. La sentenza sottolinea anche la severità della Cassazione nel filtrare i ricorsi, dichiarando inammissibili quelli che si traducono in una richiesta di riesame dei fatti. Infine, la condanna per lite temeraria inflitta alla società ricorrente serve da monito: adire la Suprema Corte senza validi e specifici motivi di diritto può comportare conseguenze economiche significative.

Quando un’operazione è considerata “soggettivamente inesistente”?
Un’operazione è soggettivamente inesistente quando, pur essendo stata materialmente eseguita, è intercorsa tra soggetti diversi da quelli formalmente dichiarati. Questo schema viene spesso utilizzato per permettere a una delle parti di ottenere vantaggi fiscali indebiti, come la detrazione di costi o IVA.

È valido un avviso di accertamento che motiva le sue ragioni rinviando a un altro documento?
Sì, la motivazione “per relationem” è legittima a condizione che il documento a cui si fa rinvio (ad esempio, un verbale di constatazione) sia allegato all’atto stesso o sia stato precedentemente notificato o reso comunque disponibile al contribuente, in modo da non compromettere in alcun modo il suo diritto di difesa.

In una causa per operazioni inesistenti, chi deve fornire la prova?
L’Agenzia delle Entrate ha l’onere di fornire elementi probatori gravi, precisi e concordanti che facciano presumere la natura fittizia delle operazioni. Una volta forniti questi elementi, l’onere della prova si sposta sul contribuente, il quale deve dimostrare con prove concrete la reale esistenza e la legittimità delle operazioni contestate, non essendo sufficiente la sola esibizione di fatture o pagamenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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